Le tre poesie sono state lette all’evento “La poesia non si frusta!” tenutosi a Bologna il 22 aprile, grazie a una collaborazione tra il CUA (Collettivo Studentesco Autonomo) e la macchinasognante.com. Obiettivo della serata è stato mantenere la pressione internazionale per la scarcerazione di Ashraf Fayadh, che era stato condannato il 20 novembre scorso alla pena capitale, con riduzione, il 3 febbraio 2016, a 8 anni di galera, 800 frustate e la rinuncia totale alla sua opera letteraria. Per rafforzare la solidarietà internazionale con il poeta, uno dei progetti de lamacchinasognante.com è la pubblicazione della traduzione della sua raccolta di poesie “Istruzioni per l’uso”, pertanto terremo i lettori aggiornati su come procede il progetto e quali saranno i tempi di uscita del libro. Per informarsi in maniera più approfondita, leggere l’ esauriente saggio che delinea il caso Ashraf Fayadh e analizza le sue poesie, scritto da Gassid Mohammed e ospitato nel numero 1 de lamacchinasognante.com http://www.lamacchinasognante.com/la-morte-e-vetro-la-poesia-e-luce/
Nome di un sogno al maschile
Mentre sei dedito a santificare le tue afflizioni,
come fai a non notare che le tue vene faticano
a iniettare d’insonnia i tuoi occhi?
Non hai forse notato
sui marciapiedi della notte i cuori degli abbandonati
allontanarsi, così tante volte, dalla tua vista?
Fino all’arrivo dell’alba
I sistemi della notte funzioneranno
quando l’alba sarà arrivata sui confini delle dense nuvole
nel soffitto della tua immaginazione.
Forse non hai neppure notato …
quanto ami interpretare le arterie delle donne
e i corpi gettati sulla superficie di memorie
di un tempo lontano?
Intrise del fango dell’interpretazione sono le tue pagine
e, di queste, non sono state lette che poche lettere.
Come te,
in queste pagine tutte le lingue conosciute sulla terra
si sono esaurite per coniare un nome che ricordi la tua definizione dell’io.
Un calamaio gravido di probabilità è il tuo nome
La tua corporatura sfida ogni definizione
di armonia degli organi.
Vieni laddove il tuono ti potrà vedere per dissolvere
il tuo corpo logorato,
dove farà risorgere la tua anima come nuvola, seguita da una pioggia
scrosciante vita che dichiara il tuo nome meno di un sogno
e che non sarà tale, finché non saprai rinunciare
alle definizioni di dubbi piaceri e di ebbre notti,
e alle bocche che acclamano i nomi sacri dell’amore.
Vieni poiché lunga è la notte per l’amante,
eppur non basta per incidere il suo piacere
su corpi saturi di profumo di pesche
e sommersi nei piaceri proibiti della notte.
Vieni laddove la nube trasporta la tua forma malaticcia
e strappa la tua anima al suo esilio,
a un cuore che acclamava l’assenza di briciole d’amore nelle sue stanze,
e ai miraggi della presunta patria a cui credevi di appartenere, in ogni granello della sua terra.
Da quando in qua rispetta le leggi del traffico il vento?
Da quando in qua
si arresta davanti al tuo semaforo rosso?
Da quanto tenti di persuaderlo a una tregua
per raccogliere qualche parola
o qualche notizia inadatta ormai alla stampa?
Saranno i tuoi occhi a confessare che l’insonnia
ha violato i segreti nascosti della notte
e neppure questa manterrà a lungo il silenzio.
Idolo è il tuo cuore rinnegato dalle tue arterie
e tra le sue mani queste non sacrificano più vene
in tributo al trono di belle divinità.
Il tuo nome non mi riguarda
non può assolvere tutti i miei peccati di aridità
e non intercede presso la notte per evadere dalla sua solitudine,
il tuo nome è un numero perso …
un fardello che ti ha rotto la schiena!
di Ashraf Fayad, tradotta dall’arabo da Sana Darghmouni.
In un luogo freddo e asciutto
Tutto rimarrà uguale, insieme ai frequenti mal di denti
Incastrata in gola la delusione, appuntita come una spina di pesce,
Il violoncello, posato con precisione sulla tua coscia sinistra!
Continueranno anche i disastri naturali
Perché la terra, come noi… è vittima della sindrome da noia cronica!
Non è che un grosso masso di carbone… la terra, sommersa in parte da acque
E la cenere di sigaretta è più soffice dei petali di un fiore appena sbocciato!
In un luogo freddo e asciutto mi verrà la nausea
A guardare la sigaretta a poco a poco sfaldarsi
E con monotonia perdere forma
Fingendo che il tempo della gioia debba ancora arrivare
E ricordando benissimo il sapore delle fragole
Quel gusto che saziava l’ego con la sua somiglianza
Al tuo capezzolo amato!
A sua volta il seme… è terrorizzato all’idea di trasformarsi in albero
Come me, terrificato di destarsi dal sonno e affrontare il nuovo giorno
Le piante, per loro fortuna, non hanno un sistema nervoso!
Insisti a cercare il tuo sogno e io insisterò a cercare la mia realtà
Perché per entrambi non è affidabile il reale
Corre lontana la mia mente
Come fumo svanisce in una stanza ben ventilata
Dalle cui finestre sale con indomito coraggio un freddo
Prima ancora del bisogno di tepore potrebbe esserci quello di aria
Solo allora potremo chiamarci creature normali!
Lascia che il freddo s’infiltri
E sposti in giù la lancetta della luna
Lascia che si ritiri il mare, che si spengano le stelle
Che si spenga l’elettricità nelle strade
Riposa solo un po’ le tue dita
Voglio vedere chiara la tua faccia
La nostra visione delle cose potrebbe essere diversa
Anche se abbiamo quasi gli stessi occhi
Vediamo però lo stesso grosso strato di terra sulla superficie di questo pianeta
E oltre la nostra storia piena di scene drammatiche, abbiamo menti diverse
Entrambi avevamo ragione
La luce del giorno è quella che ci aiuta a vedere le cose per quel che sono, temporaneamente
La notte è il fatto che siamo oggetti opachi che si muovono su una massa sferica opaca
Sospesa nello spazio.
I dettagli della luna sono confusi e mimetizzati
Come una compressa effervescente
Che nuota in un bicchiere d’acqua mezzo vuoto!
Bevi la tua tazza di caffè serale con la passione che avevi lasciato arrugginire
Strapperò l’ieri e lo butterò dalla finestra
Pulirò per la sesta volta il posacenere
E ripeterò la stessa canzone quando gli operai dalle impalcature vicine
faranno rumori scurrili
In quanto essere umani potevamo rimanere primitivi
Riprodurci sessualmente in modo regolare
Ma l’insistente bisogno umano di mantenere la forma del gregge
Ci ha indotti a produrre banconote più leggere delle tavolette di sale
E non commestibili!
Non posso avere nostalgia di te
Devo mantenere la mia salute mentale
Devo mantenere quella calma che permette agli insetti notturni
Al latrato dei cani in lontananza
E a qualche macchina che passa nella strada vicina… di continuare a praticare le stesse cose… solo per divertimento
Il domani non lo possiamo vedere
Il Tempo è l’unica cosa che i nostri sensi non possono realizzare-
Ed è per questo che scivoliamo con facilità nei verbi al passato
E non possiamo farci niente!
Il freddo domina la mattina
Il fumo sale a forma di anello come bocca spalancata in uno sbadiglio
Il mio rapporto con il tempo è ancora teso
E dovrei pure dormire un po’!
di Ashraf Fayadh, in “Rhizoma- generation in waiting”, mostra prodotta da Edge of Arabia, curata da Sara Raza e Ashraf Fayadh, che rappresentava l’Arabia Saudita alla 55esima Biennale di Venezia, ottobre 2013. Traduzione dall’inglese di Pina Piccolo, rivista dall’originale arabo da Sana Darghmouni.
E la prima poesia di Ashraf Fayadh dal carcere, pubblicata il 21 marzo 2016 in occasione della giornata mondiale della poesia
Tempi tesi
Tempi tesi per me,
e il sonno si comporta come una ragazzina appena colpita
dalla freccia dell’amore.
Dovrò ignorare lo stato in cui versa il mio cuore
e le sollevazioni della mia mente come gorgoglio d’acqua
oltre il punto di ebollizione.
Sono una parte dell’universo su cui l’universo riversa la sua rabbia,
una parte della terra per cui la terra prova assoluta vergogna
un miserabile umano verso cui
altri esseri umani non possono mantenere la neutralità.
La neutralità: un ‘illusione
come tutte le virtù di cui parlano gli umani,
così vergognosamente teoriche.
Verità è un termine inadeguato, proprio come Uomo,
e l’amore si dimena alla meglio, come una miserabile mosca
intrappolata in un cubo di vetro.
La libertà è molto relativa
Tutto considerato viviamo in una prigione circolare
con le sue sbarre di ozono:
e quando veniamo liberati
il nostro destino è sicuramente la morte.
Sono incapace di ridere,
Pure di sorridere sono assolutamente incapace.
E al contempo, incapace di piangere.
Incapace di agire come un essere umano
il ché non mi sconvolge minimamente
sebbene faccia male,
avere un corpo ricoperto di fine peluria,
camminare su due arti,
dipendere interamente dalla mente,
essere attratto dai propri desideri fino al limite estremo,
vedere intrappolata la propria libertà,
vedere altri che hanno deciso di ucciderti,
perdere chi ti è stato più caro
senza poter dar loro l’addio.
A che serve l’Addio,
se non per lasciare l’impronta della tristezza?
A che serve un l’incontro?
A che serve l’amore?
A che serve questo suo grado
di vita
mentre altri muoiono di dolore
per te?
Ho visto mio padre per l’ultima volta attraverso un vetro massiccio
poi se n’è andato per sempre.
A causa mia, diciamo.
Perché, diciamo, non sopportava l’idea
che io morissi prima di lui.
Mio padre è morto e mi lasciato assediato dalla morte
senza che questa mi terrorizzasse a sufficienza.
Perché la morte ci spaventa a morte?
Mio padre se n’è partito dopo aver passato
molto tempo sulla superficie di questo pianeta.
Non gli ho dato l’addio come dovevo
e neppure la perdita ne ho pianto come dovevo
Ero incapace di lacrime,
come è mia abitudine
che peggiora di anno in anno.
Da tutti i lati sono assediato da soldati
dalle uniformi scolorite,
sono assediato da leggi, regimi e statuti.
Sono assediato dalla sovranità,
dal suo istinto altamente concentrato
che le creature viventi non possono scrollarsi di dosso.
Sono assediato dalla mia solitudine,
essa mi soffoca
Sono strangolato dalla depressione, dall’ansia, dalla preoccupazione,
dal rimorso, di essere un membro della razza umana,
questo mi uccide.
Non ho potuto dire addio a tutti quelli che mi sono cari
e che se ne sono andati, anche se solo per il momento.
Non ho potuto lasciare una buona impressione nell’incontro finale.
Poi mi sono arreso ai fucili della nostalgia
puntati contro di me.
Ho rifiutato di alzare la mano
e così sono diventato senza potere.
Poi mi ha legato il dolore
incapace anch’esso di forzarmi le lacrime.
Mi rosica dentro la consapevolezza
e uccide ogni mia possibilità di sopravvivenza.
la consapevolezza mi uccide lentamente
ed è davvero troppo tardi per trovare la cura.
di Ashraf Fayadh, 21 marzo 2016, tradotta dall’inglese da Pina Piccolo, rivista da Sana Darghmouni.
Tutte e tre le poesie sono tutelate dalla Licenza Creative Commons
Immagine in evidenza realizzata dal Collettivo Universitario Autonomo (CUA).