LA NOTTE NON SI ADDORMENTA NEGLI OCCHI DELLE DONNE: POESIE DELL’AFROBRASILIANA CONCEIÇÃO EVARISTO (a cura di Anna Fresu)

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Letteratura afrobrasiliana: CONCEIÇÃO EVARISTO E LA ESCREVIVÊNCIA.
UNA VOCE DA DENTRO E D’ATTORNO (a cura di Anna Fresu)

Scrivo perché, per me, non esiste un altro modo per affrontare, sopportare, ordinare, la vita, se non scrivendo. Mentre scrivo faccio della vita che mi si presenta quello che voglio. I personaggi centrali della mia creazione, sia letteraria che critica, nascono profondamente segnati dalla mia condizione di donna nera e povera nella società brasiliana. Scrivo per la mia gente, perlomeno come desiderio. Poiché è dalla quotidianità delle classi popolari che traggo il succo della mia scrittura. È da questo mio luogo, è da questo –da dentro a fuori- che sbocciano le mie storie. Mi piacerebbe tantissimo che queste storie narrate ritornassero sotto forma di libro nelle mani di coloro che me le hanno ispirate”.


Così Maria da Conceição Evaristo de Brito, romanziera, poeta e saggista, afrobrasiliana, esprime la poetica che ispira le sue opere. Nata nel 1946 in una favela di Belo Horizonte, si trasferisce a Rio de Janeiro dove, conciliando gli studi con il lavoro come donna delle pulizie, venditrice di riviste, baby sitter, riesce a laurearsi in Letteratura Brasiliana, conseguire un dottorato in Letteratura Comparata e realizzare il suo sogno di insegnare nelle scuole di periferia. Per lei insegnare è un modo di restituire alla vita tutto ciò che ha ottenuto.

Il suo esordio letterario avviene nel 1990, con la pubblicazione di racconti e poesie nella serie Cadernos Negros. I suoi testi sono tradotti in Germania, Inghilterra e Stati Uniti e studiati nelle università brasiliane.

Nel 2003 pubblica il romanzo Ponciá Vicêncio, per la casa editrice Mazza di Belo Horizonte. Nel 2006 esce un altro romanzo, Becos da memória. Entrambi i romanzi sono improntati a un realismo poetico, al dramma della comunità nelle favelas e al ruolo centrale della figura femminile, simbolo di resistenza alla povertà e alla discriminazione.

Nel 2008 viene pubblicato il volume Poemas de recordação e outros movimentos, che pur continuando a denunciare la condizione sociale degli afrodiscendenti, si esprime in un sensibile e tenero lirismo e in un raffinato linguaggio. Nel 2011, viene lanciato il libro di racconti  Insubmissas lágrimas de mulheres, in cui, ancora una volta, analizza le relazioni di genere in un contesto sociale dominato dal razzismo e dal sessismo.

Nel 2015 vince il premio Jabuti con il suo libro di racconti “Olhos d’água” (Pallas). Segue nel 2016 “Histórias de leves enganos e parecenças”, per le edizioni Malê. Nei suoi testi sono sempre presenti la critica sociale e il mistero, la magia che pervadono la sua religiosità ancestrale.

Dal tempo/spazio ho imparato fin da bambina a raccogliere parole. La nostra casa vuota di mobili, di cose e molte volte di cibo e di vestiti, era abitata da parole. Mamma raccontava, mia zia raccontava, mio zio vecchietto raccontava, i vicini amici raccontavano. Io, bambina, ripetevo, cercavo. Sono cresciuta posseduta dall’oralità, dalla parola. Le bambole di stoffa e paglia che mia madre creava per le figlie nascevano con un nome e una storia. Tutto era narrato, tutto era motivo di prosa-poesia.1

L’autrice afferma di credere profondamente nella forza della parola che viene da dentro non perché pensi che solo chi è discriminato possa parlare di discriminazione ma per la forza che la testimonianza diretta, vissuta, può esprimere. Crede anzi che la questione razziale in Brasile non riguardi solo gli afrodiscendenti, ma che debba essere l’intera nazione brasiliana ad assumerla e risolverla, così come qualunque tipo di discriminazione basata sul sesso, sulle diverse abilità, sull’appartenenza sociale o il credo religioso.

I personaggi che ispirano le sue narrazioni sono il ragazzo che vende noccioline, i bambini delle favelas uccisi da colpi di pistola “casuali”, i discendenti della diaspora africana, le donne; personaggi che difficilmente hanno accesso o possono leggere i libri che hanno ispirato; personaggi che, pur appartenendo all’universo degli umiliati e degli esclusi, coltivano ricordi, desideri, sogni.

I suoi scritti, romanzi, racconti, poesie e interviste sui mezzi di comunicazione puntano proprio a infrangere le tante forme di discriminazione affinché chiunque possa vivere pienamente e degnamente la propria condizione umana.

Le sue opere sono per lei “escrevivências”, scrittura che nasce dal vissuto; vivere per raccontare, raccontare quel che si vive: “Quando sono scrittrice, non mi svincolo da ciò che sono: la Conceição di origini povere, di famiglia umile le cui donne sono vissute in situazioni di subalternità. Questo è quello che ha sempre orientato la mia scrittura. È questo che chiamo “escrevivência”.

Per Conceição Evaristo la scrittura è quasi una forma di vendetta, un modo per ferire il silenzio imposto, afferrandosi testardamente alla speranza.

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La poesia, danza-canto del corpo

Scrivere è dare movimento alla danza-canto che il mio corpo non esegue. La poesia è la parola d’ordine che invento per poter accedere al mondo.

Questa è la chiave della sua poesia: inventare parole capaci di liberare il movimento che il suo corpo racchiude per danzare e cantare in unione con gli altri.

Da “Poemas da recordação e outros movimentos”. Belo Horizonte: Nandyala, 2008

Da calma e do silêncio

Quando eu morder

a palavra,

por favor,

não me apressem,

quero mascar,

rasgar entre os dentes,

a pele, os ossos, o tutano

do verbo,

para assim versejar

o âmago das coisas.

Quando meu olhar

se perder no nada,

por favor,

não me despertem,

quero reter,

no adentro da íris,

a menor sombra,

do ínfimo movimento.

Quando meus pés

abrandarem na marcha,

por favor,

não me forcem.

Caminhar para quê?

Deixem-me quedar,

deixem-me quieta,

na aparente inércia.

Nem todo viandante

anda estradas,

há mundos submersos,

que só o silêncio

da poesia penetra.

Della calma e del silenzio

Quando morderò

la parola,

per favore,

non mettetemi fretta,

voglio masticare,

strappare fra i denti,

la pelle, le ossa, il midollo

del verbo,

per mettere in versi

la sostanza delle cose.

Quando il mio sguardo

si perderà nel nulla,

per favore,

non svegliatemi,

voglio trattenere,

ben dentro l’iride,

la più piccola ombra,

del più piccolo movimento.

Quando i miei piedi

rallenteranno la marcia,

per favore,

non forzatemi.

Camminare perché?

Lasciatemi stare,

lasciatemi tranquilla,

nell’inerzia apparente.

Non tutti i viandanti

percorrono strade,

ci sono mondi sommersi,

che solo il silenzio

della poesia riesce a penetrare.

A noite não adormece nos olhos das mulheres

      In memoria di Beatriz Nascimento

A noite não adormece

nos olhos das mulheres

a lua fêmea, semelhante nossa,

em vigília atenta vigia

a nossa memória.

A noite não adormece

nos olhos das mulheres

há mais olhos que sono

onde lágrimas suspensas

virgulam o lapso

de nossas molhadas lembranças.

A noite não adormece

nos olhos das mulheres

vaginas abertas

retêm e expulsam a vida

donde Ainás, Nzingas, Ngambeles

e outras meninas luas

afastam delas e de nós

os nossos cálices de lágrimas.

A noite não adormecerá

jamais nos olhos das fêmeas

pois do nosso sangue-mulher

de nosso líquido lembradiço

em cada gota que jorra

um fio invisível e tônico

pacientemente cose a rede.

La notte non si addormenta negli occhi delle donne

In memoria di Beatriz Nascimento*

La notte non si addormenta

negli occhi delle donne

la luna femmina, a noi simile,

in veglia vigila

la nostra memoria.

La notte non si addormenta

negli occhi delle donne

ci sono più occhi che sonno

dove lacrime sospese

scandiscono l’intervallo

dei nostri ricordi bagnati.

La notte non si addormenta

negli occhi delle donne

vagine aperte

trattengono e espellono la vita

dove Ainás, Nzingas, Ngambeles

e altre bambine lune

allontanano da noi e da loro

i nostri calici di lacrime.

La notte non si addormenterà

mai negli occhi delle donne

perché dal nostro sangue-donna

dal nostro liquido di memoria

in ogni goccia che sgorga

un filo invisibile e tonico

cuce pazientemente la rete.

* Beatriz Nascimento (12 luglio 1942 – 28 gennaio 1995),  è stato unaccademica e attivista afro-brasiliana . Fu un membro influente del Movimento Nero del Brasile dagli inizi degli anni ’60 fino alla sua morte. Attraverso la sua ricerca accademica, ha valutato l’importanza dei quilombos, le comunità originariamente formate dagli schiavi fuggiti dalle piantagioni, come spazi autonomi per le persone di discendenza africana durante il periodo coloniale e ha sfidato l’ambiente politico e le politiche razziali del governo verso gli afro-brasiliani. La sua tesi sull’invisibilità delle donne nere e in particolare delle donne non-anglo della diaspora africana ha avuto un impatto internazionale sulla ricerca riguardante le complessità dell’esperienza nera e la mancanza di attenzione focalizzata sulle afro-latine nel femminismo transnazionale.

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De mãe

O cuidado de minha poesia

aprendi foi de mãe,

mulher de pôr reparo nas coisas,

e de assuntar a vida.

A brandura de minha fala

na violência de meus ditos

ganhei de mãe,

mulher prenhe de dizeres,

fecundados na boca do mundo.

Foi de mãe todo o meu tesouro

veio dela todo o meu ganho

mulher sapiência, yabá,

do fogo tirava água

do pranto criava consolo.

Foi de mãe esse meio riso

dado para esconder

alegria inteira

e essa fé desconfiada,

pois, quando se anda descalço

cada dedo olha a estrada.

Foi mãe que me descegou

para os cantos milagreiros da vida

apontando-me o fogo disfarçado

em cinzas e a agulha do

tempo movendo no palheiro.

Foi mãe que me fez sentir

as flores amassadas

debaixo das pedras

os corpos vazios

rente às calçadas

e me ensinou,

insisto, foi ela

a fazer da palavra

artifício
arte e ofício

do meu canto

da minha fala.

Da mia madre

A curare la mia poesia

ho imparato da mia madre,

donna che presta attenzione alle cose,

e dà corpo alla vita.

La dolcezza del mio parlare

nella violenza delle mie frasi

l’ho guadagnata da mia madre,

donna gravida di detti,

fecondati nella bocca del mondo.

È stato da mia madre tutto il mio tesoro

da lei è venuto ogni guadagno

donna sapienza, divinità,

dal fuoco prendeva l’acqua

dal pianto creava consolazione.

Fu da mia madre quel mio mezzo sorriso

dato per nascondere

l’allegria intera

e quella fede dubbiosa,

perché, quando si cammina scalzi

ogni dito guarda la strada.

Fu mia madre che mi aprì gli occhi

agli angoli miracolosi della vita

indicandomi il fuoco mascherato

in ceneri e l’ago del tempo

muovendosi nel pagliaio.

Fu mia madre che mi fece sentire

i fiori ammucchiati

sotto le pietre

i corpi vuoti

vicino ai marciapiedi

e mi insegnò,

insisto, fu lei

a fare della parola

un artificio

arte e ufficio

del mio canto

del mio parlare.

Do fogo que em mim arde

Sim, eu trago o fogo,

o outro,

não aquele que te apraz.

Ele queima sim,

é chama voraz

que derrete o bico de teu pincel

incendiando até ás cinzas

O desejo-desenho que fazes de mim.

Sim, eu trago o fogo,

o outro,

aquele que me faz,

e que molda a dura pena

de minha escrita.

é este o fogo,

o meu, o que me arde

e cunha a minha face

na letra desenho

do auto-retrato meu.

Del fuoco che in me arde


Sì, io porto il fuoco,

l’altro,
non quello che ti piace.

Lui brucia sì,

è fiamma vorace

che scioglie la punta del tuo pennello

incendiando perfino le ceneri

Il desiderio-disegno che ti fai di me.

Sì, io porto il fuoco,

l’altro,
quello che mi fa,

e che modella la dura fatica

della mia scrittura.

È questo il fuoco,

il mio, quel che mi arde

e conia il mio volto

nella lettera disegno

del mio auto-ritratto.

Do velho ao jovem

Na face do velho

as rugas são letras,

palavras escritas na carne,

abecedário do viver.

Na face do jovem

o frescor da pele

e o brilho dos olhos

são dúvidas.

Nas mãos entrelaçadas

de ambos,

o velho tempo

funde-se ao novo,

e as falas silenciadas

explodem.

O que os livros escondem,

as palavras ditas libertam.

E não há quem ponha

um ponto final na história

Infinitas são as personagens…

Vovó Kalinda, Tia Mambene,

Primo Sendó, Ya Tapuli,

Menina Meká, Menino Kambi,

Neide do Brás, Cíntia da Lapa,

Piter do Estácio, Cris de Acari,

Mabel do Pelô, Sil de Manaíra,

E também de Santana e de Belô

e mais e mais, outras e outros…

Nos olhos do jovem

também o brilho de muitas histórias.

e não há quem ponha

um ponto final no rap.

É preciso eternizar as palavras

da liberdade ainda e agora…

Dal vecchio al giovane

Nel viso del vecchio

le rughe sono lettere,

parole scritte nella carne,

abbecedario del vivere.

Nel viso del giovane

la freschezza della pelle

e il brillare degli occhi

sono dubbi.

Nelle mani allacciate

di entrambi,

il vecchio tempo

si fonde col nuovo,

e i discorsi taciuti

esplodono.

Quello che i libri nascondono,

le parole dette liberano.

E non c’è nessuno che metta

un punto finale alla storia

Infiniti sono i personaggi…

Nonna Kalinda, Zia Mambene,

Cugino Sendó, Ya Tapuli,

Bambina Meká, Bambino Kambi,

Neide di Brás, Cíntia di Lapa,

Piter di Estácio, Cris di Acari,

Mabel di Pelô, Sil di Manaíra,

E anche di Santana e di Belô

e ancora e ancora, altre e altri…

Negli occhi del giovane

c’è anche la luce di molte storie.

e non c’è nessuno che metta

un punto finale al rap.

Bisogna rendere eterne le parole

della libertà ancora e ora…

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Eu-Mulher

Uma gota de leite

me escorre entre os seios.

Uma mancha de sangue

me enfeita entre as pernas.

Meia palavra mordida

me foge da boca.

Vagos desejos insinuam esperanças.

Eu-mulher em rios vermelhos

inauguro a vida.

Em baixa voz

violento os tímpanos do mundo.

Antevejo.
Antecipo.
Antes-vivo
Antes – agora – o que há de vir.

Eu fêmea-matriz.

Eu força-motriz.

Eu-mulher
abrigo da semente

moto-contínuo
do mundo.

Io-Donna

Una goccia di latte

mi scorre fra i seni.

Una macchia di sangue

mi adorna fra le gambe.

Mezza parola morsa

mi fugge dalla bocca.

Vaghi desideri insinuano speranze.

Io-donna in fiumi rossi

inauguro la vita.

A bassa voce

violento i timpani del mondo.

Prevedo.
Anticipo.
Pre-vivo
Prima – ora – quello che verrà.

Io donna-matrice.

Io forza-motrice.

Io donna

riparo del seme

moto-continuo
del mundo.

Fêmea-Fênix
      Para Léa Garcia

Navego-me eu–mulher e não temo,

sei da falsa maciez das águas

e quando o receio

me busca, não temo o medo,

sei que posso me deslizar

nas pedras e me sair ilesa,

com o corpo marcado pelo olor

da lama.

Abraso-me eu-mulher e não temo,

sei do inebriante calor da queima

e quando o temor

me visita, não temo o receio,

sei que posso me lançar ao fogo

e da fogueira me sair inunda,

com o corpo ameigado pelo odor

da chama.

Deserto-me eu-mulher e não temo,

sei do cativante vazio da miragem,

e quando o pavor

em mim aloja, não temo o medo,

sei que posso me fundir ao só,

e em solo ressurgir inteira

com o corpo banhado pelo suor

da faina.

Vivifico-me eu-mulher e teimo,

na vital carícia de meu cio,

na cálida coragem de meu corpo,

no infindo laço da vida,

que jaz em mim

e renasce flor fecunda.

Vivifico-me eu-mulher.

Fêmea. Fênix. Eu fecundo.

Femmina-Fenice
      Per Léa Garcia* 

Mi navigo io–donna e non temo,

conosco la falsa morbidezza delle acque

e quando il timore

mi cerca, non temo la paura,

so che posso scivolare

sulle pietre e uscirne illesa,

con il corpo marchiato dall’odore

del fango.

Ardo io-donna e non temo,

conosco l’inebriante calore dell’incendio

e quando il timore

mi visita, non temo la paura,

so che posso buttarmi nel fuoco

e dal fuoco uscirne intatta,

con il corpo addolcito dall’odore

della fiamma.

Mi isolo io-donna e non temo,

conosco il cattivante vuoto del miraggio,

e quando il terrore

mi abita, non temo la paura,

so che posso fondermi soltanto,

e al suolo risorgere intera

con il corpo bagnato dal sudore

della fatica.

Mi vivifico io-donna e insisto,

nella vitale carezza del mio calore,

nel caldo coraggio del mio corpo,

nell’infinito laccio della vita,

che giace in me

e rinasce fiore fecondo.

Mi vivifico io-donna.

Femmina. Fenice. Io fecondo.

* Léa Grarcia (nata l’11 marzo 1933 a Rio de Janeiro, Brasile) è un’attrice brasiliana. È conosciuta per i suoi numerosi ruoli televisivi e cinematografici. Ha interpretato Serafina, la cugina pazza di Eurydice, in Orfeu Negro, di Marcel Camus, film vincitore dell’Oscar nel 1960.

Filhos na rua

O banzo renasce em mim.

Do negror de meus oceanos

a dor submerge revisitada

esfolando-me a pele

que se alevanta em sóis

e luas marcantes de um

tempo que aqui está.

O banzo renasce em mim

e a mulher da aldeia

pede e clama na chama negra

que lhe queima entre as pernas

o desejo de retomar

de recolher para

o seu útero-terra

as sementes

que o vento espalhou

pelas ruas

Figli per strada

La malinconia rinasce in me.

Dal fosco dei miei oceani

il dolore riemerge rivisitato

scorticandomi la pelle

che si solleva in soli

e lune segni di un

tempo che è qui.

La malinconia rinasce in me

e la donna del villaggio

chiede e reclama nella fiamma nera

che le brucia fra le gambe

il desiderio di riprendere

di raccogliere nel

suo utero-terra

i semi

che il vento ha sparso

Per le strade…

Meu rosário (1)

Meu rosário é feito de contas negras e mágicas.

Nas contas de meu rosário eu canto Mamãe Oxum e falo

padres-nossos e ave-marias.

Do meu rosário eu ouço os longínquos batuques

do meu povo

e encontro na memória mal adormecida

as rezas dos meses de maio de minha infância.

As coroações da Senhora, em que as meninas negras,

apesar do desejo de coroar a Rainha,

tinham de se contentar em ficar ao pé do altar

lançando flores.

As contas do meu rosário fizeram calos

em minhas mãos,

pois são contas do trabalho na terra, nas fábricas,

nas casas, nas escolas, nas ruas, no mundo.

As contas do meu rosário são contas vivas.

(Alguém disse um dia que a vida é uma oração,

eu diria, porém, que há vidas-blasfemas).

Nas contas de meu rosário eu teço intumescidos

sonhos de esperanças.

Il mio rosario (1)

Il mio rosario è fatto di grani neri e magici.

Nei grani del mio rosario io canto Mamma Oxum e recito

padri-nostri e ave-marie.

Dal mio rosario sento i lontani battiti del tamburo

del mio popolo

e trovo nella memoria mal addormentata

le preghiere dei mesi di maggio della mia infanzia.

Le incoronazioni della Madonna, quando le bambine nere,

malgrado il desiderio di incoronare la Regina,

dovevano accontentarsi di restare ai piedi dell’altare

lanciando fiori.

I grani del mio rosario han fatto calli

sulle mie mani,

perché sono grani del lavoro nella terra, nelle fabbriche,

nelle case, nelle scuole, nelle strade, nel mondo.

I grani del mio rosario sono grani vivi.

(qualcuno un giorno ha detto che la vita è una preghiera,

io direi, invece, che ci sono vite-bestemmie).

Nei grani del mio rosario io tesso tumidi

Sogni di speranze.

Meu rosário (2)

Nas contas de meu rosário eu vejo rostos escondidos

por visíveis e invisíveis grades

e embalo a dor da luta perdida nas contas

de meu rosário.

Nas contas de meu rosário eu canto, eu grito, eu calo.

Do meu rosário eu sinto o borbulhar da fome

no estômago, no coração e nas cabeças vazias.

Quando debulho as contas do meu rosário,

eu falo de mim mesma um outro nome.

E sonho nas contas de meu rosário lugares, pessoas,

vidas que pouco a pouco descubro reais.

Vou e volto por entre as contas de meu rosário,

que são pedras marcando-me o corpo caminho.

E neste andar de contas-pedras,

o meu rosário se transmuta em tinta,

me guia o dedo,

me insinua a poesia.

E depois de macerar conta por conto do meu rosário,

me acho aqui eu mesma

e descubro que ainda me chamo Maria.

Il mio rosario (2)

Nei grani del mio rosario vedo volti nascosti

da visibili e invisibili grate

e cullo il dolore della lotta perduta nei grani

del mio rosario.

Nei grani del mio rosario io canto, io grido, io taccio.

Dal mio rosario sento il borbottio della fame

nello stomaco, nel cuore e nelle teste vuote.

Quando sgrano le perle del mio rosario,

parlo di me stessa con un altro nome.

E sogno nei grani del mio rosario luoghi, persone,

vite che poco a poco scopro reali.

Vado e vengo lungo i grani del mio rosario,

che sono pietre che segnano il mio corpo cammino.

E in questo andare di grani-pietre,

il mio rosario si transmuta in tinta,

mi guida il dito,

mi insinua la poesia.

E dopo aver macerato grano a grano il mio rosario,

mi trovo qui io stessa

e scopro che ancora mi chiamo Maria.

Vozes-mulheres

A voz de minha bisavó

ecoou criança

nos porões do navio.

ecoou lamentos

de uma infância perdida.

A voz de minha avó

ecoou obediência

aos brancos-donos de tudo.

A voz de minha mãe

ecoou baixinho revolta

no fundo das cozinhas alheias

debaixo das trouxas

roupagens sujas dos brancos

pelo caminho empoeirado

rumo à favela.

A minha voz ainda

ecoa versos perplexos

com rimas de sangue

e fome.

A voz de minha filha

recolhe todas as nossas vozes

recolhe em si

as vozes mudas caladas

engasgadas nas gargantas.

A voz de minha filha

recolhe em si

a fala e o ato.

O ontem – o hoje – o agora.

Na voz de minha filha

se fará ouvir a ressonância

o eco da vida-liberdade.

Voci-donne

La voce della mia bisnonna

risuonò bambina

nelle stive della nave.

Risuonò lamenti

Di un’infanzia perduta.

La voce di mia nonna

Risuonò obbedienza

ai bianchi-padroni di tutto.

La voce di mia madre

Risuonò sottovoce rivolta

in fondo alle cucine altrui

sotto i fardelli

biancheria sporca dei bianchi

sulla strada polverosa

a cammino della favela.

La mia voce ancora

risuona versi perplessi

con rime di sangue

e fame.

La voce di mia figlia

raccoglie tutte le nostre voci

raccoglie in sé

le voci mute silenziate

soffocate nelle gole.

La voce di mia figlia

Raccoglie in sé

La parola e l’azione.

L’ieri – l’oggi – l’adesso.

Nella voce di mia figlia

si farà sentire la risonanza

l’eco della vita-libertà.

1 Conceição Evaristo, “Gênero e etnia: uma escrevivência de dupla face“.  In: Mulheres no mundo, etnia, marginalidade e diáspora. João Pessoa: Ideia, 2005, p. 201

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Anna Fresu_fotoANNA FRESU

Nata a la Maddalena, in Sardegna, si è laureata in Lettere e Filosofia presso l’Università La Sapienza a Roma. Ha seguito numerosi corsi di teatro, tra cui il Teatro Studio, partecipando alla creazione del teatro Spaziozero. È regista, autrice, attrice di teatro, traduttrice e studiosa di letterature africane. Ha condotto numerosi laboratori teatrali nelle scuole di ogni ordine e grado. È presidente delle associazioni culturali “Il Cerchio dell’Incontro” e, fino al 2016, di “Scritti d’Africa”. Nel 1975 ha lavorato in Portogallo come mediatrice culturale nella cooperativa agricola Torrebela. Dal 1977 al 1988 ha vissuto in Mozambico dove ha insegnato e diretto la Scuola Nazionale di Teatro e creato e diretto, col regista e giornalista Mendes de Oliveira, il “Dipartimento di Cinema per l’infanzia e la gioventù” realizzando diversi film che hanno ottenuto riconoscimenti internazionali. Il suo lavoro in Mozambico è stato premiato al Festival del Cinema per lo Sviluppo a Genazzano nel 1991. Sempre nel 1991 ha curato e tradotto dal portoghese con Joyce Lussu le poesie del poeta mozambicano José Craveirinha (Voglio essere tamburo, Centro Internazionale della Grafica, Venezia). Nel 1996 è tornata in Mozambico come collaboratrice RAI per una serie di servizi televisivi e ha realizzato un laboratorio teatrale con i “meninos da rua”, bambini-soldato e vittime della guerra. Nel 2013, ha pubblicato il suo libro di racconti “Sguardi altrove”, Vertigo Edizioni. Sue poesie e racconti sono presenti in diverse antologie. Collabora con alcune riviste on line e blog. In Argentina è stata docente di Lingua e Cultura Italiana presso la Società Dante Alighieri e l’Università di Mendoza e ha partecipato a congressi sulla letteratura italiana e  realizzato diversi spettacoli teatrali. Nel 2018 pubblica il suo più recente libro di poesie “Ponti di corda“, Temperino rosso Edizioni e ha curato l’antologia poetica “Molti nomi ha l’esilio“, Kanaga Edizioni.

Riguardo il macchinista

Lucia Cupertino

LUCIA CUPERTINO (1986, Polignano a Mare). Scrittrice, antropologa culturale e traduttrice. Laureata in Antropologia culturale ed etnologia (Università di Bologna), ha conseguito un Master in Antropologia delle Americhe (Università Complutense di Madrid) con tesi sulla traduzione di fonti letterarie nahuatl. Vive da tempo tra America latina e Italia, con soggiorni più brevi in Australia, Germania e Spagna, legati a progetti di ricerca, educativi e di agroecologia. Scrive in italiano e spagnolo e ha pubblicato: Mar di Tasman (Isola, Bologna, 2014); Non ha tetto la mia casa - No tiene techo mi casa (Casa de poesía, San José, 2016, in italiano e spagnolo, Premio comunitarismo di Versante Ripido); il libro-origami Cinco poemas de Lucia Cupertino (Los ablucionistas, Città del Messico, 2017). Suoi lavori poetici e di narrativa sono apparsi in riviste e antologie italiane e internazionali. Parte della sua opera è stata tradotta in inglese, cinese, spagnolo, bengali e albanese. È curatrice di 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos (Arcoiris, Salerno, 2016, menzione critica nel Premio di traduzione letteraria Lilec – Università di Bologna); Muovimenti. Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi, Lecce, 2016) e Canodromo di Bárbara Belloc (Fili d’Aquilone, Roma, 2018). Membro della giuria del Premio Trilce 2018, Sydney, in collaborazione con l’Instituto Cervantes. Cofondatrice della web di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com, con la quale promuove iniziative letterarie e culturali in Italia e all’estero.

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