La parola gentilezza: storie di teatro – di Sergio Sichenze

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Il poliedrico artista e pedagogista Roberto Piumini, che ha dedicato ai ragazzi la sua opera, ha definito il teatro «la casa dei linguaggi». La più antica forma di rappresentazione, costituisce un’arte dai connotati imprecisi, indefiniti e sfuggenti a qualsiasi categorizzazione. Nello spazio teatrale accade l’inatteso, anche alla ennesima replica. La pluralità di linguaggi oltrepassa ciò che i sensi percepiscono: si transita oltre lo specchio. Si accede alla molteplicità delle dimensioni esistenziali. Ciascuno può ricevere un dono che tesaurizza per il proprio Sé. Prima dell’avvento delle lanterne magiche, e successivamente del cinema, il teatro aveva tracciato e inciso in modo incancellabile e profondo il variegato strato delle società umane: ciò non è mutato. Come la poesia, e con la poesia, il teatro è stato l’humus sul quale seminare la democrazia nella Grecia classica. Questo lógos, nell’accezione eraclitea di fondamento, ha prodotto un ecosistema culturale di inestimabile valore etico, ovvero matrice dell’essere umano, in un dialogo intimo tra l’uomo e l’uomo, ma soprattutto tra l’uomo e quanto progressivamente nei secoli ha profondamente alterato: la rete inestricabile dei sistemi ambientali dei quali egli stesso è parte integrante e interagente.

La crisi planetaria nella quale siamo immersi, che per semplificazione viene definita ambientale, ha trovato nel teatro, e non solo, un efficace antidoto al veleno del «capitalismo parassitario», come lo definisce Zygmunt Bauman, dove i cittadini hanno assunto la funzione di consumatori, trasformandosi in «territori ancora vergini da sfruttare».

Ecco, dunque, che il teatro è entrato in scena.

Due esperienze significative di teatro per ragazzi sono state realizzate alcuni anni fa, grazie alla collaborazione tra l’ARPA Friuli Venezia Giulia, attraverso il proprio Laboratorio Regionale di Educazione Ambientale (LaREA), e La Piccionaia – I Carrara Teatro Stabile di innovazione di Vicenza, che vanta una lunghissima e proficua esperienza proprio nel teatro per ragazzi.

Il processo educativo messo in atto per la produzione degli spettacoli, ha preso avvio con un dialogo continuo tra le differenti competenze delle persone coinvolte, trovando un filo conduttore nella trama che si andava costruendo. Il primo ostacolo da superare è stato quello semantico, in relazione alla necessità di pervenire a un equilibrio tra i codici linguistici da utilizzare: quello teatrale-narrativo e quello educativo-scientifico. La formula laboratoriale, ovvero di uno spazio artigiano condiviso, ha dato rapidamente i suoi frutti, forgiando una lega metallica con caratteristiche innovative: resistente sul piano dell’autorevolezza dei contenuti, duttile su quello della narrativa. L’ecotessuto, così si potrebbe definire, ha preso forma seguendo la complessità ineludibile delle problematiche selezionate: l’acqua e i rifiuti.

La stessa scelta dei titoli ha richiesto un confronto serrato. Il primo spettacolo, in ordine cronologico, è stato “L’acqua invisibile”, mentre il secondo, di poco successivo: “La vita segreta degli oggetti: quello che resta”. Per quest’ultimo si è inoltre sperimentata la modalità della residenza teatrale. Il regista e gli attori della Piccionaia, hanno trascorso alcune settimane in diverse località del Friuli Venezia Giulia. Al mattino incontravano i ragazzi, proponendo loro ciò che nel pomeriggio precedente avevano sperimentato nel “laboratorio condiviso”, in modo da raccogliere suggerimenti e osservazioni che arricchivano e modificavano il brogliaccio realizzato. Ne è sortita una concreta narrazione sociale, che ha attinto alla tradizione maieutica dell’educare e della formazione in azione.

Il focus dei copioni era centrato sul porre punti di vista diversi in merito a due questioni ambientali (acqua e rifiuti) largamente affrontate e dibattute, tanto nella comunità scientifica che in quella politico-amministrativa, nonché nelle organizzazioni del terzo settore, dell’associazionismo e del no profit.

L’acqua invisibile indirizza, sin dal titolo, lo spettatore a rintracciare questo elemento vitale in posti non convenzionali: ad esempio nel carrello della spesa (negli alimenti, plastica, altri oggetti), o negli indumenti che abitualmente indossiamo. Il viaggio dell’acqua, che la narrazione teatrale propone, conduce in diverse aree del Pianeta che risentono, in modo anche drammatico, del modello economico lineare di sfruttamento incondizionato delle risorse naturali e degli effetti sugli equilibri bioecologici globali. Lo spettacolo si nutre anche delle storie delle tradizioni antiche, come quella australiana della rana egoista o quella somala di Xiltir e Gul, fino alla contemporaneità del pastore con i jeans, che ripercorre in modo ironico la storia tragica del Lago di Aral e della sua progressiva scomparsa. Tra comici documentari scientifici e pubblicità  a confronto, gli attori interagiscono con un flusso continuo di immagini video dal vivo, proponendo un ventaglio di punti di vista diversi, tra i quali gli spettatori potranno scegliere e formare le loro idee, scrivere la propria favola dell’acqua e indirizzare consapevolmente il loro futuro. Una trama che attraversa e concatena la complessità e le stridenti contraddizioni dell’attualità senza mai smarrire la cifra poetica ad esempio con il “Signore di Cesenatico” di Gianni Rodari, e “L’acqua è insegnata dalla sete”, la toccante poesia di Emily Dickinson: «L’acqua è insegnata dalla sete./La terra, dagli oceani traversati./La gioia, dal dolore./La pace, dai racconti di battaglie./L’amore. Da un’impronta di memoria./Gli uccelli, dalla neve».

“La vita segreta degli oggetti: quello che resta”, trova in scena i due protagonisti che si confrontano, si scontrano, si interrogano comicamente e poeticamente sul rapporto che ognuno di noi intrattiene con gli oggetti che attraversano la sua vita. Si scopre così che alcuni oggetti, apparentemente insignificanti, sono chiavi per aprire i cassetti segreti della nostra memoria, preziosi richiami ai ricordi. Si apprende, ad esempio, che anche gli animali lasciano i loro “indizi”; alcuni li seppelliscono, altri li esibiscono, ma un esperto è in grado di indovinare moltissime cose osservandoli: ciò che abitualmente s’allontana, il teatro avvicina. Cosa succede quando nella vita di uno dei due personaggi arriva un fratellino piccolo, che invade la sua vita con oggetti indesiderati ed ingombranti? E cosa succederà quando questo fratello piccolo crescerà e marcherà il suo territorio popolandolo di “resti” usati e gettati? Forse troverà il modo di nasconderli alla vista? Quando si impara a produrre rifiuti? Chi ce lo insegna? Quanto tempo ci vuole a produrre un rifiuto e in quanto tempo si degrada? Posso Riusare, Riciclare, Ridurre: praticare l’arte della sobrietà? E’ proprio inevitabile che tutto ciò che uso si rifletta in qualcosa che getto? Una archeologa può dirmi moltissime cose sulla vita delle persone vissute 6500 anni fa, osservando la loro immondizia, ma cosa mi dirà un’archeologa fra 6500 anni se indagasse tra i miei rifiuti? Dove li troverebbe? ad Agbogbloshie in Ghana o a Guiyu in Cina? Nel mondo globalizzato non si spostano solo le merci, le persone, ma anche i rifiuti!

Le cose che lasciamo parlano di noi, raccontano storie, come la fiaba della principessa incantata, rappresentata con scarti domestici animati in diretta con la tecnica del teleracconto, utilizzando un sorprendente e divertente gioco di prestigio. C’è una parola che ritorna nella fiaba, ed è la parola gentilezza. Uno sguardo particolare, con cui guardare le nuvole, le persone, ed anche le cose. Ed allora cosa resta di noi? Quale storia consegniamo al nostro futuro?

 

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Sergio Sichenze è nato a Napoli nel 1959. Vive e lavora a Udine. È biologo e naturalista, si occupa di processi educativi per la sostenibilità. Ha pubblicato racconti e raccolte poetiche. Sue poesie compaiono in alcune antologie di poesia. Nel 2018 ha vinto il Premio Nazionale di Poesia Terra di Virgilio. Dal 2019 è membro della giuria Premio Nazionale di Poesia Terra di Virgilio. Fa parte del comitato di redazione della rivista letteraria “Menabò” (Terra d’Ulivi Edizioni) per la quale cura la rubrica “Pi greco”.

 

Immagine in evidenza: Foto di Teri Allen-Piccolo.

Riguardo il macchinista

Bartolomeo Bellanova

Bartolomeo Bellanova pubblica il primo romanzo La fuga e il risveglio (Albatros Il Filo) nel dicembre 2009 ed il secondo Ogni lacrima è degna (In.Edit) in aprile 2012. Nell’ambito della poesia ha pubblicato in diverse antologie tra cui Sotto il cielo di Lampedusa - Annegati da respingimento (Rayuela Ed. 2014) e nella successiva antologia Sotto il cielo di Lampedusa – Nessun uomo è un’isola (Rayuela Ed. 2015). Fa parte dei fondatori e dell’attuale redazione del contenitore online di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com. Nel settembre’2015 è stata pubblicata la raccolta poetica A perdicuore – Versi Scomposti e liberati (David and Matthaus). Ė uno dei quattro curatori dell’antologia Muovimenti – Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi Edizione – ottobre 2016), antologia di testi poetici incentrati sulle migrazioni. Nell’ottobre 2017 è stata pubblicata la silloge poetica Gocce insorgenti (Terre d’Ulivi Edizione), edizione contenente un progetto fotografico di Aldo Tomaino. Co-autore dell’antologia pubblicata a luglio 2018 dall’Associazione Versante Ripido di Bologna La pacchia è strafinita. A novembre 2018 ha pubblicato il romanzo breve La storia scartata (Terre d'Ulivi Edizione). È uno dei promotori del neonato Manifesto “Cantieri del pensiero libero” gruppo creato con l'obiettivo di contrastare l'impoverimento culturale e le diverse forme di discriminazione e violenza razziale che si stanno diffondendo nel Paese.

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