Consigli di una brigatista (Brigada Dignidad, Santiago del Cile)
a cura di Ximena Soza
Si decide se si partecipa alla chiamata, si specificano le coordinate, si mangia leggero nel caso i gas lacrimogeni ti facciano venire voglia di vomitare ancora, anche se indossi una maschera. Si prepara lo zaino, una bella scorta d’acqua, il cambio extra se ti bagni con prodotti chimici, qualche mandorla perché la giornata è lunga, gli occhialini nel caso dovessero lanciare di nuovo i pallini e il casco per proteggerti da un lancio di pietre o dalla forza del getto dei camion spargiacqua.
Indossi scarpe antinfortunistiche, nel caso in cui dovessi prendere a calci un gas lacrimogeno acceso, guanti di pelle se dovesse toccarti prenderne uno in mano per tenerlo lontano dai feriti. Indossi pantaloni, una maglietta a maniche lunghe per proteggere la tua pelle e un fazzoletto a mo’ di scialle nel caso in cui le sostanze chimiche dovessero entrare nella parte posteriore del collo. Ti riempi le tasche di garza, cose basilari, prepari la miscela che allevia le scottature e la appendi alla vita. Scrivi i numeri di emergenza sul braccio nel caso in cui ti arrestassero e ti sottraessero il cellulare, nonostante tu abbia l’uniforme e un tesserino sanitario per soccorrere. Lasci, come sempre, un po’ di contanti in tasca nel caso dovessi prendere un taxi d’emergenza, una chiave, la tua carta d’identità in caso di controllo della polizia o qualcosa di peggio, sai, i desaparecidos non sono solo una cosa degli anni ’70. Ancora più importante: non devi scordarti la maschera antigas con nuovi filtri sempre a portata di mano. Ora sei pronta a curare e mettere al riparo i feriti dalla brutalità della polizia in una protesta.
Se qualcuno ti si avvicina con la pelle bruciata a causa di sostanze chimiche e hai acqua, lavalo bene, meglio se con sapone neutro. Se il bruciore è agli occhi, usa lo spruzzo di bicarbonato d’acqua direttamente sul viso e asciugalo tamponando leggermente e senza sfregarti la mano. Se qualcuno è ferito, viene fatta una valutazione e viene definito come verrà trattato, la gravità della lesione, se deve essere portato in ospedale, se è allergico a qualcosa, se ha una malattia cronica, ecc. Se puoi e non sono giunti un altro o due o tre o quattro feriti, puoi stare al suo fianco, scoprire come è stato ferito, quanti anni ha. Se piange puoi confortarlo, toccargli la spalla, chiedergli di cosa ha bisogno, se si lamenta puoi dirgli di respirare profondamente e stringergli la mano. Se ti guarda, ricambia lo sguardo, in modo che si ricordi che sei lì, che la lotta vi unisce e che non lo lascerai solo o sola finché non si sentirà meglio o finché non avrai stabilito quali saranno le sue cure. Dopo la visita, toccagli di nuovo la spalla, auguragli buona fortuna e ringrazialo per aver combattuto, guardalo di nuovo negli occhi, perché quel piccolo momento è una complicità per sempre.
Se cammini e vai in gruppo, stai vicino ai tuoi compagni, ricorda che state insieme per proteggervi, ricorda che la tua vita è tenuta sotto il loro scudo, proprio come loro tengono la tua. Se sono trascorse alcune ore e tutto è calmo, tira fuori le mandorle e distribuiscile. Se la giornata finisce bene, abbraccia la tua squadra, ma se uno dei membri è infortunato, prenditi cura del suo dolore come se fosse tuo, perché un giorno purtroppo potrebbe capitarti. Se quel giorno torni a casa tua sana e salva, fai una doccia e bevi un tè, spera di trovare qualcosa di buono in frigorifero e siediti per riprendere le forze così che, se ci dovesse essere una prossima chiamata, potrai ripartire vestita di solidarietà, con lo spray, lo zaino e l’anima pronta, casco e maschera antigas, nel caso chi combatte abbia bisogno di te.
Le brigate sanitarie sono scese in strada nelle grandi città dell’America Latina: Guatemala, Ecuador, Perù, Cile e anche in città degli Stati Uniti, come Portland, per soccorrere le vittime della repressione con cui gli stati hanno risposto alle giuste richieste dei loro popoli nelle mobilitazioni sociali. Dall’intossicazione da gas tossici alla perdita degli occhi, queste sono le ferite che continuano a lasciare le violazioni sistematiche dei diritti umani, in linea di continuità col dolore storico e contemporaneo, sia nelle proteste per vite dei neri, sia per la riparazione delle vittime del genocidio, per la lotta contro l’estrattivismo o chiedere le dimissioni di presidenti corrotti.
Ximena Soza è un’educatrice, poetessa e artista cilena, attività accomunate dalla ricerca della giustizia sociale. La sua educazione formale l’ha svolta tra il Cile e gli Stati Uniti, dove ha conseguito un dottorato in Filosofie dell’educazione urbana, con particolare attenzione all’educazione antirazzista e al bilinguismo. La sua educazione informale invece proviene da vari luoghi dell’America Latina e dal contatto con diverse comunità. Vive tra la California e il Chiapas, realizzando progetti che riuniscono tutte le sue aree di interesse e sviluppa materiali didattici per l’apprendimento delle lingue indigene.
Immagine di copertina: Foto a cura di Durga.