L’albero è capovolto, la radice è nell’aria
in memoria di Pierluigi Cappello
Prologo
Vorrei scrivere di un “uomo che viveva con la porta aperta”, vorrei saper e poter scrivere di te, Pierluigi. Ma non ho parole oggi, come il giorno di quella pazza salita alla tua piccola casa di Tricesimo, in una mattina tersa e fredda di gennaio di tre anni fa. Ero guidata dall’impeto di conoscerti, di dare un volto, un corpo e una voce a quelle parole che mi scavavano dentro, senza preoccuparmi di essere ricevuta, di avere cose da dire o da chiedere.
Arrivai senza avviso ma non occorse bussare perché la porta era aperta sulla tua casa e sul tuo mondo. Entrambi restammo per un attimo colpiti, l’assurdità di due sconosciuti che si guardano come due bambini il primo giorno di scuola e non hanno orpelli o convenevoli da scambiarsi, forse non hanno nemmeno nulla da dirsi.
Forse per congedarmi in fretta, forse per imbarazzo, fastidio, fretta o chissà per cos’altro, mi regalasti una tua poesia inedita, qualcosa che ancora non aveva visto la luce, ma invece mi dicesti “per il mio coraggio”. Per l’incoscienza di ogni incontro quando si avvera, dico io, per la gioia di quella porta aperta davvero, per il coraggio del tuo essere parola intatta lontano dal mondo, al centro delle cose[1].
Per te Pierluigi.
Piangere non è un sussulto di scapole
e adesso che ho pianto
non ho parole migliori di queste
per dire che ho pianto
le parole più belle
le parole più pure
non sono lo zampettìo delle sillabe
sull’inverno frusciante dei fogli
stanno così come stanno
né fuoco né cenere
fra l’ultima parola detta e la prima nuova da dire
è lì che abitiamo
(da Azzurro elementare, p. 48, BUR Rizzoli 2013)
Poesia è la costante tensione fra terra e nuvole, fra parola e silenzio, fra esistere e scomparire, fra ricordo e dimenticanza.
E’ difficile parlare di te Pierluigi, del tuo scrivere fatto di “parole con il corpo”, con il tuo corpo, il tuo sangue, i tuoi limiti e la tua storia, ma anche, aggiungerei io, con qualcosa di più, qualcosa che non si riesce a comprendere, qualcosa che come il tempo separa e raccoglie, e poi ancora riunisce, un’essenza simile al vento, ai ricordi, o alla pagina bianca l’attimo prima di essere scritta.
SERA
Le nove, la sera, e un poco il nero che ti sporca le mani
è tutta la terra passata di qui
a che ora le api vanno a dormire , pensi, ti chiedi,
premi il cavo del palmo sull’orlo del ginocchio
nel dirti senti come sono nuove le foglie
da quale maniera di essere solo sono volate
adesso guardi le cose come sono venute
come si sono fissate, quando nella tua persona
e appena pieghi la testa nel vuoto,
nella domanda a che ora le api vanno a dormire
quando sono passati il sapore di terra e le nuvole
davanti ai miei anni, insieme.
Marzo 2002
(da Azzurro elementare, p. 141, BUR Rizzoli 2013)
Vivi, liberi e scalzi
Chiusaforte, il piccolo paesino in cui sei nato, con pochi telefoni nel 1983[2], tuo padre che lavorava in miniera, tua madre e le altre donne del paese che usavano raccontarsi tutto, Silvio che intrecciava gerle, Bruno “il campione del mondo”, Alfredo l’artigliere: c’è nella tua scrittura il riemergere costante di un mondo sradicato, una civiltà montanara che dentro la tua poesia rinasce costantemente, uomini e donne che ritornano a parlare, a cantare, a vivere perché – dice il poeta rivolgendosi al padre – è questo stare dei tuoi occhi dentro i miei / questo pensarvi vivi, liberi e scalzi/ le tasche piene di sassi, la memoria di voi che trema in noi/come una stella incoronata di buio[3].
IN QUALE BOSCO
Il cielo era verde di freddo tra gli aghi dei pini
e qui non c’è nessuno, l’umido salito dalla neve
si intrama nell’odore dei vestiti bagnati
hai stretto per sempre il manico dell’ascia
all’altezza dell’intaglio, tre asterischi, le iniziali e una data
e la dignità delle tue mani si è svenata in dolcezza
adesso, tra la polvere e il dominio, dove hai incontrato
te stesso in chissà quale bosco dei miei occhi
quando ti sei voltato e mi hai detto, dio, quanto sole
così lontano, diverso, quanto ad uno ad uno i giorni
stringono il cuore e separano.
(da Azzurro elementare, p. 161, BUR Rizzoli 2013)
E’ a questo mondo e non al contemporaneo frastuono di lettere , che la scrittura di Pierluigi si affida e si abbevera, la sua parabola poetica, è un ritorno alla fonte della vita, all’essenza e al respiro, al corpo prima dello strappo, alla forma delle cose mentre le si osserva[4].
SETTEMBRE
Gli orli hanno la luce di settembre
come una bella mela le nuvole oggi
sono innocenti, senza rumore
anche le macchine passano
nel silenzio della tua testa
sei qui, come una cosa sottratta
in questa calma di non appartenere
la nuvola sottratta alla terra
il salto allo slancio, l’orma al suo piede
il corpo a ciò che precede.
Giugno 2003
(da Azzurro elementare, p. 149, BUR Rizzoli 2013).
Nell’ultima raccolta poetica “Stato di quiete ”, c’è tutto il lavorio faticoso di chi è deciso a lasciare andare ogni resistenza interiore e a lasciarsi andare alla bufera della vita. Scrive l’autore nella nota al libro: “Ci sono dei momenti nella vita in cui stare fermi è la scelta migliore, bisogna addensarsi intorno alla propria energia potenziale e lasciarsi scorrere addosso la bufera. Non è qualcosa di passivo, significa stare nell’occhio del ciclone”[5].
“Un uomo per vivere a piombo dovrebbe stare dov’è, lasciato stare”. Ed è proprio da quest’angolo stanco e remoto di se stesso, che Pierluigi ha lasciato le sue ultime sudate e luccicanti 30 poesie che ci parlano di una quiete agognata, di un’esistenza poetica che si è offerta intera al mondo – dove ogni debolezza è stata offerta – con l’intensità e l’urgenza di una lettera d’amore.
Contemporaneamente questa raccolta, come e più degli scritti che la precedono, ci racconta di un poeta che coglie e raccoglie, ascolta e fa risuonare dentro di lui, luce, alberi, vento, foglie, pioggia, nuvole, lo scoppiettare silenzioso e perpetuo della vita. E, a ben guardare, è sempre il racconto di un incontro, di uno scambio amoroso di gesti, un riconoscersi dentro ad una relazione con qualcosa di immenso e piccolissimo, nuovo ed antico, nello scorrere inarrestabile della vita come il donarsi della carne al vento, del vento alla carne, del poeta alla storia.
LUNGO LA CICLABILE
Stacca ombre decise settembre che preme sulle case,
sono diagonali scure, tegole di luce, finestre illuminate
e poligoni di buio. Le facciate esposte al sole
sono tanto crude, croccanti come la polpa delle mele.
E se vai verso occidente, lungo la ciclabile, gli occhi semichiusi,
l’invadente luminosità ti investe. Sei un nuovo nato,
sulla strada di ogni giorno, e cieco, per troppa luce.
E vai, con il tuo odore di sempre, tabacco, pelle
e cotone caldo e quando torni porti in casa
la musica delle foglie con il vento e le guance fresche
e scrivi, di questa nascita, e delle altre che verranno.
Ed è tutto.
Davvero tutto.
(da Stato di quiete, p.59, BUR Rizzoli 2016)
PIOVE
Piove, e se piovesse per sempre
sarebbe questa tua carezza lunga
che si ferma sul petto, le tempie;
eccoci, luccicante sorella,
nel cerchio del tempo buono, nell’ora indovinata
stiamo noi, due sguardi versati in un corpo,
uno stare senza dimora
che ci fa intangibili, sottili come un sentiero di matita
da me a te né dopo né dove, amore, nello scorrere
quando mi dici guardami bene, guarda:
l’albero è capovolto, la radice è nell’aria.
( Piove da Azzurro Elementare, p. 190 BUR Rizzoli 2016).
In Stato di quiete a me pare, la sua poesia sta concisa e raccolta, come cosa finita che finalmente si compie, ultimo sguardo del poeta alle profondità dell’umana esistenza.
ALBA. STATO DI QUIETE
Stare afferrati al sonno, luce e naufragio dove non si è toccati
dal lampo, stare lì, a pinne ferme,
la memoria di essere pesci suscitata.
L’acqua stagna può mandare splendori
ferma com’é più nel non fatto che nel fatto
nel non detto che nel detto;
l’immobilità, qui, si forgia in dote, il guizzo rivelatore si cancella.
Erano appena ieri l’incoscienza dell’incontrarsi
dopo che la terra aveva tremato,
le spalle giovani, il sole sulle pietre sgretolate,
nel campo di calcio spelato.
Le voci allegre dei vinti,
un lancio lungo dai miei occhi all’alba,
quando il colore si versa violetto le conserva
fra i rami dell’abete grande, lontanissimo, là, oltre la finestra;
la luce contemplata non è che un soffio mentre si pronuncia
l’erba premuta un accenno del sonno smosso.
Da allora a ora, da lì a qui.
La faccia sta ferma, l’alba gira lontana
le vene si rompono e bruciano
le fibre muscolari marciscono come ultime lettere d’amore.
(da Stato di quiete, pp. 50-51, BUR Rizzoli 2016)
Mi piace ricordarti infine così Pierluigi, in maniera semplice senza barocchi superlativi, bensì con le parole che tu stesso hai voluto scrivere vicino al tuo nome. Più simile radicato nell’aria, al volo degli uccelli, alla trasparenza del cielo che alla terra,
così Pierluigi:
OGGI. SCRIVERE IL NOME
Comincia con lo scrivere il tuo nome,
perché ne resti traccia, qualche segno di grafite
risonante nel bianco. Con poche lettere
sigla decenni di storia, il silenzio
della pagina pronto a spalancarsi,
ad accogliere e disperdere.
Spicca nel bianco e non è più bianco
ma voce la matita che attraversa il foglio,
e goccia a goccia qualcosa cede e ti si allarga dentro:
Pierluigi e dopo Cappello, in un sussurro un nome;
e dentro un nome, l’uomo che non concede a sé
i suoi stessi lineamenti, protetti da un’ottusità misericordiosa.
Leggero, come la cenere. Fresco, come l’aria fra le dita.
Scomparso, come una nuvola.
(da Stato di quiete, p. 53, BUR Rizzoli 2016)
Commento inedito di Elena Cesari, per gentile concessione dell’autrice.
[1] Costruire una capanna /di sassi rami foglie/ un cuore di parole/ qui, lontani dal mondo/al centro delle cose, / nel punto più profondo ( da Stato di Quiete, BUR Rizzoli 2016)
[2] La storia della giovinezza del poeta, la famiglia, il paese natio, l’amore per la poesia, l’incidente in moto e la rinascita con e nella scrittura sono descritti dal poeta stesso nel romanzo autobiografico Questa libertà, Rizzoli 2013)
[3] ( da I vostri nomi, in Azzurro elementare p. 160 BUR Rizzoli 2013)
[4] ( da Poein, in Azzurro elementare p.197, BUR Rizzoli 2013)
[5] ( da Stato di Quiete, p. 14 BUR Rizzoli 2016)
Immagine in evidenza: dipinto “Foresta al mattino” di Barbara Gabriella Renzi Iule.
Elena Cesari abita a Salvaro in un condominio solidale. Nel 2014 esce la sua prima raccolta poetica, Una viola, una pigna, un’ombra (Fondazione Luzi, Roma). A luglio 2015 esce L’essenziale delle cose perse (LietoColle) . Educatrice e insegnante di italiano L2 ha condotto e collaborato alla realizzazione di corsi di italiano e progetti sperimentali di teatro e lingua con donne migranti. Attualmente lavora con un gruppo di richiedenti asilo bengalesi. Da tre anni collabora con il gruppo di teatro integrato Magnifico Teatrino Errante, realizzando progetti di teatro integrato e interculturale.