La cura attraverso la parola (José Eduardo Agualusa)

foglieginko

(La buona poesia accende bagliori nel cervello)

Due anni fa, è nato in Inghilterra un curioso oggetto letterario, “The novel cure”, che potremmo tradurre come “La cura attraverso il romanzo”. Il libro, scritto da Susan Elderkin e Ella Berthoud, ha come sottotitolo “An A-Z of literary remedies”, ossia “ Un ricettario letterario dall’A alla Z”. L’idea è molto buona: prescrivere letteratura per un ampio ventaglio di mali, dalla malinconia e depressione all’eccesso di peso.
Il libraio portoghese José Pinto, uno dei proprietari della graziosa e stravagante libreria lisbonese “Ler devagar” si è ispirato al libro di Susan Elderkin e Ella Berthoud per creare un progetto ancor più temerario: una farmacia letteraria. La farmacia dovrà funzionare nell’atrio di un futuro centro di medicine alternative, da istallarsi in un vecchio ospedale di Lisbona, attualmente disattivato. Il paziente si dirige al farmaceutico letterario (biblioterapeuta), esprime le sue lamentele, e riceve la medicina o medicine, due o tre libri, che potrà utilizzare sul posto, comodamente istallato in una delle stanze dell’istituzione, o portarseli a casa. Sembra il felice delirio di un sognatore, e lo è, con la differenza che José Pinto prende i sogni sul serio. Fu sua la pazza idea di trasformare Óbidos, piccolo e bellissimo paese antico, circondato da mura, a 70 chilometri da Lisbona, in una cittadella letteraria, con 11 librerie, istallate nei locali più insoliti, da un’antica chiesa a un mercato di frutta. I principali compratori sono le migliaia di turisti brasiliani che visitano la cittadella e rimangono incantati con le librerie.
Qualche anno fa ho pubblicato un racconto, in una rivista letteraria, racconto che parla di una signora che prescriveva poesia come cura per ogni tipo di malattie. Mi servì da modello per il personaggio una vicina belga che, quando ero bambino, leggeva versi, ad alta voce, per i fiori del suo giardino. Io la vedevo, in certi tramonti incandescenti, passeggiare lungo il muro, con un libro aperto tra le mani. Si tratteneva qui e là, per recitare, china sopra il fulgore delle rose, sonetti in francese e in portoghese. Nel vederla, nell’ascoltare l’eco misterioso di quei versi, io intuivo in essi una forza antica. Forse i suoi fiori non crescevano più freschi e nemmeno più vigorosi, ma io credevo di sì.
Circola tra le reti sociali uno studio dell’Università di Liverpool secondo cui la poesia è molto più stimolante per il cervello, e più utile nella soluzione dei problemi, della cosiddetta letteratura dell’autostima. Anche ignorando la legittimità del documento in causa, io credo nelle sue conclusioni. I libri di autostima sono – quelli meno peggio – semplici compilazioni irritanti di luoghi comuni. La buona poesia sorprende, accende bagliori nel cervello, provoca e sfida.
All’inizio la poesia, è sempre bene ricordarlo, era una peculiarità della magia. I maghi declamavano i propri versi per convocare gli spiriti, svegliare forze remote, creare avvenimenti attraverso il verbo. La parola vento era il vento stesso. Il suono che riempie la parola ombra può riempire di penombra il cuore dei nemici – e così via.
Quasi tutti i bambini sono poeti. Manoel de Barros confessò, in varie interviste, di aver rubato versi pronti ai suoi stessi figli. Niente che possa sorprendere un padre o una madre. Chiunque abbia figli piccoli conosce l’esperienza di riscoprire la brillantezza della lingua attraverso la poesia involontaria che i piccoletti praticano tutti i giorni. Purtroppo, ciò che la generalità dei sistemi d’insegnamento fa è togliere la poesia dal di dentro dei bambini. Crescere è, così, perdere la poesia. Forse per questo abbiamo la tendenza ad ammalarci nella misura in cui ci allontaniamo dall’infanzia ¬– e dalla poesia. Credo che l’esposizione prolungata alla poesia sia  suscettibile di provocare alterazioni irreversibili nello spirito di chiunque. Bambini che crescono ascoltando declamare poesia corrono il rischio di non trasformarsi mai interamente in adulti, o, perlomeno, in adulti conformati (e malati). Eventualmente, continuano a essere poeti per tutta la vita.
Le versioni in portoghese (portoghese e brasiliano) del libro di Susan Elderkin e Ella Berthoud arriveranno nei prossimi mesi nelle librerie e saranno distinte l’una dall’altra, poiché includono ricette proprie, adattate alle differenti realtà nazionali. La tentazione di prolungare il gioco è enorme. Ognuno di noi può creare il suo ricettario personale. Per esempio, per prevenire e trattare l’intolleranza religiosa, epidemia in espansione in Brasile, io raccomanderei Jorge Amado. Per gli scrittori che stiano soffrendo l’insorgere di un blocco creativo, invece di “I capture the caste”, di Dodie Smith, proposto dalle (case editrici) inglesi, consiglio “O livro do desassossego”, di Bernardo Soares. So, per esperienza personale, che funziona molto bene.

 

“A cura pela palavra – A boa poesia acende clarões no cérebro”, José Eduardo Agualusa, nella sua colonna in “O Globo”, 29-06-15, traduzione dal portoghese di Loretta Emiri.

 

 

José Eduardo Agualusa  è uno scrittore angolano.  Di origine portoghese, Agualusa collabora con il giornale portoghese Público  e con molti altri periodici sparsi nei paesi lusofoni.  Noto per il su nomadismo reale e culturale (vive tra Luanda, Lisbona e Rio de Janeiro) lo rispecchia poi nella frammentarietà della sua produzione letteraria. Il suo genere d’elezione è il racconto, o la cronaca, cioè prosa breve. Lo spazio culturale in cui si muove l’opera di Agualusa non è solo quello dell’Angola post-indipendenza: ma di tutta l’area “lusofona”.  Tra i suoi romanzi tradotti in italiano La congiura (1997), Un estraneo a Goa (1997) Barocco tropicale (2012,) Tra le raccolte di racconti, Borges all’inferno (2009).

 

Foto in evidenza di Melina Piccolo.

 

Riguardo il macchinista

Loretta Emiri

La scrittrice Loretta Emiri è una delle macchiniste fondatrici e ha collaborato particolarmente al numero zero della rivista. Si è ritirata dal gruppo operativo a ottobre del 2016. È nata in Umbria nel 1947. Nel 1977 si è stabilita in Roraima (Brasile) dove ha vissuto per anni con gli indios Yanomami. In seguito, organizzando corsi e incontri per maestri indigeni, ha avuto contatti con varie etnie e i loro leader. Ha pubblicato il "Dicionário Yãnomamè-Português", il libro etno-fotografico "Yanomami para brasileiro ver", la raccolta poetica "Mulher entre três culturas". In italiano ha pubblicato i libri di racconti "Amazzonia portatile" (Manni, 2003), "Amazzone in tempo reale" (Livi, 2013) – che ha ricevuto il premio speciale della giuria del Premio Franz Kafka Italia 2013, “A passo di tartaruga – Storie di una latinoamericana per scelta” (Arcoiris, 2016), il romanzo breve "Quando le amazzoni diventano nonne" (CPI/RR, 2011). È anche autrice dell’inedito "Romanzo indigenista", mentre del libro "Se si riesce a sopravvivere a questa guerra non si muore più", anch’esso inedito, è la curatrice.

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