La lingua nuda. Un’introduzione all’opera di Mohamed Choukri, scrittore e analfabeta (Simone Regolo Caleggia Maniaci )

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Mohamed Choukri fu scrittore e analfabeta.

Nacque il 25 marzo del 1935 presso il villaggio di Ayt Shīshār, nella zona del Rif, il retroterra montuoso nel nord-est del Marocco. All’età di sette anni emigrò insieme alla famiglia a Tangeri, per sfuggire ad una grave carestia che colpì la regione negli anni Quaranta. La sua vita si giocò tra Tétouan, Orano e Tangeri, cui fece ritorno – per restare – nel 1951.

 

Le condizioni in cui crebbe furono particolarmente svantaggiate: Mohamed era il maggiore di due fratelli, unici sopravvissuti alla carestia, e di due sorelle. I restanti sette furono uccisi dalla fame, mentre uno fu ucciso dal suo stesso padre, forse per deliberata intenzione omicida forse per quello che più tardi Choukri stesso definì un incidente.

Questo episodio è presentato nella sua prima opera biografica, del 1956, che narra in modo da Choukri stesso definito “picaresco” (suttāriyya) della vita del casualmente omonimo e ugualmente analfabeta protagonista Mohamed, Il Pane Nudo.

 

Al-Ḫubz al-ḥāfī. Sīra ḏātiyya riwā’iyya 1935-1956. Questo è il titolo completo dell’opera. Letteralmente: “Il pane nudo (o scalzo). Autobiografia romanzata 1935-1956”. Il titolo rende manifesto il carattere autobiografico del testo e delinea l’arco temporale in cui si svilupperà il racconto, ovvero dalla data di nascita dell’autore stesso a quella del più importante evento della storia del Marocco: il raggiungimento dell’indipendenza. Il libro si suddivide in tredici capitoli di diversa lunghezza e narra della lotta di Mohamed da bambino, contro la morte, contro la fame. E contro il padre.

 

“Mio padre era un mostro[…]. Tutto doveva essere a sua immagine e somiglianza, un po’ come Dio: era così che lo vedevo[…]. Picchiava mia madre senza motivo. Molte volte l’ho sentito minacciarla[…]. Insultava il mondo intero, malediceva Dio, e poi si pentiva di tutto.”

 

Il padre infanticida, il polo negativo del racconto, “anti-soggetto” se non vero e proprio antagonista.  Nonostante la sua assenza per buona parte della narrazione rimarrà costantemente una figura dalla valenza persino metaforico/teologica contro cui Mohamed vorrà scontrarsi per tutta la narrazione.

Egli non è un uomo, è una bestia (“waḫš”, con la doppia accezione di “bestia” e “mostro”), la cui rabbia e violenza sono dirette contro tutto il mondo, Dio compreso. È egli stesso a ergersi a incarnazione divina e a imporre la propria volontà a tutti i membri più deboli della famiglia. Talmente superiore e intoccabile che pur avendo strangolato e ucciso il suo stesso figlio, Abdelkader, riesce a piazzarsi in prima fila come se nulla fosse al funerale.  Fatto che non può che esacerbare l’ira di Mohamed :

 

“Io ho rivisto per un attimo le mani di mio padre mentre ammazzava Abdelkader. Avrei voluto dire: «Mio padre, mio padre non voleva bene a suo figlio. Ed è lui che lo ha ammazzato. Sì, proprio così: lo ha ammazzato. Assassinato. Io l’ho visto, ho assistito a questo delitto […]. Gli ha tirato il collo, e il sangue è uscito dalla bocca: l’ho visto con i miei occhi. È mio padre l’assassino».”

 

Ma l’assassino ne guadagna così una bocca in meno da sfamare. Del resto più volte nel corso della narrazione il padre rimprovererà a Mohamed questa stessa colpa: essere una spesa, superflua, non voluta, di cui avrebbe fatto volentieri a meno, ma che ora a lui appartiene. E che quindi esiste in funzione sua e nient’altro che sua.

La povertà e la fame sono d’altronde una costante, lungo l’infanzia e l’adolescenza di Choukri. Nel Pane Nudo, il motivo del pane che dà del resto il titolo al romanzo è ad esempio declinato in infinite varianti: il pane è tanto raffermo e secco, quanto nero, con miele, con cipolle, imburrato, azimo, maledetto; persino mescolato alle feci. Mentre il protagonista, parallelamente, appare spesso come “al-ḥāfī”, quindi “nudo”, sì, ma soprattutto “scalzo”. Ed è su questa doppia valenza del termine che gioca il titolo.

La fame e la miseria sono nel romanzo di Choukri affrescate in tutti i loro aspetti e hanno conseguenze ineluttabili: decadimento fisico e morale, disgregazione familiare e promiscuità, ambiguità e insalubrità, oppressione. Violenza.

Violenza che appartiene al singolo (numerose sono le zuffe in cui si ritrova coinvolto Mohamed), che è dei giovani, che si ritrova persino e soprattutto in seno alla famiglia.

Non solo, la violenza è espressione e parte costitutiva dello Stato stesso (il Makhzen), che la traduce in atto con l’azione repressiva della polizia. È una violenza pervasiva, rintracciabile dovunque, quasi una normale manifestazione prodotta dal corpo al momento stesso di muoversi nello spazio.

Ed è proprio il corpo, nel romanzo di Choukri, ad irrompere sulla scena e a farla da padrone: il corpo, con tutte le sue componenti, comprese le più basse, con un proliferare di riferimenti sessuali e scatologici.

 

Infine, Choukri/Mohamed è essenzialmente un migrante. L’intero romanzo e l’intera vita di Choukri poggiano sull’ineluttabilità di un movimento costante e incessante, tipico del resto dei romanzi picareschi. La sedentarietà non un’opzione. La migrazione è per Choukri conseguenza inevitabile dell’esistere stesso del corpo nello spazio e non sono da indagarne tanto le ragioni quanto le conseguenze. Le conseguenze di cui la sua stessa pelle è o è stata testimone.

Cartina da tornasole dello straniamento del migrante (in questo caso Rif  > Tangeri) può essere ad esempio la lingua.  Già da bambino, appena arrivato a Tangeri, Mohamed viene percepito dai bambini del quartiere come socialmente e culturalmente inferiore: la sua origine predetermina in lui un inevitabile e imperdonabile deficit linguistico. Non sa l’arabo.  Questa accusa, che lo rende un marginalizzato a prescindere dalla sua volontà – fatto che Choukri ribadirà più volte – coglie in modo mirato l’opposizione arabo/berbero presente in Marocco sul piano linguistico e rispecchia la condizione stessa dell’autore, la cui lingua madre è appunto il berbero del Rif e che ha vissuto tutta la sua infanzia e la sua adolescenza in condizione di totale analfabetismo. Non mancano però i riferimenti al tema portante del romanzo. Il pane. La fame.

 

“Io […] ero per loro l’affamato ultimo venuto:

 

– È uno del Rif. È venuto dal paese della fame e degli assassini.

 

– Non sa mica parlare l’arabo.

 

– Quelli del Rif sono tutti malati e, ovunque vadano, portano la carestia.

 

[…] Questo disprezzo verso gli abitanti del Rif colpisce anche quelli che abitano in montagna. La differenza sta nel fatto che uno del Rif è considerato un traditore, mentre uno che viene dalle montagne è un poveraccio un po’ ignorante.”

 

E sarà solo all’età di vent’anni che Choukri potrà finalmente, grazie al prestito concessogli da alcuni amici, recarsi a Larache, sulla costa occidentale del Marocco, per vincere quell’analfabetismo da lui sempre avvertito come una pesante tara.  Ma tutto questo sarà narrato nella seconda parte della sua biografia: Zaman al-aḫtā’ (“Il tempo degli errori”) pubblicata soltanto nel 1992.

 

La storia editoriale delle opere di Choukri non è stata del resto in discesa ed emblematico è il caso dello stesso Pane nudo.  Redatto molti anni prima, fu pubblicato soltanto nel 1973 ma in una traduzione molto approssimativa ad opera dell’autore beat americano Paul Bowles, residente a Tangeri (che ne aveva ascoltato il racconto orale). Questo poiché gli editori arabi e soprattutto marocchini avevano rifiutato di pubblicarla in ragione del linguaggio e dei temi troppo trasgressivi. Nel 1980 Il pane nudo fu tradotto in lingua francese come Le pain nu, per mano del celebre scrittore francofono Tahar Ben Jelloun per poi essere pubblicata solo nel 1982 in Marocco in lingua araba, ma fu attraverso la traduzione di Ben Jelloun – forse il solo autore marocchino con un discreto successo commerciale in Italia – che l’opera giunse nel nostro Paese, venendo quindi tradotta prima dall’arabo in francese e poi dal francese in italiano. Risulterebbe dunque ingenuo credere che in quest’opera di ipertrasposizione nulla di importante sia andato perduto.

Saggio inedito, per gentile concessione dell’autore LogoCC

 

 

Simone Regolo Caleggia Maniaci: Nato sul ramo sbagliato del Lago di Como (quello che volge a mezzanotte), il 26 maggio 1992, diplomato al Liceo Classico Alessandro Volta di Como,  con una tesi sul potere della parola.
Sceglie nella primavera del 2011 di frequentare la facoltà Lingue e Letterature Straniere, in arabo e francese, all’Università Alma Mater di Bologna,  dove si è laureato nell’anno accademico 2015/2016 con una tesi in letteratura araba  marocchina dal titolo “Tra Ta’rib e Francophonie –  La scelta della lingua per gli scrittori marocchini”.

Da sempre appassionato di lingua,  musica (suona la batteria), parole e letteratura. Italiana, latina, greca,  maghrebina, libica,  francese. Mediterranea.

Vive a Bologna, per l’esattezza in Bolognina e da settembre 2016 inizierà a frequentare il Corso di Laurea Magistrale in Lingua e cultura italiana per stranieri.”

 

Riguardo il macchinista

Sana Darghmouni

Sana Darghmouni, Dottore di ricerca in Letterature Comparate presso l'Università di Bologna, dove ha conseguito anche una laurea in lingue e letterature straniere. E' stata docente di lingua araba presso l'Università per Stranieri di Perugia ed è attualmente tutor didattico presso la scuola di Lingue e letterature, Traduzione e Interpretazione all'Università di Bologna.

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