L’afterparty del progresso:
Come un’artificiale Pompei mineraria dissemina morte
e fango per il Rio Doce, Brasile
di Andrea Cangialosi
Ripercorrendo una catastrofe dolosa, dalla foce atlantica al luogo del crimine nell’entroterra brasiliano, si riavvolge il mesto carillon ormai centenario della corpulenza del Capitale che percuote la Terra. Siamo nella regione battezzata dal suo ruolo depletativo nelle geografie del colonialismo, e cresimata nell’economia estrattiva neocoloniale: Minas Gerais, generalissime miniere, una delle troppe vene aperte dell’America Latina (Eduardo Galeano, 1971). Dal 5 novembre senza rito il funerale, dell’uccisione del Rio Doce per diga dell’industria mineraria multinazionale.
Dona Maria si sveglia e piega, prega,
genuflesse colonne sue semi-secolari
per cogliere dall’orto il pasto;
Sopra stanchi suoi corpo e campo
fosse stata notte, l’ultimo sonno,
e poi sigillatane nell’urna di fango.
João stringeva forte il volante
con braccia lavoratrici e bronzee;
chissà siano sue chilometri a valle,
quelle membra in parti riaffiorate.
Di Seu Francisco senz’auto né deposito,
imputridiscono i sudori d’una vita.
Di Roberta non aveva ancora nome
assassinatale dalla piena in grembo.
Pur prosegue, minaccia e contamina
onirorizzonti, narravisioni, biosfere
ci smotta, travolge, annega e rinuma
quest’umore neoliberista, bile marrone.
Risalendo le acque intorbidite si naufraga fuori dalle mappe: il letto del fiume Dolce (lungo 880 km) è stato divelto con metalli pesanti, quel corpo già dolorante di un ecosistema in pericolo, ora vivisezionato e lasciato coi ferri conficcati e settici, imbottito d’arsenico, cromo, piombo, zinco, rame, mercurio.
Sotto il manto torbido di 65 milioni di metri cubici di sgorgo industriale (quanto 25mila vasche olimpioniche) s’induriscono e fanno amari i ricordi, le foto adesso monocromatiche sotterrate sotto muri crollati, con una spolverata di auto e rifiuti: è l’estetica inappropriata dell’afterparty del progresso. Sono quegli spazi ora devitalizzati dei villaggi (1700 pescatori, 900 famiglie sfollate) e della riserva indigena, da Mariana a Espírito Santo, tramutati forzatamente in una Pompei programmata: quando una chiusa mineraria salta, quando la struttura è una serie di Vesuvi in attesa del primo domino, ecco che nessun allarme suona e nessuna autorità interviene per giorni a venire. Cittadini e indígenas in protesta, artisti e pescatori neo-Noé sull’arca-da-fé, affrettando risorse e specie in salvo (11 a rischio d’estinzione come le tartarughe giganti). Gridando dal basso restituendovi quel fango poiché ci state riducendo e devoluendo, a ribadire l’ovvio: che il fiume ci è sacro, padre e madre; che la vita vale più del capitale, che le vostre mani sono sporche di infimi, viscidi business…E i criminali ambientali saremmo noi? Sinistro! Sì vi abbiamo imbrattato “i cortili e le porte”, ma abbiamo persino ripulito, noi. Grottesco.
Prima del cartografo e dello storico
Prima d’essere noi tribù e tu Doce
Questa sacra unità, Rio e Krenak ,
Fiume e Aimorés, Grén o Krén, Borun,
Grida oltre il bavaglio sulla bocca indigena
Contro repressioni bianca, régia (1808) e militare
Ostacolo sulle rotaie del loro progresso
Sabotando la vostra e la nostra morte
“Testa chinata in reverenza sulla terra”
Ma il treno ancora non si è fermato
Hiroshimariana è un derby tra multinazionali firmato Samarco Mineração, dove le squadre Vale (Brasile) e BHP Billiton (Britannico-Australiana) invadono gli spalti per palleggiare con pezzi e parti di spettatori non indennizzati (più di 20 tra morti e dispersi), mentre dalle tribune a spalle voltate e telecamere alte come selfie-stick, si distorcono le narrative in post-produzione. Seguono doni anti-sostenibilità in acqua imbottigliata e cerotti monetari, per proseguire nella dipendenza, per sprofondare nelle crisi annose e venture. Il post-distruzione è infatti una danza rituale dove milioni di banconote lanciate in aria si adagiano presto a tappare occhi e bocche, e quegli spiccioli come souvenir nelle fontane assicurano che “sì, vi ritorneremo a visitare e distruggeremo nuovamente quei rimasugli delle vostre ostinate esistenze”. Sicuramente prima dei cento e più anni sperati per invertire un processo che, nonostante le spazzate sotto il tappeto legislativo della Presidente, sono tutt’altro che un incidente naturale. Provvedimenti: bacchettare o banchettare? Ognuno con scontrini, fatture e bustarelle ben custodite: denaro vostro piacere e pacere, ancora e solo vostro, altro che conflitti d´interesse. Cosa aspettarsi da quegli stessi partiti e senatori finanziati dalle industrie, come la Vale, che avevate in previsione privatizzato? Tutt’altro che un incidente naturale. Valida ancor ora la profetica Lira Itabirana (Carlos Drummond de Andrade, 1984), “esportiamo in tonnellate” materia da conflitto, “lacrime camuffate” senz’aberro, “indebitati nell’interiore, all’estero, ad aeternum”. E fremono, le superstiti dighe d’argine rabbrividendo, insaziabili le industrie della depredazione…
“World’s over, insert coin”? Che rumore fa un’elemosina del signore di turno cadendo in una ciotola sommersa dal fango idealistico e materiale del disprezzo politico, sociale, ambientale? Tintinna tra le crepe, d’indignazione, di sgomento e dolore, inovattabile il clamore?
Andrea Cangialosi ha una formazione crossover (da programmazione e IT a filosofia, poi sociologia), con la quale esplora ultimamente giornalismo e terapie psicosomatiche, mantenendo un interesse costante per scrittura e narrative, lotte d’emancipazione e condizioni planetarie. Scrive spesso, e in traduzione, per JungleWorld (tedesco), RioOnWatch.org (inglese e portoghese), ma soprattutto ad uso personale (italiano e spagnolo) e conviviale.
Foto in evidenza e nell’articolo dall’Instagram di Luiz Baltar “Protesta di fronte alla sede mondiale della Vale, nel centro di Rio”.
Foto dell’autore a cura di Andrea Cangialosi.
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Inserito da: Lucia Cupertino