La morte di Giulio in un paese senza onore (Massimo Mantellini)

Foto Fabio Cimaglia / LaPresse
29-03-2016 Roma
Politica
Senato. Conferenza stampa dei genitori di Giulio Regeni
Nella foto Luigi Manconi, Paola Regeni, Claudio Regeni, Alesandra Ballerini mostrano uno striscione

Photo Fabio Cimaglia / LaPresse
29-03-2016 Rome (Italy)
Politic
Senate. Press Conference by Giulio Regeni's parents
In the pic Luigi Manconi, Paola Regeni, Claudio RegeniFoto Fabio Cimaglia / LaPresse 29-03-2016 Roma Politica Senato. Conferenza stampa dei genitori di Giulio Regeni Nella foto Luigi Manconi, Paola Regeni, Claudio Regeni, Alesandra Ballerini mostrano uno striscione Photo Fabio Cimaglia / LaPresse 29-03-2016 Rome (Italy) Politic Senate. Press Conference by Giulio Regeni's parents In the pic Luigi Manconi, Paola Regeni, Claudio Regeni

Ti sei mai rotto un polso? Oppure una caviglia o un gomito? Fa male vero? Pensa come sarebbe rompersene dieci. O quindici. Polsi, caviglie gomiti ed altre ossa a piacere. Immagina come sarebbe rompersele tutte assieme o un po’ alla volta nel giro di una decina di giorni. Chiuso in una stanza in perfetta solitudine.

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E le unghie? Ti è mai venuto un ematoma sotto un’unghia? Hai presente il male che fa? Il dito batte, non ti lascia in pace. E’ pieno di recettori del dolore da quelle parti. E’ una specie di difetto di fabbricazione pensato dal buon dio. Hai mai visto la mappa delle aree corticali della sensibilità? Le dita, dentro il nostro cervello sono oggetti giganteschi. Oggetti tecnologici per azioni raffinate. E quelli lo sanno. Per quello ti hanno strappato le unghie una ad una. Magari non tutte assieme, non subito. Saper attendere è una delle caratteristiche del boia. Un’unghia oggi, un paio domani. Poi vediamo.

Poi c’è tutto il resto, anche e soprattutto quello che non sappiamo. Le scosse elettriche ai testicoli, le cartilagine delle orecchie amputate, una lista dell’orrore e della crudeltà alla quale vorremmo non pensare. E invece dobbiamo.

Ora, se sei un genitore, pensa a tutte queste cose assieme fatte a tuo figlio. Da un’altra parte, a telefoni spenti, mentre gli amici scrivono su twitter #where_is_giulio, mentre l’ambasciatore già nei giorni successivi al sequestro chiede ufficialmente informazioni e poi chiede di essere ricevuto dal Ministro. Che in fondo lo sanno bene cosa è successo e infatti nessuno gli risponde.

Quando quelli là rispondono, quando ormai è troppo tardi e le ossa e le unghie sono già state spezzate, quelli ti dicono che è stato un incidente stradale, cancellano le tracce, bruciano i tabulati telefonici e le immagini delle telecamere.

Ecco, così.

Esiste la politica ed esistono i simboli. In Egitto la politica magari consiglia di trattare al-Sisi, un generale a capo di un regime militare, come un interlocutore accettabile. Si possono fare affari, incassare bei soldi, non esagerare con i moralismi, come fanno tutti ovunque e da sempre.

Poi esistono i simboli e Giulio Regeni è diventato, suo malgrado, il simbolo di un Paese. Ne rappresenta la parte migliore, lo specchio di come vorremmo essere. Per sua e nostra sfortuna Giulio è un simbolo perfetto: solo per questa ragione l’eco della sua morte non si è ancora spenta dopo molte settimane. Uno studioso italiano, giovane, un bel ragazzo che lavora in una prestigiosa università (no, non italiana), che si occupa dei diritti dei senza voce con quel trasporto ingenuo e meraviglioso che solo a quell’età è possibile avere. Un simbolo precisissimo di ciò che questo Paese potrebbe essere e spesso non è. Un alieno del quale è così facile innamorarsi.

Dice – facile parlare così, ma come si risponde ad un simile crimine? Dentro una contabilità di centinaia di attivisti scomparsi dentro gli uffici della polizia segreta egiziana che valore potrà avere da quelle parti la morte di un Giulio Regeni qualsiasi?

Dice – e gli affari? Gli accordi bilaterali. le commesse ad Enel, Eni, Caio e Sempronio? Possono valere le torture a morte di un ragazzo italiano? Le sue ossa e le sue unghie spezzate? Dici di sì? Ehi che succede? Non hai figli? Sei un pezzo di merda dentro un gessato grigio da real politik?

Giulio insomma è diventato un simbolo. Forse per i suoi genitori questa continua riproposizione della sua foto sorridente alla laurea della sorella è perfino un dolore supplementare. Ma diventando un simbolo la sua triste vicenda è uscita da ogni possibile ricomposizione. Ignorarla è fuori discussione, pensare che bastino le frasi vagamente accusatorie di Paolo Gentiloni a rappresentare il sentimento dell’Italia è davvero una cosa da marziani.

I simboli si difendono con altri simboli. In casi come questo poi si tratta dell’unica cosa che abbiamo. I simboli sono il bignami di una Nazione, la raccontano per sommi capi. I simboli sono quella cosa stupida ed inesatta che parla di noi agli altri.

Lasciare Giulio Regeni al solito ping pong della burocrazia dell’orrore (autopsie, magistrati, procure, piccole dichiarazioni, processi contro ignoti, ferme dichiarazioni del Ministro) sarà un po’ come ammettere con gli altri – con tutti gli altri fuori da qui – che questo Paese è esattamente come sembra: un Paese senza onore. Un luogo di ordinaria contabilità, una pedina ininfluente in quasiasi prossima battaglia.

Pensi magari anche a questo Matteo Renzi mentre non dice nulla di Giulio Regeni, provi a cambiare idea, anche se già adesso è tardi. Anche se ora, dopo tanti giorni da quella morte atroce, è ormai davvero tardissimo.

Per gentile concessione dell’autore, pubblicato la prima volta il 9 marzo su Manteblog  http://www.mantellini.it/2016/03/09/la-morte-di-giulio-in-un-paese-senza-onore/.

 

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Massimo Mantellini è uno dei più noti commentatori della rete italiana. Blogger, editorialista per Punto Informatico, Il Post e L’Espresso, si occupa da oltre un decennio dei temi legati al diritto all’accesso, alla cultura informatica e alla politica delle reti. Nel 2014 ha scritto per Minimum Fax “La vista da qui, appunti per un’Internet italiana”. Cura per Telecom Italia la rivista di cultura digitale “Le Macchine Volanti”.

 

Foto in evidenza di Fabio Cimagliia, tratta da Repubblica.

Foto dell’autore a cura di Massimo Mantellini.

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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