A Zhaer e Julio
Un giorno io
ti farò entrare nella mia pelle
e incontrerai il sangue vivo dei
naufraghi di cinque continenti,
iI battito finito dei loro cuori
che non toccando la riva
non ha così potuto trasformarIi
in detenuti di prevenzione per colpe future,
in speranzosi fuggitivi, in vu cumprà,
in schiavi, in lustra scarpe, in puttane,
in badanti, in spacciatori, in femminielli esotici,
in tagliatori di canna da zucchero, baby sitters,
in mafiosetti della strada, in bande di reietti,
in mungi-vacche e lavoratori dei campi
non pagati, in cucitrici a tarda notte,
in compagne di signorotti, in mastini
per donne liberali per assenza di coito,
in venditori di giochi luminosi per le strade,
in mani aperte a travasi di pietà, né
hanno avuto la sorte di essere ragazze
e ragazzi in centri di bontà in attesa di
adozioni, di essere portati a passeggiare
senza guinzaglio nei giardini e nei palazzi
padronali, che non si sono potuti mischiare
con i giovani bene delle università, bere birra,
scoprire le erezioni e gli umori fra suoni di chitarra
gli sguardi di ragazzi bastardi ed i capricci di ragazze nuove,
fumando porra in una piazza, vendendo
droghe col sorriso sulle labbra mentre, la luna uguale
a quella della terra lontana, gli avrebbe fatti sentire come
la vita leggiadra -fuori dalla famiglia e dalle religioni-
suona come un’ arpa dentro l’euforia dei polmoni:
ah la giovinezza!; che non hanno potuto aprire Khebab,
pizzerie, rimesse di vestiti ed enternet coffees di western
union e cambio valute, ne’ alimentari open sino a tarde ore
ad accompagnare e smerciare la fame e l’ansia della città
che non dorme; e sentirai la carne
di quelli che non sono potuti diventare scaricatori
nei porti di gioia, né operai di tempi matti, né bariste
delle buone ore, che non hanno potuto lavare le scale
delle palazzine o fare i massaggiatori occasionali, né diventare
lava piatti e condividere sotto i ‘lavura negro, paky, giallo,
straniero o, te ne vai a ‘fanculo di un padroncino,
il riso allegro di altri simili; che non hanno potuto mandare
a scuola -nelle classi a rischio- i figli piccoli, coi vestiti
dei figli più grandi – loro- divenuti in questa Terra – chissà perché-
così ammutoliti e strani, che non hanno potuto ospitare un cugino
o subaffittare inaciditi una stanza ad un’intera famiglia,
che non hanno saputo fare divorzi ed avere l’assistenza sociale,
né una volta diciottenni rivendicare lo Ius soli, che non hanno potuto
tentare in capannoni o nelle periferie di chiese abbandonate
i culti rinnovati e qualche tinta di tradizione,
che non hanno potuto picchiare in inglese, in lingue africane, in albanese,
in russo, in rumeno, in arabo, brasiliano o portoghese,
in hindi, in cinese o italiano … i loro figli e le donne,
con quel rancore e senso d’impotenza latrante dentro il cuore;
e allora sentirai l’odore vivo di tutti questi
morti, che non hanno potuto sognare di scrivere sui giornali,
aprire un blog, unirsi in gruppo per non sentirsi soli, che non hanno
potuto articolare la rabbia in diritti umani, né aspirare a diventare
sportivi osannati, scrittori di razza, cantanti che attizzano
adolescenti dell’epoca globale, invitati di lusso in trasmissioni
nazionali, né politici che ribattono all’ansia degli estranei o
semplici maestri per il domani.
E allora unito alla mia pelle, alla bonaccia di queste erranti
anime, finalmente – in me- ti sentirai straniero.
Non temere. La mia pelle non è un confine, ma un inizio
senza fine.
Ti mostrerò il tesoro di questa dura scorza
e il segreto alloro ove, si muovono in volo,
con desideri colmi di tenerezza e forza, stormi
di allodole: e sono loro, io ed ora tu.
Lìberale …
- Cerolini 10 Marzo 2015 Arese
La poesia Pelle parteciperà alla Biennale di Milano 2015 insieme ad una scultura vegetale, che rappresenta appunto la pelle, accartocciata ed a una maglietta trovata nelle coste dell’adriatico, sulla sabbia, che ho strappato e su cui ho scritto la poesia. Fa parte di un progetto più ampio, che si Intitola “Radici” appunto.
Nato in Brasile 1981, Reginaldo Cerolini si trasferisce in Italia (con famiglia italiana) divenendo ‘italico’. Laureato in Antropologia (tesi sull’antropologia razzista italiana), Specializzazione in Antropologia delle Religioni (Cristianesimo e Spiritismo,Vipassena). Ha collaborato per le riviste Luce e Ombra, Religoni e Società, Il Foglio (AiBi), Sagarana, El Ghibli . Fondatore dell’Associazione culturale Bolognese Beija Flor, e Regista dei documentari Una voce da Bologna (2010) e Gregorio delle Moline. Master in Sceneggiatura alla New York Film Academy e produttore teatrale preso il National Black Theatre. Fondatore della CineQuartiere Società di Produzione Cinematografica e Teatrale di cui è (udite, udite) direttore artistico. Ha fatto il traduttore, il lettore per case editrice, il cameriere, scritto un libro comico con pseudonimo, l’aiuto cuoco, conferenziere, il commesso e viaggiato in Africa, Asia, Americhe ed Europa.
Foto in evidenza di Reginaldo Cerolini.