Letteratura afrobrasiliana: CONCEIÇÃO EVARISTO E LA ESCREVIVÊNCIA.
UNA VOCE DA DENTRO E D’ATTORNO (a cura di Anna Fresu)
“Scrivo perché, per me, non esiste un altro modo per affrontare, sopportare, ordinare, la vita, se non scrivendo. Mentre scrivo faccio della vita che mi si presenta quello che voglio. I personaggi centrali della mia creazione, sia letteraria che critica, nascono profondamente segnati dalla mia condizione di donna nera e povera nella società brasiliana. Scrivo per la mia gente, perlomeno come desiderio. Poiché è dalla quotidianità delle classi popolari che traggo il succo della mia scrittura. È da questo mio luogo, è da questo –da dentro a fuori- che sbocciano le mie storie. Mi piacerebbe tantissimo che queste storie narrate ritornassero sotto forma di libro nelle mani di coloro che me le hanno ispirate”.
Così Maria da Conceição Evaristo de Brito, romanziera, poeta e saggista, afrobrasiliana, esprime la poetica che ispira le sue opere. Nata nel 1946 in una favela di Belo Horizonte, si trasferisce a Rio de Janeiro dove, conciliando gli studi con il lavoro come donna delle pulizie, venditrice di riviste, baby sitter, riesce a laurearsi in Letteratura Brasiliana, conseguire un dottorato in Letteratura Comparata e realizzare il suo sogno di insegnare nelle scuole di periferia. Per lei insegnare è un modo di restituire alla vita tutto ciò che ha ottenuto.
Il suo esordio letterario avviene nel 1990, con la pubblicazione di racconti e poesie nella serie Cadernos Negros. I suoi testi sono tradotti in Germania, Inghilterra e Stati Uniti e studiati nelle università brasiliane.
Nel 2003 pubblica il romanzo Ponciá Vicêncio, per la casa editrice Mazza di Belo Horizonte. Nel 2006 esce un altro romanzo, Becos da memória. Entrambi i romanzi sono improntati a un realismo poetico, al dramma della comunità nelle favelas e al ruolo centrale della figura femminile, simbolo di resistenza alla povertà e alla discriminazione.
Nel 2008 viene pubblicato il volume Poemas de recordação e outros movimentos, che pur continuando a denunciare la condizione sociale degli afrodiscendenti, si esprime in un sensibile e tenero lirismo e in un raffinato linguaggio. Nel 2011, viene lanciato il libro di racconti Insubmissas lágrimas de mulheres, in cui, ancora una volta, analizza le relazioni di genere in un contesto sociale dominato dal razzismo e dal sessismo.
Nel 2015 vince il premio Jabuti con il suo libro di racconti “Olhos d’água” (Pallas). Segue nel 2016 “Histórias de leves enganos e parecenças”, per le edizioni Malê. Nei suoi testi sono sempre presenti la critica sociale e il mistero, la magia che pervadono la sua religiosità ancestrale.
“Dal tempo/spazio ho imparato fin da bambina a raccogliere parole. La nostra casa vuota di mobili, di cose e molte volte di cibo e di vestiti, era abitata da parole. Mamma raccontava, mia zia raccontava, mio zio vecchietto raccontava, i vicini amici raccontavano. Io, bambina, ripetevo, cercavo. Sono cresciuta posseduta dall’oralità, dalla parola. Le bambole di stoffa e paglia che mia madre creava per le figlie nascevano con un nome e una storia. Tutto era narrato, tutto era motivo di prosa-poesia“.1
L’autrice afferma di credere profondamente nella forza della parola che viene da dentro non perché pensi che solo chi è discriminato possa parlare di discriminazione ma per la forza che la testimonianza diretta, vissuta, può esprimere. Crede anzi che la questione razziale in Brasile non riguardi solo gli afrodiscendenti, ma che debba essere l’intera nazione brasiliana ad assumerla e risolverla, così come qualunque tipo di discriminazione basata sul sesso, sulle diverse abilità, sull’appartenenza sociale o il credo religioso.
I personaggi che ispirano le sue narrazioni sono il ragazzo che vende noccioline, i bambini delle favelas uccisi da colpi di pistola “casuali”, i discendenti della diaspora africana, le donne; personaggi che difficilmente hanno accesso o possono leggere i libri che hanno ispirato; personaggi che, pur appartenendo all’universo degli umiliati e degli esclusi, coltivano ricordi, desideri, sogni.
I suoi scritti, romanzi, racconti, poesie e interviste sui mezzi di comunicazione puntano proprio a infrangere le tante forme di discriminazione affinché chiunque possa vivere pienamente e degnamente la propria condizione umana.
Le sue opere sono per lei “escrevivências”, scrittura che nasce dal vissuto; vivere per raccontare, raccontare quel che si vive: “Quando sono scrittrice, non mi svincolo da ciò che sono: la Conceição di origini povere, di famiglia umile le cui donne sono vissute in situazioni di subalternità. Questo è quello che ha sempre orientato la mia scrittura. È questo che chiamo “escrevivência”.
Per Conceição Evaristo la scrittura è quasi una forma di vendetta, un modo per ferire il silenzio imposto, afferrandosi testardamente alla speranza.
La poesia, danza-canto del corpo
“Scrivere è dare movimento alla danza-canto che il mio corpo non esegue. La poesia è la parola d’ordine che invento per poter accedere al mondo”.
Questa è la chiave della sua poesia: inventare parole capaci di liberare il movimento che il suo corpo racchiude per danzare e cantare in unione con gli altri.
Da “Poemas da recordação e outros movimentos”. Belo Horizonte: Nandyala, 2008
Da calma e do silêncio
Quando eu morder
a palavra,
por favor,
não me apressem,
quero mascar,
rasgar entre os dentes,
a pele, os ossos, o tutano
do verbo,
para assim versejar
o âmago das coisas.
Quando meu olhar
se perder no nada,
por favor,
não me despertem,
quero reter,
no adentro da íris,
a menor sombra,
do ínfimo movimento.
Quando meus pés
abrandarem na marcha,
por favor,
não me forcem.
Caminhar para quê?
Deixem-me quedar,
deixem-me quieta,
na aparente inércia.
Nem todo viandante
anda estradas,
há mundos submersos,
que só o silêncio
da poesia penetra.
Della calma e del silenzio
Quando morderò
la parola,
per favore,
non mettetemi fretta,
voglio masticare,
strappare fra i denti,
la pelle, le ossa, il midollo
del verbo,
per mettere in versi
la sostanza delle cose.
Quando il mio sguardo
si perderà nel nulla,
per favore,
non svegliatemi,
voglio trattenere,
ben dentro l’iride,
la più piccola ombra,
del più piccolo movimento.
Quando i miei piedi
rallenteranno la marcia,
per favore,
non forzatemi.
Camminare perché?
Lasciatemi stare,
lasciatemi tranquilla,
nell’inerzia apparente.
Non tutti i viandanti
percorrono strade,
ci sono mondi sommersi,
che solo il silenzio
della poesia riesce a penetrare.
A noite não adormece nos olhos das mulheres
In memoria di Beatriz Nascimento
A noite não adormece
nos olhos das mulheres
a lua fêmea, semelhante nossa,
em vigília atenta vigia
a nossa memória.
A noite não adormece
nos olhos das mulheres
há mais olhos que sono
onde lágrimas suspensas
virgulam o lapso
de nossas molhadas lembranças.
A noite não adormece
nos olhos das mulheres
vaginas abertas
retêm e expulsam a vida
donde Ainás, Nzingas, Ngambeles
e outras meninas luas
afastam delas e de nós
os nossos cálices de lágrimas.
A noite não adormecerá
jamais nos olhos das fêmeas
pois do nosso sangue-mulher
de nosso líquido lembradiço
em cada gota que jorra
um fio invisível e tônico
pacientemente cose a rede.
La notte non si addormenta negli occhi delle donne
In memoria di Beatriz Nascimento*
La notte non si addormenta
negli occhi delle donne
la luna femmina, a noi simile,
in veglia vigila
la nostra memoria.
La notte non si addormenta
negli occhi delle donne
ci sono più occhi che sonno
dove lacrime sospese
scandiscono l’intervallo
dei nostri ricordi bagnati.
La notte non si addormenta
negli occhi delle donne
vagine aperte
trattengono e espellono la vita
dove Ainás, Nzingas, Ngambeles
e altre bambine lune
allontanano da noi e da loro
i nostri calici di lacrime.
La notte non si addormenterà
mai negli occhi delle donne
perché dal nostro sangue-donna
dal nostro liquido di memoria
in ogni goccia che sgorga
un filo invisibile e tonico
cuce pazientemente la rete.
* Beatriz Nascimento (12 luglio 1942 – 28 gennaio 1995), è stato un’accademica e attivista afro-brasiliana . Fu un membro influente del Movimento Nero del Brasile dagli inizi degli anni ’60 fino alla sua morte. Attraverso la sua ricerca accademica, ha valutato l’importanza dei quilombos, le comunità originariamente formate dagli schiavi fuggiti dalle piantagioni, come spazi autonomi per le persone di discendenza africana durante il periodo coloniale e ha sfidato l’ambiente politico e le politiche razziali del governo verso gli afro-brasiliani. La sua tesi sull’invisibilità delle donne nere e in particolare delle donne non-anglo della diaspora africana ha avuto un impatto internazionale sulla ricerca riguardante le complessità dell’esperienza nera e la mancanza di attenzione focalizzata sulle afro-latine nel femminismo transnazionale.
De mãe
O cuidado de minha poesia
aprendi foi de mãe,
mulher de pôr reparo nas coisas,
e de assuntar a vida.
A brandura de minha fala
na violência de meus ditos
ganhei de mãe,
mulher prenhe de dizeres,
fecundados na boca do mundo.
Foi de mãe todo o meu tesouro
veio dela todo o meu ganho
mulher sapiência, yabá,
do fogo tirava água
do pranto criava consolo.
Foi de mãe esse meio riso
dado para esconder
alegria inteira
e essa fé desconfiada,
pois, quando se anda descalço
cada dedo olha a estrada.
Foi mãe que me descegou
para os cantos milagreiros da vida
apontando-me o fogo disfarçado
em cinzas e a agulha do
tempo movendo no palheiro.
Foi mãe que me fez sentir
as flores amassadas
debaixo das pedras
os corpos vazios
rente às calçadas
e me ensinou,
insisto, foi ela
a fazer da palavra
artifício
arte e ofício
do meu canto
da minha fala.
Da mia madre
A curare la mia poesia
ho imparato da mia madre,
donna che presta attenzione alle cose,
e dà corpo alla vita.
La dolcezza del mio parlare
nella violenza delle mie frasi
l’ho guadagnata da mia madre,
donna gravida di detti,
fecondati nella bocca del mondo.
È stato da mia madre tutto il mio tesoro
da lei è venuto ogni guadagno
donna sapienza, divinità,
dal fuoco prendeva l’acqua
dal pianto creava consolazione.
Fu da mia madre quel mio mezzo sorriso
dato per nascondere
l’allegria intera
e quella fede dubbiosa,
perché, quando si cammina scalzi
ogni dito guarda la strada.
Fu mia madre che mi aprì gli occhi
agli angoli miracolosi della vita
indicandomi il fuoco mascherato
in ceneri e l’ago del tempo
muovendosi nel pagliaio.
Fu mia madre che mi fece sentire
i fiori ammucchiati
sotto le pietre
i corpi vuoti
vicino ai marciapiedi
e mi insegnò,
insisto, fu lei
a fare della parola
un artificio
arte e ufficio
del mio canto
del mio parlare.
Do fogo que em mim arde
Sim, eu trago o fogo,
o outro,
não aquele que te apraz.
Ele queima sim,
é chama voraz
que derrete o bico de teu pincel
incendiando até ás cinzas
O desejo-desenho que fazes de mim.
Sim, eu trago o fogo,
o outro,
aquele que me faz,
e que molda a dura pena
de minha escrita.
é este o fogo,
o meu, o que me arde
e cunha a minha face
na letra desenho
do auto-retrato meu.
Del fuoco che in me arde
Sì, io porto il fuoco,
l’altro,
non quello che ti piace.
Lui brucia sì,
è fiamma vorace
che scioglie la punta del tuo pennello
incendiando perfino le ceneri
Il desiderio-disegno che ti fai di me.
Sì, io porto il fuoco,
l’altro,
quello che mi fa,
e che modella la dura fatica
della mia scrittura.
È questo il fuoco,
il mio, quel che mi arde
e conia il mio volto
nella lettera disegno
del mio auto-ritratto.
Do velho ao jovem
Na face do velho
as rugas são letras,
palavras escritas na carne,
abecedário do viver.
Na face do jovem
o frescor da pele
e o brilho dos olhos
são dúvidas.
Nas mãos entrelaçadas
de ambos,
o velho tempo
funde-se ao novo,
e as falas silenciadas
explodem.
O que os livros escondem,
as palavras ditas libertam.
E não há quem ponha
um ponto final na história
Infinitas são as personagens…
Vovó Kalinda, Tia Mambene,
Primo Sendó, Ya Tapuli,
Menina Meká, Menino Kambi,
Neide do Brás, Cíntia da Lapa,
Piter do Estácio, Cris de Acari,
Mabel do Pelô, Sil de Manaíra,
E também de Santana e de Belô
e mais e mais, outras e outros…
Nos olhos do jovem
também o brilho de muitas histórias.
e não há quem ponha
um ponto final no rap.
É preciso eternizar as palavras
da liberdade ainda e agora…
Dal vecchio al giovane
Nel viso del vecchio
le rughe sono lettere,
parole scritte nella carne,
abbecedario del vivere.
Nel viso del giovane
la freschezza della pelle
e il brillare degli occhi
sono dubbi.
Nelle mani allacciate
di entrambi,
il vecchio tempo
si fonde col nuovo,
e i discorsi taciuti
esplodono.
Quello che i libri nascondono,
le parole dette liberano.
E non c’è nessuno che metta
un punto finale alla storia
Infiniti sono i personaggi…
Nonna Kalinda, Zia Mambene,
Cugino Sendó, Ya Tapuli,
Bambina Meká, Bambino Kambi,
Neide di Brás, Cíntia di Lapa,
Piter di Estácio, Cris di Acari,
Mabel di Pelô, Sil di Manaíra,
E anche di Santana e di Belô
e ancora e ancora, altre e altri…
Negli occhi del giovane
c’è anche la luce di molte storie.
e non c’è nessuno che metta
un punto finale al rap.
Bisogna rendere eterne le parole
della libertà ancora e ora…
Eu-Mulher
Uma gota de leite
me escorre entre os seios.
Uma mancha de sangue
me enfeita entre as pernas.
Meia palavra mordida
me foge da boca.
Vagos desejos insinuam esperanças.
Eu-mulher em rios vermelhos
inauguro a vida.
Em baixa voz
violento os tímpanos do mundo.
Antevejo.
Antecipo.
Antes-vivo
Antes – agora – o que há de vir.
Eu fêmea-matriz.
Eu força-motriz.
Eu-mulher
abrigo da semente
moto-contínuo
do mundo.
Io-Donna
Una goccia di latte
mi scorre fra i seni.
Una macchia di sangue
mi adorna fra le gambe.
Mezza parola morsa
mi fugge dalla bocca.
Vaghi desideri insinuano speranze.
Io-donna in fiumi rossi
inauguro la vita.
A bassa voce
violento i timpani del mondo.
Prevedo.
Anticipo.
Pre-vivo
Prima – ora – quello che verrà.
Io donna-matrice.
Io forza-motrice.
Io donna
riparo del seme
moto-continuo
del mundo.
Fêmea-Fênix
Para Léa Garcia
Navego-me eu–mulher e não temo,
sei da falsa maciez das águas
e quando o receio
me busca, não temo o medo,
sei que posso me deslizar
nas pedras e me sair ilesa,
com o corpo marcado pelo olor
da lama.
Abraso-me eu-mulher e não temo,
sei do inebriante calor da queima
e quando o temor
me visita, não temo o receio,
sei que posso me lançar ao fogo
e da fogueira me sair inunda,
com o corpo ameigado pelo odor
da chama.
Deserto-me eu-mulher e não temo,
sei do cativante vazio da miragem,
e quando o pavor
em mim aloja, não temo o medo,
sei que posso me fundir ao só,
e em solo ressurgir inteira
com o corpo banhado pelo suor
da faina.
Vivifico-me eu-mulher e teimo,
na vital carícia de meu cio,
na cálida coragem de meu corpo,
no infindo laço da vida,
que jaz em mim
e renasce flor fecunda.
Vivifico-me eu-mulher.
Fêmea. Fênix. Eu fecundo.
Femmina-Fenice
Per Léa Garcia*
Mi navigo io–donna e non temo,
conosco la falsa morbidezza delle acque
e quando il timore
mi cerca, non temo la paura,
so che posso scivolare
sulle pietre e uscirne illesa,
con il corpo marchiato dall’odore
del fango.
Ardo io-donna e non temo,
conosco l’inebriante calore dell’incendio
e quando il timore
mi visita, non temo la paura,
so che posso buttarmi nel fuoco
e dal fuoco uscirne intatta,
con il corpo addolcito dall’odore
della fiamma.
Mi isolo io-donna e non temo,
conosco il cattivante vuoto del miraggio,
e quando il terrore
mi abita, non temo la paura,
so che posso fondermi soltanto,
e al suolo risorgere intera
con il corpo bagnato dal sudore
della fatica.
Mi vivifico io-donna e insisto,
nella vitale carezza del mio calore,
nel caldo coraggio del mio corpo,
nell’infinito laccio della vita,
che giace in me
e rinasce fiore fecondo.
Mi vivifico io-donna.
Femmina. Fenice. Io fecondo.
* Léa Grarcia (nata l’11 marzo 1933 a Rio de Janeiro, Brasile) è un’attrice brasiliana. È conosciuta per i suoi numerosi ruoli televisivi e cinematografici. Ha interpretato Serafina, la cugina pazza di Eurydice, in Orfeu Negro, di Marcel Camus, film vincitore dell’Oscar nel 1960.
Filhos na rua
O banzo renasce em mim.
Do negror de meus oceanos
a dor submerge revisitada
esfolando-me a pele
que se alevanta em sóis
e luas marcantes de um
tempo que aqui está.
O banzo renasce em mim
e a mulher da aldeia
pede e clama na chama negra
que lhe queima entre as pernas
o desejo de retomar
de recolher para
o seu útero-terra
as sementes
que o vento espalhou
pelas ruas…
Figli per strada
La malinconia rinasce in me.
Dal fosco dei miei oceani
il dolore riemerge rivisitato
scorticandomi la pelle
che si solleva in soli
e lune segni di un
tempo che è qui.
La malinconia rinasce in me
e la donna del villaggio
chiede e reclama nella fiamma nera
che le brucia fra le gambe
il desiderio di riprendere
di raccogliere nel
suo utero-terra
i semi
che il vento ha sparso
Per le strade…
Meu rosário (1)
Meu rosário é feito de contas negras e mágicas.
Nas contas de meu rosário eu canto Mamãe Oxum e falo
padres-nossos e ave-marias.
Do meu rosário eu ouço os longínquos batuques
do meu povo
e encontro na memória mal adormecida
as rezas dos meses de maio de minha infância.
As coroações da Senhora, em que as meninas negras,
apesar do desejo de coroar a Rainha,
tinham de se contentar em ficar ao pé do altar
lançando flores.
As contas do meu rosário fizeram calos
em minhas mãos,
pois são contas do trabalho na terra, nas fábricas,
nas casas, nas escolas, nas ruas, no mundo.
As contas do meu rosário são contas vivas.
(Alguém disse um dia que a vida é uma oração,
eu diria, porém, que há vidas-blasfemas).
Nas contas de meu rosário eu teço intumescidos
sonhos de esperanças.
Il mio rosario (1)
Il mio rosario è fatto di grani neri e magici.
Nei grani del mio rosario io canto Mamma Oxum e recito
padri-nostri e ave-marie.
Dal mio rosario sento i lontani battiti del tamburo
del mio popolo
e trovo nella memoria mal addormentata
le preghiere dei mesi di maggio della mia infanzia.
Le incoronazioni della Madonna, quando le bambine nere,
malgrado il desiderio di incoronare la Regina,
dovevano accontentarsi di restare ai piedi dell’altare
lanciando fiori.
I grani del mio rosario han fatto calli
sulle mie mani,
perché sono grani del lavoro nella terra, nelle fabbriche,
nelle case, nelle scuole, nelle strade, nel mondo.
I grani del mio rosario sono grani vivi.
(qualcuno un giorno ha detto che la vita è una preghiera,
io direi, invece, che ci sono vite-bestemmie).
Nei grani del mio rosario io tesso tumidi
Sogni di speranze.
Meu rosário (2)
Nas contas de meu rosário eu vejo rostos escondidos
por visíveis e invisíveis grades
e embalo a dor da luta perdida nas contas
de meu rosário.
Nas contas de meu rosário eu canto, eu grito, eu calo.
Do meu rosário eu sinto o borbulhar da fome
no estômago, no coração e nas cabeças vazias.
Quando debulho as contas do meu rosário,
eu falo de mim mesma um outro nome.
E sonho nas contas de meu rosário lugares, pessoas,
vidas que pouco a pouco descubro reais.
Vou e volto por entre as contas de meu rosário,
que são pedras marcando-me o corpo caminho.
E neste andar de contas-pedras,
o meu rosário se transmuta em tinta,
me guia o dedo,
me insinua a poesia.
E depois de macerar conta por conto do meu rosário,
me acho aqui eu mesma
e descubro que ainda me chamo Maria.
Il mio rosario (2)
Nei grani del mio rosario vedo volti nascosti
da visibili e invisibili grate
e cullo il dolore della lotta perduta nei grani
del mio rosario.
Nei grani del mio rosario io canto, io grido, io taccio.
Dal mio rosario sento il borbottio della fame
nello stomaco, nel cuore e nelle teste vuote.
Quando sgrano le perle del mio rosario,
parlo di me stessa con un altro nome.
E sogno nei grani del mio rosario luoghi, persone,
vite che poco a poco scopro reali.
Vado e vengo lungo i grani del mio rosario,
che sono pietre che segnano il mio corpo cammino.
E in questo andare di grani-pietre,
il mio rosario si transmuta in tinta,
mi guida il dito,
mi insinua la poesia.
E dopo aver macerato grano a grano il mio rosario,
mi trovo qui io stessa
e scopro che ancora mi chiamo Maria.
Vozes-mulheres
A voz de minha bisavó
ecoou criança
nos porões do navio.
ecoou lamentos
de uma infância perdida.
A voz de minha avó
ecoou obediência
aos brancos-donos de tudo.
A voz de minha mãe
ecoou baixinho revolta
no fundo das cozinhas alheias
debaixo das trouxas
roupagens sujas dos brancos
pelo caminho empoeirado
rumo à favela.
A minha voz ainda
ecoa versos perplexos
com rimas de sangue
e fome.
A voz de minha filha
recolhe todas as nossas vozes
recolhe em si
as vozes mudas caladas
engasgadas nas gargantas.
A voz de minha filha
recolhe em si
a fala e o ato.
O ontem – o hoje – o agora.
Na voz de minha filha
se fará ouvir a ressonância
o eco da vida-liberdade.
Voci-donne
La voce della mia bisnonna
risuonò bambina
nelle stive della nave.
Risuonò lamenti
Di un’infanzia perduta.
La voce di mia nonna
Risuonò obbedienza
ai bianchi-padroni di tutto.
La voce di mia madre
Risuonò sottovoce rivolta
in fondo alle cucine altrui
sotto i fardelli
biancheria sporca dei bianchi
sulla strada polverosa
a cammino della favela.
La mia voce ancora
risuona versi perplessi
con rime di sangue
e fame.
La voce di mia figlia
raccoglie tutte le nostre voci
raccoglie in sé
le voci mute silenziate
soffocate nelle gole.
La voce di mia figlia
Raccoglie in sé
La parola e l’azione.
L’ieri – l’oggi – l’adesso.
Nella voce di mia figlia
si farà sentire la risonanza
l’eco della vita-libertà.
1 Conceição Evaristo, “Gênero e etnia: uma escrevivência de dupla face“. In: Mulheres no mundo, etnia, marginalidade e diáspora. João Pessoa: Ideia, 2005, p. 201
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Nata a la Maddalena, in Sardegna, si è laureata in Lettere e Filosofia presso l’Università La Sapienza a Roma. Ha seguito numerosi corsi di teatro, tra cui il Teatro Studio, partecipando alla creazione del teatro Spaziozero. È regista, autrice, attrice di teatro, traduttrice e studiosa di letterature africane. Ha condotto numerosi laboratori teatrali nelle scuole di ogni ordine e grado. È presidente delle associazioni culturali “Il Cerchio dell’Incontro” e, fino al 2016, di “Scritti d’Africa”. Nel 1975 ha lavorato in Portogallo come mediatrice culturale nella cooperativa agricola Torrebela. Dal 1977 al 1988 ha vissuto in Mozambico dove ha insegnato e diretto la Scuola Nazionale di Teatro e creato e diretto, col regista e giornalista Mendes de Oliveira, il “Dipartimento di Cinema per l’infanzia e la gioventù” realizzando diversi film che hanno ottenuto riconoscimenti internazionali. Il suo lavoro in Mozambico è stato premiato al Festival del Cinema per lo Sviluppo a Genazzano nel 1991. Sempre nel 1991 ha curato e tradotto dal portoghese con Joyce Lussu le poesie del poeta mozambicano José Craveirinha (Voglio essere tamburo, Centro Internazionale della Grafica, Venezia). Nel 1996 è tornata in Mozambico come collaboratrice RAI per una serie di servizi televisivi e ha realizzato un laboratorio teatrale con i “meninos da rua”, bambini-soldato e vittime della guerra. Nel 2013, ha pubblicato il suo libro di racconti “Sguardi altrove”, Vertigo Edizioni. Sue poesie e racconti sono presenti in diverse antologie. Collabora con alcune riviste on line e blog. In Argentina è stata docente di Lingua e Cultura Italiana presso la Società Dante Alighieri e l’Università di Mendoza e ha partecipato a congressi sulla letteratura italiana e realizzato diversi spettacoli teatrali. Nel 2018 pubblica il suo più recente libro di poesie “Ponti di corda“, Temperino rosso Edizioni e ha curato l’antologia poetica “Molti nomi ha l’esilio“, Kanaga Edizioni.