L’alienista, di Machado de Assis

Aldo Longo133670882_3947072718677891_4327447914491916677_n

L’alienista

traduzione di Jessica Falconi

Gli Eccentrici, Edizioni Arcoiris

1.

Di come Itaguaí ottenne un manicomio

 

Le cronache di Itaguaí narrano che in tempi remoti era vissuto in paese un medico, un certo dottor Simão Bacamarte, rampollo della nobiltà locale e considerato il più grande fra i medici del Brasile, del Portogallo e delle terre di Spagna. Aveva studiato a Coimbra e a Padova. A trentaquattro anni era ritornato in Brasile perché il re non era riuscito a trattenerlo a Coimbra come rettore dell’Università, né a Lisbona a occuparsi degli affari della monarchia.

«La scienza» aveva detto a Sua Maestà «è il mio unico impiego; Itaguaí è il mio universo».

Detto questo, rientrò a Itaguaí e si diede anima e corpo agli studi scientifici, alternando le cure alle letture e dimostrando teoremi con cataplasmi. A quarant’anni sposò Donna Evarista da Costa e Mascarenhas, una signora di venticinque anni, vedova di un giudice, né bella né simpatica. Uno zio del medico, cacciatore di paca davanti all’Eterno, e non meno franco, si stupì della scelta e glielo disse. Simão Bacamarte gli spiegò che Donna Evarista riuniva condizioni fisiologiche e anatomiche di prim’ordine: digeriva senza problemi, dormiva regolarmente, aveva un polso ottimo e una vista eccellente, quindi era idonea a dargli figli robusti, sani e intelligenti. Se poi oltre a queste doti – le sole degne di interesse per un saggio – Donna Evarista aveva brutti lineamenti, lungi dal rammaricarsene, rendeva grazie a Dio in quanto non correva il rischio di posporre gli interessi della scienza a causa della contemplazione esclusiva, inutile e banale della propria consorte.

Donna Evarista deluse le speranze del Dottor Bacamarte: non gli diede figli, né robusti né malaticci. Per indole naturale la scienza è paziente: il nostro medico aspettò tre anni, poi quattro, e ancora cinque. Alla fine, studiò in modo approfondito la materia, rilesse tutti gli autori arabi e altri che aveva portato a Itaguaí, chiese consulenza alle università italiane e tedesche e finì per consigliare alla moglie un regime alimentare speciale. L’illustre dama, che si nutriva esclusivamente con la magnifica carne di maiale di Itaguaí, non accolse i suggerimenti del marito, ed è alla sua caparbietà – comprensibile ma indegna – che si deve la totale estinzione della stirpe dei Bacamarte.

Ma la scienza ha l’ineffabile dono di curare tutti i mali: il nostro medico s’immerse completamente nello studio e nella pratica della medicina. Fu allora che fra le varie branche, una in particolare attirò la sua attenzione: quella della psiche, l’esame della patologia cerebrale. Nella colonia, come in tutto il regno, non c’era nessuna autorità in questa materia praticamente inesplorata. Simão Bacamarte comprese che la scienza lusitana e quella brasiliana in particolare potevano coprirsi di “allori imperituri”, espressione usata da lui stesso, ma in uno slancio d’intimità domestica perché all’esterno era modesto, come si conviene ai sapienti.

«La salute dell’anima» tuonò «è l’occupazione più degna del medico».

«Del medico vero» lo corresse Crispim Soares, lo speziale del paese, suo amico e commensale.

Fra i peccati che i cronisti imputano all’amministrazione di Itaguaí c’era quello di non occuparsi dei dementi. Così, i pazzi furiosi vivevano rinchiusi in una stanza a casa propria, e non curati, ma trascurati finché la morte non giungeva a privarli del beneficio della vita; i più docili, invece, circolavano a piede libero. Simão Bacamarte pensò subito di correggere quell’ignobile consuetudine e chiese al Municipio il permesso di accogliere e curare, nella struttura che avrebbe fatto costruire, tutti i pazzi di Itaguaí e di altri paesi e città, a fronte di una retta corrisposta dal Municipio se la famiglia del malato non fosse stata in grado di sostenere la spesa.

La proposta incuriosì tutto il paese e trovò grande resistenza, perché si sa quanto è difficile sradicare abitudini assurde o addirittura cattive. L’idea di mettere i pazzi a vivere insieme nella stessa casa apparve di per sé un segno di demenza e non mancò chi insinuasse il dubbio anche nella moglie del medico.

«Ascolti, Donna Evarista» le disse Padre Lopes, il vicario del posto «veda un po’ se suo marito se ne va in gita a Rio de Janeiro. Questa storia di stare sempre e solo a studiare non fa bene, annebbia la ragione».

Donna Evarista era sgomenta. Tornò dal marito e gli disse di “avere delle voglie”, in particolare una: andare a Rio de Janeiro e mangiare tutto quello che lui ritenesse adatto a quel certo scopo. Ma il grand’uomo, con la rara sagacia che lo contraddistingueva, colse le reali intenzioni della moglie e rispose sorridendo che non doveva aver paura. Poi si recò al Municipio e mentre i consiglieri discutevano, difese la sua proposta con tanta eloquenza che la maggioranza decise di autorizzare quanto chiedeva, approvando seduta stante un’imposta destinata a finanziare cura, vitto e alloggio dei matti indigenti. La materia dell’imposta non fu facile trovarla; a Itaguaí era già tutto tassato. Dopo lunghi studi, si decise di permettere l’uso di due pennacchi sui cavalli dei funerali. Chi desiderava impiumare i cavalli di un carro funebre avrebbe pagato due tostões al Municipio per ogni ora trascorsa fra il decesso e l’ultima benedizione della tomba. Il cancelliere sprofondò nei calcoli aritmetici dell’introito previsto dalla nuova tassa ma uno dei consiglieri, che non credeva nell’impresa del medico, chiese di sollevarlo da quel lavoro inutile.

«Non c’è bisogno di fare calcoli» affermò «perché il Dottor Bacamarte non ne caverà niente. Dove si è mai visto mettere i pazzi tutti insieme nella stessa casa?».

Si sbagliava, il degno funzionario: il medico ne cavò tutto. Ottenuta la licenza iniziò subito a costruire l’edificio. In Rua Nova, a quei tempi la più bella via di Itaguaí, con cinquanta finestre da ogni lato, un cortile al centro e numerose celle per i pazienti. Da esimio arabista quale era, aveva letto nel Corano che Maometto considerava venerabili i matti perché Allah aveva tolto loro il senno affinché non peccassero. L’idea gli era parsa bella e profonda e la fece incidere sulla facciata della casa, ma per timore del vicario e, indirettamente, del vescovo, attribuì il pensiero a Benedetto VIII, meritandosi per questa menzogna devota che Padre Lopes gli raccontasse, durante un pranzo, la vita dell’eminente pontefice.

L’istituto prese il nome di Casa Verde per il colore delle finestre, che per la prima volta a Itaguaí erano verdi. Fu inaugurato in pompa magna: da tutti i paesi e le località vicine e lontane e perfino da Rio de Janeiro, accorsero in tanti ad assistere alle cerimonie, che durarono sette giorni. Molti dementi erano già ricoverati e i loro familiari poterono osservare l’affetto paterno e la carità cristiana con cui sarebbero stati assistiti.

Donna Evarista, entusiasta per la gloria del marito, si era bardata con abiti eleganti, numerosi gioielli, fiori e seta. In quei giorni memorabili fu un’autentica regina; continuarono a farle visite su visite, nonostante i costumi probi e discreti dell’epoca, e non solo la corteggiavano ma la lodavano anche perché – e ciò è una prova altamente onorevole per la società del tempo – vedevano in lei la felice consorte di una mente eccelsa, di un uomo illustre e se anche la invidiavano, era la santa e nobile invidia degli ammiratori.

Dopo sette giorni, i festeggiamenti si conclusero; finalmente Itaguaí aveva un manicomio.

thumbnail_Machado-de-Assis---L'alienista-(copertina)-isbnJoaquim Maria Machado de Assis è senza dubbio uno dei più grandi scrittori brasiliani di tutti i tempi. Nasce nel 1839 a Rio de Janeiro, in un’umile famiglia di origini afrodiscendenti e portoghesi. Dedito fin dalla giovinezza alla scrittura, lavora come tipografo, correttore di bozze e critico per diversi giornali, come Correio MercantilDiário do Rio de JaneiroSemana Ilustrada.

Nel 1897 è eletto primo presidente della Academia Brasileira de Letras, la più prestigiosa istituzione letteraria brasiliana ancora esistente.

Considerato uno dei più grandi narratori latinoamericani a cavallo tra Otto e Novecento, è autore di una vasta opera narrativa, poetica e saggistica ed è passato alla storia della letteratura mondiale soprattutto grazie ai romanzi Memorie postume di Brás Cubas (1881), Quincas Borba (1891), Dom Casmurro (1899) e numerose raccolte di racconti, come Papéis avulsos (1882) in cui compare per la prima volta L’alienista.

Pubblicato per gentile concessione della casa editrice.

Immagine di copertina: Opera di Aldo Longo, nella mostra “The American heart of winter” a cura di Carl Heyward.

Riguardo il macchinista

Maria Rossi

Sono dottore di ricerca in Culture dei Paesi di Lingue Iberiche e Iberoamericane, ho conseguito il titolo nel 2009 presso L’Università degli Studi di Napoli l’Orientale. Le migrazioni internazionali latinoamericane sono state, per lungo tempo, l’asse centrale della mia ricerca. Sul tema ho scritto vari articoli comparsi in riviste nazionali e internazionali e il libro Napoli barrio latino del 2011. Al taglio sociologico della ricerca ho affiancato quello culturale e letterario, approfondendo gli studi sulla produzione di autori latinoamericani che vivono “altrove”, ovvero gli Sconfinanti, come noi macchinisti li definiamo. Studio l’America latina, le sue culture, le sue identità e i suoi scrittori, con particolare interesse per l’Ecuador, il paese della metà del mondo.

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