LA MURGA LATINO-AMERICANA: DIVERTIMENTO E CRITICA SOCIALE (Grazia Fresu)

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LA MURGA URUGUAIANA

Si è soliti affermare che la murga venga dalla città spagnola di Cadice e sia sbarcata in America Latina, in particolare in Uruguay negli anni 1906-1908-1909, con un gruppo gaditano chiamato Murga. Ma il termine murga appare nella città di Montevideo già nella decade del 1870, indicando un gruppo popolare, di strada e di carattere musicale, attivo specialmente durante il carnevale che in Uruguay spicca come manifestazione sincretica, formatosi con gli apporti delle varie correnti migratorie e dal suo seno la murga prende vita e si afferma

La murga uruguaiana è una rappresentazione drammatico-musicale che utilizza molteplici codici nelle sue presentazioni: linguaggio verbale con un suo proprio repertorio, tematiche e mezzi stilistici, la musica polifonica attraverso un uso specifico degli strumenti, soprattutto a percussione. Inizialmente rappresentata al chiuso, ben presto giungerà in strade, a convocare quanta più gente possibile in spazi urbani al di fuori di luoghi come teatri o saloni da festa. La murga esprime le circostanze sociali e politiche del paese, immette nei suo passi, gesti e parole la satira e l’ironia per dissacrare il potere e portare ad un pubblico senza discriminazioni il vento della critica e della ribellione allo status quo.

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Riprende certi aspetti delle mascaradas, gruppi carnevaleschi che scendevano in strada soprattutto con lo scopo di divertire, ma ben presto evoluziona anche rispetto alla murga spagnola, immettendo caratteristiche delle culture afroamericane ancora fortemente presenti nel paese. Vi si aggiungono elementi del candombe (musica e danza degli antichi schiavi africani) che, adattati alla batteria in uso (grancassa, tamburo, piatti), le conferiscono nuove sonorità e una fusione di ritmi sudamericani e africani che la rendono immediatamente identificabile. Dobbiamo tenere in conto che la cultura africana, che pure in America Latina ha apportato notevolmente alla sua storia, è stata costantemente rimossa per costruire un’identità che solo si riconosceva nelle origini europee, secondo le intenzioni dei vari governanti. La murga si riappropria delle sue origini africane e le evidenzia. Quanto all’aspetto teatrale, la murga è influenzata dal Carnevale di Venezia e dalla Commedia dell’Arte, per cui la possiamo considerare un luogo d’incontro privilegiato tra la cultura sudamericana, africana e europea. Agli strumenti tradizionali del candombe, oggi si sono aggiunti nuovi strumenti e tecniche e sul ritmo della musica si costruiscono le coreografie del ballo. I ballerini, oltre a danzare, cantano e il coro assume la parte morale della narrazione.

La murga si rappresenta in quattro fasi: nella prima si racconta in sintesi la storia e il proposito della stessa, nella seconda e terza si propongono i due momenti istrionici della proposta che esibiscono l’humor critico: il cuplé e il potpurrí. Si chiude con la ritirata carica di emozione, nostalgia e speranza, dove tra il pubblico e gli attori della murga si stabilisce un forte legame di empatia. In Uruguay e a Buenos Aires il carnevale riceve notevoli contributi dalle immigrazioni europee, africane, oltre all’impronta delle differenti dominazioni che Uruguay e Argentina hanno sofferto. Da questo crogiuolo di culture nasce la murga, la cui storia ha vissuto gli alti e i bassi delle diverse congiunture socio-politiche, a volte permessa, altre osteggiata e proibita, ma ugualmente è riuscita a mantenersi viva come fenomeno collettivo, vera espressione popolare del carnevale.

LA MURGA ARGENTINA

In Argentina la murga ha sviluppato caratteristiche proprie. Come afferma in una intervista del 2003, Ariel Prat, cantante, musicista, compositore e poeta argentino, la cui musica ingloba tutta la cultura rioplatense, quali il tango, la murga, il candombe e il rock: “La murga è un sentimento di orgoglio portegno che si balla. La murga portegna (di Buenos Aires) è una specie di nipote ritmica della nostra negritudine quasi scomparsa e una figlia diretta, fuoristrada e non riconosciuta, del tango, con la condizione quasi putativa addossata a una ricca storia di carnevali, che a Buenos Aires ha assunto sempre la carica di una festa intensa e sboccata”.

Nel numero 10 della Rivista El Corsito troviamo altri interventi sulla murga portegna. Nora Lia Sarmoni, specialista di Teatro, ci dice che nella murga si esprime l’identità dove emergono le forze della sociabilità argentina e Jorge Dubatti ribadisce la specificità di ogni aggruppazione murghera e interviene poi sull’aspetto musicale della murga, facendoci notare che tutto si riduce alla grancassa e ai piatti accompagnando il cantore solista e il coro, ossia tutta la murga, rispondendo all’unisono. La ritmica tradizionale della grancassa per il ballo è a tratti vicina alla milonga, a certa musica brasiliana degli anni ’30 o a certi ritmi tropicali degli anni ’50 e ha molto poco a che vedere con la murga uruguaiana, nonostante il candombe stia all’origine di entrambi. I testi sono generalmente montati su canzoni conosciute, e si affidano a ottimi parolieri capaci di scrivere, con semplicità e ironia, attorno ad avvenimenti quotidiani e fatti politici.

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La murga inoltre integra in sé l’aspetto visuale e teatrale. Al battere della grancassa si dà vita a una specie di rito dove gli stendardi, gli striscioni, le bandiere occupano tutta la larghezza della strada, imponendosi all’attenzione anche del più distratto e disinteressato dei passanti. Difficile mantenenersi indifferenti di fronte a una tale manifestazione di virtuosismo, dove una serie di salti e contorsioni incredibili non vuole solo apportare allegria agli spettatori ma si fa carico della sua marginalità, perché da essa nasce, strettamente legata al territorio e ai quartieri più disagiati. Proprio per il suo immancabile spirito critico verso la società, la murga ha sofferto proibizioni, violenze, pene e scomparsa di alcuni dei suoi membri.

Dagli editti e proscrizioni impartiti dagli antichi vicerè, con minaccia di scomunica da parte dei vescovi coloniali, fino al decreto dell’ultima dittatura militare nel 1976 che ha cancellato i festeggiamenti del carnevale, la murga si è mossa per tortuosi cammini. Nel 1844 il Presidente Juan Manuel Rosas decretò la prigione per quanti contravvenissero alla proibizione di festeggiare il carnevale per le strade. Dopo la sua caduta si ristabilirà il diritto ai festeggiamenti ma con misure molto strette di controllo. Solo nel 1869 si realizzò a Buenos Aires la prima sfilata con comparse di colore e bianchi con le facce tinte di nero che nei loro sfavillanti costumi offrivano una murga libera e trasgressiva. Cominciarono a sorgere nei quartieri gruppi per il carnevale e ogni quartiere della città preparava la sua sfilata. Nel XX secolo le murghe videro l’alternarsi di trionfi e repressioni perché il loro canto satirico e di critica sociale e politica infastidiva non poco i governi autoritari e purtroppo molti lo furono.

Nella murga sempre c’è l’omaggio al Re Momo, a volte rappresentato da un grande pupazzo che viene fatto muovere da attori nascosti nel suo corpo, altre volte solo evocato con le parole. Re Momo è un personaggio associato al carnevale brasiliano, ogni città ha il suo re al quale per i giorni del carnevale il Sindaco consegna le chiavi della città decretandolo temporaneamente padrone assoluto. La tradizione racconta che Momo, in greco Momos che significa burla, era un dio burlone e scherzoso alla corte di Zeus e che venne espulso dall’Olimpo e scagliato per dispetto sulla terra a causa dei suo scherzi a danno degli dei. Siccome sulla terra si annoiava inventò il carnevale e coinvolse in questo gli umani.

Uno dei momenti di maggior fortuna della Murga fu negli anni ’40. I vecchi murgheros che ne sono la memoria storica la ricordano come un’epoca di grandi trionfi. La crisi socio-economica degli anni ’30 che ne aveva in parte appagato lo spirito era ormai alle spalle e la voglia di riappropriarsi delle strade esplose. Questa alternanza di libertà e repressione nella murga accompagna gli eventi della storia argentina dove le crisi sono periodiche sia in economia che in politica. Però la murga sempre risorge come l’anima agglutinatrice del quartiere, con la sua inestinguibile voglia di espressione e di libertà.

Negli anni dell’ultima dittatura, sebbene alcune murghe segretamente continuassero a riunirsi in spazi chiusi, gli spazi aperti furono proibiti dalla censura e dalla repressione. Il silenzio si impose per le strade ad opera dei fucili che si affacciavano dai finestrini delle famigerate Falcón, le auto che la polizia usava per i rastrellamenti. Con la fine della dittatura le murghe risorsero nel 1997 e ottennero di essere dichiarate, con l’ordinanza 52039, patrimonio culturale della città e fu così possibile riprendere possesso delle strade, delle piazze, dei parchi in cui oggi le si vede allenarsi tutto l’anno. La gente dei quartieri le sente sue, le segue negli spostamenti dalla piazza allo scenario del proprio quartiere, a volte si unisce nel canto e nel ballo, conosce le storie che si raccontano che sono quelle di tutti e raccoglie il grido contro la soppraffazione e l’ingiustizia così come l’invito alla burla e all’allegria.

XXXmurga 2DIFFERENZE TRA LA MURGA PORTEGNA E LA URUGUAIANA

Varie differenze distinguono la murga uruguaiana dalla murga portegna (di Buenos Aires). Quello che caratterizza specialmente la murga di Buenos Aires è soprattutto la ricchezza del linguaggio corporale, i ballerini realizzano una varietà sorprendente di passi come la patada (calcio), il borracho (l’ubriaco), movimenti aerei, contorsionismi, evoluzioni quasi acrobatiche. Ogni quartiere elabora una sua sintassi del movimento. Mentre in Spagna e Uruguay ha molta più importanza il canto, a Buenos Aires il ballo la fa da padrone. Essendo la murga molto radicata nel quartiere va sempre più raccogliendo seguaci e nei quartieri marginali il suo compito, insieme ai volontari delle organizzazioni votate al recupero dei giovani a rischio, assume un’importante funzione sociale che oltre a divertire ha il compito di aggregare gli abitanti del quartiere, proporre ai giovani un’identità positiva e uno spazio di divertimento, creatività e appartenenza.

Un altro aspetto interessante e distintivo della murga portegna sono i suoi costumi. Il costume di ogni murghero è unico e personalissimo, realizzato in tessuto brillante come il raso o il taffettà, vi abbondano le decorazioni con pailletes, i cordoni dorati e argentati, le nappe, le frange di mille colori e in aggiunta i simboli e la iconografia di chi lo indossa, a differenza per esempio di quelli del carnevale brasiliano dove le comparse di ogni scuola di samba indossano abiti uguali. Altra differenza è che la murga portegna non è composta da professionisti che vengono pagati per sfilare, ma da affezionati che vogliono rappresentare il proprio quartiere e la propria storia. Questo dato è molto importante perché il potere politico sta cercando di convertire tutto in spettacolo istituzionalizzato, in modo da privare la murga della sua carica eversiva e popolare.

Per questo la grande differenza tra le sfilate carnavalesche di altri paesi e le murghe argentine risiede nell’autenticità che la murga portegna ha conservato, mantenendosi come espressione popolare spontanea e non inibita né incasellata nel businnes del divertimento, dove sembrano convergere anche le antiche manifestazioni popolari messe in scena soprattutto per i turisti e quindi svuotate del senso che avevano nella comunità che le ha partorite.

La murga è prima di tutto la voce del quartiere e dei suoi abitanti che sono gli stessi che poi la portano in giro per le strade della città per far sentire la propria voce. È uno spettacolo quando più murghe si incontrano negli spazi cittadini: una gioiosa sfida nasce tra loro e produce una pirotecnica girandola di situazioni, parole e musica. Il pubblico che si trova ad assistervi non vive la rappresentazione come uno spettacolo di cui è solo spettatore ma sente la murga come una delle tante voci che compongono questa cosmopolita, affascinante, esplosiva Buenos Aires di cui si sente parte integrante.

Grazia Fresu_foto

GRAZIA FRESU

Nata a La Maddalena, Sardegna, dottore in Lettere e Filosofia all’ Università “La Sapienza” di Roma, specializzata in Storia del teatro e dello spettacolo. A Roma ha lavorato per molti anni come docente e ha sviluppato la sua attività di drammaturga, regista e attrice e dal 1998, inviata dal Ministero degli Affari esteri, si è trasferita in Argentina, prima a Buenos Aires e attualmente a Mendoza, dove insegna lingua, cultura e letteratura italiana nel Profesorado de lengua y cultura italiana, Facoltà di Lettere e Filosofia, della Università Nazionale di Cuyo. È poetessa, con quattro raccolte poetiche edite: “Canto di Sheherazade, Ed. Il giornale dei poeti, ROMA 1996, presentato alla Fiera del libro di Torino del 1997; “Dal mio cuore al mio tempoche ha vinto in Italia nel 2009 il primo premio nazionale “L’Autore”, pubblicato nel 2010 dalla casa editrice Maremmi- Firenze Libri; Come ti canto, vita?”, Ed. Bastogi, Roma 2013; L’amore addosso”, Ed. Bastogi, Roma 2016. Ha partecipato a vari congressi con conferenze su temi di letteratura e problematiche culturali, educative e sociali e pubblicato i suoi saggi critici in atti congressuali e riviste specializzate. Ha inoltre realizzato molti eventi di narrazione e messo in scena i suoi testi teatrali con la sua e altrui regia. Collabora con la rivista online “L’Ideale” curando la rubrica di cultura e società “Sguardi d’altrove” e con il magazine “Cinque colonne” nella Terza Pagina con articoli di letteratura, arte, società.

Riguardo il macchinista

Lucia Cupertino

LUCIA CUPERTINO (1986, Polignano a Mare). Scrittrice, antropologa culturale e traduttrice. Laureata in Antropologia culturale ed etnologia (Università di Bologna), ha conseguito un Master in Antropologia delle Americhe (Università Complutense di Madrid) con tesi sulla traduzione di fonti letterarie nahuatl. Vive da tempo tra America latina e Italia, con soggiorni più brevi in Australia, Germania e Spagna, legati a progetti di ricerca, educativi e di agroecologia. Scrive in italiano e spagnolo e ha pubblicato: Mar di Tasman (Isola, Bologna, 2014); Non ha tetto la mia casa - No tiene techo mi casa (Casa de poesía, San José, 2016, in italiano e spagnolo, Premio comunitarismo di Versante Ripido); il libro-origami Cinco poemas de Lucia Cupertino (Los ablucionistas, Città del Messico, 2017). Suoi lavori poetici e di narrativa sono apparsi in riviste e antologie italiane e internazionali. Parte della sua opera è stata tradotta in inglese, cinese, spagnolo, bengali e albanese. È curatrice di 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos (Arcoiris, Salerno, 2016, menzione critica nel Premio di traduzione letteraria Lilec – Università di Bologna); Muovimenti. Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi, Lecce, 2016) e Canodromo di Bárbara Belloc (Fili d’Aquilone, Roma, 2018). Membro della giuria del Premio Trilce 2018, Sydney, in collaborazione con l’Instituto Cervantes. Cofondatrice della web di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com, con la quale promuove iniziative letterarie e culturali in Italia e all’estero.

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