Da “Voce del verbo mare” (Arcipelago Itaca, 2022)
Dal punto di vista di Gagarin
Non c’è nulla nel mondo di piatto
e la Terra vista da quassù
in fondo è solamente un quadro astratto
senza uomini o donne che spuntino
fuori dalle loro ombre di soppiatto
Solo pennellate di mare
e verde di selve
Solo la Grande Muraglia
enorme e ben piantata nel terreno
come un fuscello di paglia
All’oblò io stesso mi perdo
in un riflesso
confondendo la mia testa con la Terra
E mi sembra già di non vedermi
quasi fossi incapsulato nello spazio
o mi avessero mangiato i vermi
Robinson
Tutto è così logico
Robinson
Come al solito hai un unico obbligo
un solo imperativo categorico
spegnere il fuoco
e guardare negli occhi la luna
illuminarsi poco a poco
Niente ricordi oggi
da accumulare per domani
niente foreste da abbattere
per farci foreste di zattere
Tutto è così ovvio
tutto è così logico
Robinson
Mentre Dio faceva il suo dovere
Per consolarmi penso a chi sta peggio
al ragazzo senza braccia per esempio
a cui di continuo prudeva l’orecchio
Non so se fossero pidocchi
o scabbia o lebbra
o una furia psicologica
che lo rodeva come un tarlo
ma doveva per forza grattarlo
grattarlo grattarlo grattarlo
A pochi passi dalla cattedrale
aveva eletto uno spigolo in basso
da un muro diverso da tutti gli altri muri
che un giorno avrebbe consumato
se non si fosse consumato prima lui
Trovava il suo sollievo torturandosi
sempre allo stesso modo
sempre allo stesso ritmo
sempre allo stesso posto
mentre Dio faceva il suo dovere
restare nascosto
Tre guerre fa
Tre guerre fa
non c’erano droni
guidati da uomini-automi
Tre guerre fa
ogni dito si prendeva
la sua responsabilità
Chi dava ordini e chi li eseguiva
aveva una divisa
Tre guerre fa
Hitler era una fantasia
Oggi invece è un ricordone
Tre guerre fa
i morti che sto calpestando
in questo cimitero di guerra
calpestavano altri morti
che avevano calpestato altri morti
che si erano cibati della stessa terra
Tre guerre fa
tutti
io tu lui noi voi loro
dissero “mai più”
solennemente in coro
Poi qualcuno costruì una bomba atomica
e sembrò brutto buttarla
La tragedia dell’autunno è nell’attesa
La tragedia dell’autunno è nell’attesa
in quelle foglie precarie
dall’aria sospesa
Conosco un poeta che aspetta
da trent’anni in qua
il suo grande amore scomparso
un’ora fa
Simone Consorti è nato nel 1973 a Roma, dove insegna in un liceo. Ha esordito con “L’uomo che scrive sull’acqua ‘aiuto’”(Baldini e Castoldi 1999, Euroclub 2000, Premio Linus). Ha pubblicato i romanzi “Sterile come il tuo amore”(Besa, 2008), “In fuga dalla scuola e verso il mondo”(Hacca, 2009), “A tempo di sesso”(Besa, 2012),“Da questa parte della morte”(Besa, 2015), “Otello ti presento Ofelia” (L’erudita, 2018), “La pioggia a Cracovia”(Ensemble, 2019), oltre che diverse raccolte di poesia, tra cui “Nell’antro del misantropo”(L’arcolaio, 2014) e “Le ore del terrore”(L’arcolaio, 2018), e la sua ultima fatica “Voce el verbo mare”, Arcipelago Itaca 2022.. La sua piéce “Berlino kaputt mundi” è andata in scena al Teatro Agorà di Roma nel marzo del 2018. Si occupa di street photography; ha tenuto mostre personali in Italia e partecipato a collettive in Russia.
Immagine di copertina: Opera di Alvaro Sanchez.