La chiamata, di Horacio Quiroga

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L’aldilà

di Horacio Quiroga

Vol. 25, collana Gli Eccentrici Edizioni Arcoiris, 2016

 

Quiroga---L'aldilàLa Chiamata

Quel mattino, il caso volle che mi trovassi nell’ospedale psichiatrico dove, soltanto quattro giorni prima, era stata ricoverata una donna, vittima di una terribile sciagura.

«Vale la pena che ascoltiate il racconto dell’incidente» mi disse il medico che ero andato a trovare. «Constaterete un caso di ossessione e allucinazione uditiva davvero singolare.

«La povera donna ha subìto un violento shock, conseguente alla morte della figlia. Nei primi tre giorni, in preda a un’indescrivibile angoscia, non è riuscita a chiudere occhio. Ascoltarla, credetemi, non sarà tempo sprecato. Avremo con noi anche due delegati, per così dire, di una società spiritica: saranno qui a momenti. Voi, comunque, tenete bene a mente ciò che vi ho detto riguardo all’ammalata: stato di ossessione, monomania e allucinazione uditiva. Ma ecco i signori che attendevamo. Possiamo andare».

 

Non fu affatto difficile convincere la povera donna a confidarsi, e ad alleggerire così il suo cuore. Incoraggiata con qualche parola affettuosa, diede finalmente sfogo al tremendo dolore che la opprimeva e, coprendosi il viso con le mani, mormorò: «Cosa posso dirvi che non abbia già raccontato al mio dottore!».

«Desideriamo ascoltare tutta la storia, signora» insistette il medico. «Tutta, compresi i particolari».

«Ah! I particolari…» mormorò ancora l’ammalata, togliendo le mani dal viso e scuotendo lentamente la testa. «Sì, i particolari… Li ricordo uno per uno… E anche se dovessi vivere mille anni…».

Bruscamente, portò di nuovo le mani agli occhi e ve le lasciò, premendole con forza, come se dietro quel velo cercasse di concentrare, e liberare una volta per tutte, l’allucinante tumulto dei suoi ricordi.

Un istante dopo lasciò cadere le mani e, spossata ma tranquilla, cominciò:

«Come desiderate, dottore. Un mese fa…». Dolcemente, il medico intervenne:

«Dall’inizio, signora…».

«Va bene, dottore… Farò così… Siete stato molto buono con me… Se soltanto quindici giorni fa… Sì, sì! Subito, dottore… Ecco cosa volevo dire. Mil… La nostra piccola aveva giusto quattro anni e un mese quando suo padre si ammalò, per non riprendersi più. Non eravamo mai stati molto felici. Mio marito era di costituzione debole e molto provato dalle avversità della vita. Per fortuna, godevamo di un certo agio economico, altrimenti non so che cosa sarebbe stato di noi. Era sempre malinconico, anche quando sorrideva. E credo non avesse mai conosciuto la felicità, fino al giorno in cui divenne padre.

«Quanto amava sua figlia, dottore! Con che devozione contemplava la nostra bimba! E quale conforto era per me pensare che, alla fine, avesse trovato qualcosa per cui legarsi fortemente alla vita!

«Senza dubbio mi aveva amato, quando era ancora in grado di farlo; ma soltanto le manine della figlia erano riuscite a dissipare la sua perenne tristezza.

«Poi, come ho detto, cadde in uno stato di grande prostrazione, dal quale non si riprese mai più. E il mio dolore di moglie presto svanì, davanti a quello, indicibile, espresso dagli occhi di un padre consapevole di doversi separare per sempre da sua figlia.

«Per sempre, dottore! Il suo ultimo sguardo, fisso su di me, rivelava così intensamente ciò che aveva nel cuore che, chiudendogli gli occhi con un bacio, gli dissi:

«“Riposa in pace! Veglierò su tua figlia, come avresti fatto tu stesso”.

«Rimanemmo sole, la mia creatura e io: lei sprizzava salute da ogni poro e io, al suo fianco, trovavo il conforto di cui avevo bisogno.

«Bambina mia! Sembrava aver assorbito le forze del povero padre, tanto che la sua allegria bastava a illuminare l’esistenza di entrambe. La promessa fatta a mio marito sul letto di morte non fu vana. Come già lui in vita, adesso ero io a riversare su nostra figlia tutto il disperato affetto di cui ero capace.

«Oh, dovete credermi! Vegliavo su di lei come se esistere, per me e per il mondo intero, non avesse altro scopo che la sua felicità. Quanti sogni ho fatto per la mia creatura, mentre la tenevo addormentata fra le braccia, senza decidermi a metterla nella culla! E quanto lieve mi sembrava la mia stanchezza di madre, al pensiero di aver trasmesso a quel corpicino ogni mia energia!

«Sì, un’estrema stanchezza… Vi ho spiegato, dottore, come mi sentivo allora. Fisicamente andavo rimettendomi, ma dentro, nel profondo dell’animo, qualcosa moriva, consumandosi giorno per giorno. Perdevo, subito dopo averlo tessuto, il filo dei miei sogni di felicità, e restavo a capo chino, mortalmente stanca, come se appena oltre le mie illusioni si aprisse un vuoto, freddo e incolmabile. Mi sembrava, a volte, di udire una voce lontana, appena percepibile, proveniente non so da dove, pronunciare il nome di mia figlia. Ero tanto, tanto stanca!

«Consapevole dell’inutilità dei miei sforzi, non potevo più pensare al futuro senza che una profonda tristezza mi gelasse il cuore. Perché? Non c’era motivo, nessun motivo per soffrire così. Avevo con me la mia bimba adorata, ogni giorno più sana e allegra. Non ci mancava nulla, e nulla ci sarebbe mancato, data la nostra buona posizione economica. Nulla! Con mia figlia tra le braccia, tutto sarebbe andato per il meglio. Lo avevo promesso a suo padre.

«Eppure… Non appena mi abbandonavo al sogno di un futuro felice per la mia creatura, sentivo quel sogno farsi di ghiaccio – orribilmente freddo! –, come se il mio amore e quello di suo padre non bastassero ad alimentarlo. E sprofondavo nella disperazione.

«Durò un mese intero questa mia angoscia. Una sera, mentre pensavo, per la milionesima volta, alle cure affettuose di cui avrei sempre circondato la mia piccola, udii chiaramente queste parole:

«“Non ne avrà bisogno”.

«Oh! È impossibile descrivere il dolore di una madre al pensiero che ogni suo sacrificio per la felicità della figlia sarà inutile. Quella lugubre voce trovava eco dentro di me, confermando le mie paure, dando un motivo al mio sconforto.

«Dunque, non avrebbe più avuto bisogno di cure…

«Perché sarebbe morta!

«Oh, Dio! Morta! Con me che avrei fatto qualunque cosa per lei, come un tempo suo padre! No, no! Mi ribellai, dottore! Che la voce continuasse pure ad annunciarne la morte! Io avrei difeso mia figlia, contro tutto e tutti!

«Da quel momento vissi in un incubo, senz’altro scopo che proteggere disperatamente la mia bambina. Veglierò su di lei!, gridavo a me stessa. E ogni volta, dalle tenebrose profondità del nostro destino, la voce ripeteva:

«“Sarà tutto inutile”.

«Quindi… Quindi la mia piccola doveva morire. Dio mio!, imploravo, abbracciandola e scoppiando in singhiozzi. Davvero poteva quella voce, che me ne aveva predetta la morte, anche impedirmi di salvarla?

«“Sarà tutto inutile”.

«Oh, nessuno ha mai conosciuto un tormento maggiore del mio! Morta! Ma come sarebbe morta? Di malattia? Per un incidente?

«Sì, per un incidente!

«Ne ebbi la certezza prima ancora che la voce confermasse:

«“Morirà per un incidente”.

«Insomma, dottore… Cominciammo a rincasare prima, la sera. In seguito smettemmo di uscire. Mi assicurai dieci volte della solidità dei mobili. Lo stesso feci con le pareti, battendole per ore. Feci portar via da casa tutto ciò che non garantisse la più completa sicurezza. Mi aggiravo per le stanze ormai spoglie, con il cuore colmo di cattivi presagi. Controllavo cento volte ancora quanto già avevo controllato.

«Mi sentivo totalmente svuotata. Agivo come un automa, in preda a un senso di spaventosa inquietudine. Tenevo la bimba sempre accanto a me, sotto la triplice sorveglianza del mio cuore, dei miei occhi e delle mie mani.

«E tuttavia sapevo che, prima o poi…

«Da cosa, mio Dio!, imploravo, angosciata. Da cosa devo proteggerla, da cosa devo salvarla?

«D’improvviso, mentre quasi soffocavo la bimba tra le braccia, ebbi la terribile rivelazione:

«“Morirà per il fuoco”.

«Dall’intera casa, dai miei abiti, dal mio stesso respiro venne, allora, la tremenda consapevolezza che la fine della mia piccola era segnata, che le rimanevano da vivere non mesi o giorni, ma poche ore…

«Come impazzita, mi precipitai in cucina, spensi il fuoco e gettai secchi d’acqua sulle ceneri. Diedi ordine di non riaccendere il camino, per nessuna ragione. Corsi da una stanza all’altra, rovistando febbrilmente in ogni cassetto. Requisii e distrussi tutte le scatole di fiammiferi. Chiusi porte e finestre, tornai di corsa in cucina per accertarmi che i miei ordini fossero stati rispettati, e mi rifugiai con la bambina nello studio del mio povero marito, che per fortuna non era mai stato un fumatore.

«Nessun fuoco… Oh, no! Lì saremmo state al sicuro!

«La mia angoscia, però, non si placava. E se non avessi controllato bene? E se la cuoca avesse conservato una scatola di fiammiferi? E se qualche garzone, dopo aver consegnato la merce in cucina, avesse acceso una sigaretta?

«Eccolo! Eccolo il pericolo! Lanciando un urlo e allontanando da me la piccola, ritornai in cucina… Spaventata, la cuoca ebbe appena il tempo di cacciare a sua volta un grido, quando uno sparo risuonò nella casa…».

La povera donna tacque. Per un lungo istante, forse il tempo necessario perché l’ultima eco dello sparo si spegnesse nella sua anima, rimase con le mani sugli occhi. Finché disse:

«Sì… Sapete già cosa accadde, dottore… Io stessa lo sapevo prima ancora di vedere la mia bimba a terra, morta… Sì… Durante la mia breve assenza, la piccola aveva aperto i cassetti della scrivania e, trovato un revolver in fondo a uno di essi, aveva cominciato a giocarci… L’arma, poi, le era caduta dalle mani e…

«Dottore!» esclamò all’improvviso, togliendo le mani dal volto affranto. «Ho perso mia figlia, proprio come mi era stato annunciato… Con una freddezza e una crudeltà di cui Dio è testimone, mi fu detto che la mia piccola non avrebbe avuto più bisogno del mio amore… che a niente sarebbe valso ogni mio sforzo per salvarle la vita… e che sarebbe morta a causa del fuoco.

«Del fuoco, signore! Perché non mi fu detto chiaramente, invece, che sarebbe morta per un proiettile, per lo sparo di un revolver? Avrei potuto evitarlo! Perché si è giocato così col cuore di una madre e con la vita di un’innocente? Perché lasciarmi impazzire dietro ai fiammiferi, senza avvertirmi che non da essi veniva il pericolo? Perché Dio ha permesso che un insulso gioco di parole bastasse a strapparmi, tanto orribilmente, mia figlia? Perché?».

La sua voce si spense, soffocata dalla violenza con cui la donna si era portata nuovamente le mani al volto.

Seguì allora un lungo, lunghissimo silenzio, rotto alla fine da uno dei visitatori:

«Avete detto, signora, che una voce vi annunciò la terribile disgrazia».

Un brivido percorse il corpo della paziente, la quale tuttavia non replicò.

«Avete anche detto» proseguì il visitatore «di aver udito, in varie occasioni, una voce lontana chiamare vostra figlia. Era la stessa voce?».

La paziente annuì, con un cenno del capo.

«Riconosceste quella voce?».

E stavolta, affondando il viso nel cuscino, piena d’orrore e scossa da interminabili singhiozzi, la povera madre rispose:

«Sì. Era quella di suo padre…».

 

Horacio Quiroga (Salto 1878 – Buenos Aires 1937), uruguaiano di nascita e argentino di adozione, è una delle più grandi figure della letteratura rioplatense del secolo scorso. Pur avendo frequentato (raramente) il romanzo e la poesia, il nome di Quiroga è legato in maniera privilegiata e indissolubile alla forma racconto. I racconti di Quiroga rispettano infatti i criteri dell’eccellenza letteraria sia nel modo in cui sono costruiti, sia nell’adeguamento che volta per volta avviene nel registro della prosa, sia in quell’impalpabile aria di sentimento (cupo o luminoso che sia, ma spesso più cupo che luminoso) che soggiace a ogni narrazione. Quiroga, lo possiamo dire senza ambagi, è un sovrano del racconto. Tra i suoi libri più importanti: I perseguitati (1905, Edizioni Arcoiris), storia di manie in crescendo in cui Quiroga si fa protagonista/narratore e in cui troviamo anche un altro celebre personaggio della letteratura rioplatense, quel Leopoldo Lugones che in vita ebbe uno stretto rapporto di amicizia con il nostro; Cuentos de amor de locura y de muerte (1917), Anaconda (1921), Los desterrados (1926) e L’aldilà (1935, Edizioni Arcoiris).

 

Traduzione di Francesco Verde. Traduttore editoriale free-lance, tendenzialmente ligio alla regola fortiniana (“Soprattutto non troppo genio”). Suoi ultimi lavori: ‘Tungsteno’ di César Vallejo (Sur), ‘L’aldilà’ di Horacio Quiroga (Arcoiris), ‘Le forze misteriose’ di Leopoldo Lugones (Lindau), ‘È il tuo turno’ di Alberto Laiseca (Arcoiris), ‘Vite vulnerabili’ di Pablo Simonetti (Lindau). In corso di traduzione: ‘La soberbia juventud’ di Pablo Simonetti, ‘Las brigadas’ di Ariel Luppino. Dal gennaio 2016 all’aprile 2017 ha curato e tradotto, per il blog NightReader e su licenza dell’autore, una serie di pezzulli “on writing” di Joe R. Lansdale. Editor di ‘Tutta la vita dietro un dito’, opera di Carmen Verde e Alex Oriani segnalata dal Comitato di lettura del Premio Italo Calvino (XXXI edizione) e pubblicata da Salani nel maggio 2019. Attratto dalla inesatta scienza degli etimi (sunt nomina consequentia rerum?) e perciò compulsatore di lessici, glossarî e calepini. Devotissimo, ancorché irreligioso, a sant’Isidoro di Siviglia. Bibliofilo temperato: senza ardori collezionistici. Assiduo e tronfio partecipante ai quiz letterarî di ‘Fahrenheit: i libri e le idee’ (Rai Radio 3). Vinti, a tutt’oggi, 96 volumi.

 

Immagine di copertina: Foto di Marvin Collins.

 

 

 

 

Riguardo il macchinista

Maria Rossi

Sono dottore di ricerca in Culture dei Paesi di Lingue Iberiche e Iberoamericane, ho conseguito il titolo nel 2009 presso L’Università degli Studi di Napoli l’Orientale. Le migrazioni internazionali latinoamericane sono state, per lungo tempo, l’asse centrale della mia ricerca. Sul tema ho scritto vari articoli comparsi in riviste nazionali e internazionali e il libro Napoli barrio latino del 2011. Al taglio sociologico della ricerca ho affiancato quello culturale e letterario, approfondendo gli studi sulla produzione di autori latinoamericani che vivono “altrove”, ovvero gli Sconfinanti, come noi macchinisti li definiamo. Studio l’America latina, le sue culture, le sue identità e i suoi scrittori, con particolare interesse per l’Ecuador, il paese della metà del mondo.

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