La riforma migratoria, perenne illusione degli indocumentati, di Ilka Oliva Corado

BERLIN Germany 2014

(Foto: dalla fotogallery di en nico)

Sin dal giorno dell’insediamento di Biden a presidente degli Stati Uniti, lo spirito della comunità latinoamericana è cambiato. Dalla paura e dal terrore provato nel governo Trump, ha sentito nuovamente l’entusiasmo del governo Obama che aveva promesso la Riforma Migratoria. Ma ci sono cose che non cambiano perché così è cementato il sistema, a beneficio di pochi: far emergere dall’ombra gli indocumentati significherebbe, per coloro che li assumono e pagano con salari da miseria, riconoscerli come lavoratori con diritti, e li obbligherebbe a pagare loro uno stipendio giusto. Da questo dipende il fatto che gli stessi latinos che un giorno sono stati indocumentati e sono riusciti ad ottenere il permesso di soggiorno nel Paese, non siano d’accordo con la riforma migratoria proposta da Biden. Sì, non c’è peggior nemico della tua stessa gente.

 

Negli Stati Uniti, tutti si approfittano degli indocumentati, ma ancor di più degli indocumentati latinoamericani che sono quelli che svolgono il lavoro più pesante. Imprese di giardinaggio, di costruzione, società di manutenzione, lavoro agricolo, tutti quelli che sanno che il latino ci lascia le penne sul lavoro, che lo fa bene e in poco tempo, che non si lamenta del salario, perché abbassa la testa per la sua condizione di indocumentato. E colui che abusa non è necessariamente gringo, può essere asiatico, africano, europeo, latinoamericano. Qualunque attività commerciale o impresa è sostenuta dalla schiena degli indocumentati latinoamericani. Ovunque si cerchi, sono loro a reggerne le fondamenta.

 

Tutto ciò non è una novità. Ciò che è relativamente nuovo sono le migrazioni di massa delle famiglie centroamericane. In passato erano gli uomini di famiglia, poi le donne, da 5 anni a questa parte intere famiglie. Nella frontiera sud degli Stati Uniti si vedevano messicani e centroamericani, ma da qualche anno tutta l’America Latina e i Caraibi, l’India, l’Africa e l’Asia; persone di diversi continenti cercano di entrare nel Paese attraversando il deserto o il fiume Bravo. In passato c’erano i cubani ammassati alla frontiera, adesso gli haitiani.

 

A causa della corruzione dei governi, la situazione in Centroamerica e in Messico è di vita o morte, per questo intere famiglie fuggono dai luoghi d’origine, lasciando tutto. É spaventoso solo immaginarlo, terribile è il vuoto che lasciano nei loro Paesi e quello che devono vivere durante l’attraversamento; per poi affrontare un sistema che li denigra perché non hanno i documenti che li accreditano come esseri umani con diritti lavorativi.

 

La proposta di Biden è molto simile a quella di Obama, quello stesso Biden che ne è stato vicepresidente. All’epoca di Obama erano iniziate le migrazioni di bambini che viaggiavano soli, in questo governo i numeri si sono moltiplicati, adesso sono migliaia. La crudeltà del sistema si è vissuta a pieno negli anni del governo Trump, che li trattava come criminali non appena attraversata la frontiera, rendendo le separazioni familiari baluardo per i suoi sostenitori.

 

Biden può contare sulla prima donna vicepresidente del Paese, che si è pronunciata a favore dei diritti dei migranti indocumentati, unendosi alla proposta di Riforma Migratoria. Ma cosa riguarda tale proposta? Stando a quanto si sa, è rivolta innanzitutto ai Dreamers, protetti dal Deferred Action for Childhood Arrivals (DACA) voluto da Obama e a tutti coloro in possesso del TPS (Temporary Protected Status), questi otterrebbero il permesso di soggiorno permanente immediatamente e la cittadinanza in 3 anni. I lavoratori agricoli, che riescano a provare di svolgere questo lavoro da almeno 5 anni, possono sistemare i loro documenti allo stesso modo. Il resto degli indocumentati che rispondano ai requisiti (tutta la revisione dei precedenti penali, per esempio) avrà un permesso di lavoro di 5 anni e in questo lasso di tempo potrà richiedere il permesso di soggiorno permanente e dopo 3 anni la cittadinanza.

 

La stragrande maggioranza degli indocumentati non rientra nei DACA, non possiede TPS né si tratta di lavoratori agricoli. Questa grande maggioranza resta ultima. È gente che vive qui da 20 anni, che si carica cemento sulla schiena, che taglia la gramigna dall’alba al tramonto, che spala la neve, pulisce le case, i centri commerciali, gli ospedali e gli uffici. Si prende cura di anziani. Sono i camerieri dei ristoranti. Sono lavoratori essenziali proprio come quelli che appartengono al primo gruppo.

 

Dal poco al nulla il passo è breve se si ascoltano i commenti degli indocumentati che, pur non rientrando nei primi tre gruppi, hanno l’illusione che il governo Biden dia loro dignità, perché è gente che paga le tasse, che si è creata una vita qui, che vede questo Paese come suo, come la propria casa.

 

Questa proposta elimina il tempo di attesa che va da 3 a 10 anni, che castiga gli immigrati per aver vissuto in modo irregolare nel Paese. Nessuna persona che risponda ai requisiti potrà essere deportata fintanto duri il procedimento.

 

É una proposta veramente ottimista, però deve essere ancora approvata dal Congresso, dove i repubblicani si oppongono. E dove la grande maggioranza democratica si è opposta agli aiuti economici del governo agli indocumentati in questo tempo di pandemia.

 

Ciò che è cambiato dall’insediamento di Biden è l’attitudine fascista e razzista del cittadino comune. Nel governo Trump, sin dal primo giorno, la persona da cui meno te lo aspettavi esprimeva razzismo a flotte, sbraitando ovunque il suo odio. Sono stati marcati dal terrore quei quattro anni. La stessa gente che ora, nel governo Biden, ha messo la coda tra le gambe.

 

La comunità indocumentata spera che sia il momento giusto, che questo governo realizzi ciò in cui Obama li ha delusi. Altri, increduli, preferiscono non emozionarsi perché sanno bene come funziona il sistema e dicono che non crederanno fin quando non vedranno. La cosa certa è che si lotta in Congresso e lì ci si aspetta il sostegno definitivo della vicepresidente quando si dovrà prendere una decisione per la riforma migratoria.

 

Però, mentre le cose stanno così, la frontiera continua ad essere la frontiera, con o senza il muro, e l’indocumentato pure…

 

Ilka Oliva Corado. @ilkaolivacorado

28 marzo 2021

Traduzione di Maria Rossi

 

Ilka Oliva Corado è nata a IlkaComapa, nel dipartimento di Jutiapa, in Guatemala, l’8 agosto 1979. Da bambina vendeva gelati nel mercato di Ciudad Peronia, nella periferia della capitale guatemalteca.

Si è diplomata in Educazione Fisica, per poi diventare arbitro di calcio. Ha intrapreso studi di psicologia presso l’Universidad de San Carlos, in Guatemala, interrotti nel 2003 quando decide di emigrare negli Stati Uniti, attraversando da indocumentata il deserto di Sonora nello stato di Arizona.

È autrice di numerosi libri: Historia de una indocumentada travesía en el desierto Sonora-Arizona (tradotto al francese e allo svedese) e Post Frontera, raccolte di poesie: Luz de FaroEn la melodía de un fonemaNiña de arrabalDestierroNostalgiaAgosto e Ocre, racconti: Crónicas de una inquilina. Il suo ultimo libro: Transgreditas è una raccolta di racconti sulla violenza sulle donne, sono testimonianze reali raccolte dall’autrice e da lei trasformate in racconti di donne vittime di violenza sessuale nel loro attraversamento della frontiera o della tratta di persone con scopi sessuali. È giornalista: i suoi articoli compaiono in diverse testate latinoamericane ed è autrice di un blog: Crónicas de una inquilina.

 

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Riguardo il macchinista

Maria Rossi

Sono dottore di ricerca in Culture dei Paesi di Lingue Iberiche e Iberoamericane, ho conseguito il titolo nel 2009 presso L’Università degli Studi di Napoli l’Orientale. Le migrazioni internazionali latinoamericane sono state, per lungo tempo, l’asse centrale della mia ricerca. Sul tema ho scritto vari articoli comparsi in riviste nazionali e internazionali e il libro Napoli barrio latino del 2011. Al taglio sociologico della ricerca ho affiancato quello culturale e letterario, approfondendo gli studi sulla produzione di autori latinoamericani che vivono “altrove”, ovvero gli Sconfinanti, come noi macchinisti li definiamo. Studio l’America latina, le sue culture, le sue identità e i suoi scrittori, con particolare interesse per l’Ecuador, il paese della metà del mondo.

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