Il contesto nel quale fu scritto Knepp
“Knepp” è stato scritto a Buenos Aires tra l’ottobre del 1982 e l’aprile del 1983. La dittatura militare aveva iniziato la sua grossolana uscita di scena consumandosi nell’ultimo sanguinoso spasimo della guerra delle Malvinas. In breve si tratta di questo: ad un anno dall’arresto del marito di cui non aveva più notizie, la moglie del prigioniero scomparso ricevette una telefonata dallo stesso. Si trattò di un monologo rigorosamente succinto: “Sto bene. Quelli che mi detengono mi permettono di lavorare per conto mio. Mi permetteranno di richiamarti”. L’uomo non diede alcuna risposta a nessuna delle domande poste dalla moglie. La telefonata si ripeté ogni settimana nei successivi sei mesi. In seguito, inaspettatamente così com’era venuta, la voce scomparve per sempre. Durante quei sei mesi, poco a poco, la donna aveva iniziato ad adottare un comportamento che fu giudicato ‘anormale’. In effetti passava ore e ore a truccarsi e a vestirsi in attesa della chiamata, il cui tono restava invariato: “Sto bene…etc.”. L’esistenza della donna si era praticamente organizzata in funzione della telefonata. I suoi orari, le sue attività, erano architettati in rapporto a quell’istante. Qualsiasi sforzo di quelli che le erano vicini (amici e familiari) si traduceva nel tentativo di distoglierla da quello stato: “Così non può continuare…la vita non può dipendere dallo squillo di un telefono…è una follia…etc.”. Date le sue condizioni, questo tentativo di ricondurla alla ragione sembrava logico. Ma tale appello alla ragione, questa ricerca del senso comune, coincideva anche con la risposta di vasti settori della società civile argentina di fronte all’uragano di sangue e perversione che s’era abbattuto sulle loro teste. Per la prima volta nella storia recente dell’Argentina il genocidio si presentò come una possibile realtà. Non che si ignorasse l’esperienza della repressione, ma il terrore che orchestrarono i militari erano di nuova e diversa qualità. Si dovette correre il rischio di pensare che in verità si trattasse di un piano freddamente elaborato ed eseguito; di uno sterminio sistematico nel quale era impegnata la quasi totalità delle strutture del potere militare. E pensare questo, accettare questo…era follia. Come difendersi allora da questo pensiero folle? Come uscire da un vuoto incommensurabile? Le vie che proponeva la ragione erano diverse e suscettibili di essere usate assieme o separatamente. Come ad esempio il paragonare tale processo a quello attuato da Pinochet. Per lui, la strategia, consisté nello spingere i cileni in un massimo grado d’orrore: un punto a partire dal quale la situazione degli argentini appariva quasi ‘migliore’. Oppure distinguere tra linee ‘dure’ e linee ‘morbide’ all’interno dell’organizzazione della giunta militare. O ancora: accettare che la totalità delle vittime fosse in qualche modo compromessa (come ad esempio militando nella guerriglia), giustificando così secondo ‘circostanze di guerra’ e scontro militare fra due opposte fazioni, quello che non si voleva riconoscere per quello che era: un’orgia di sangue e corruzione quasi indiscriminata. Le similitudini evidenti tra i metodi di repressione della giunta militare e quelli impiegati dai nazisti erano rigettate in quanto meramente apparenti – sempre alla luce della ragione- politicamente e storicamente infondate…Nel momento in cui i fatti concreti diventavano irrefutabili (“Hanno portato via quel tale”) le risposte si accordavano automaticamente con quello che la ragione aveva strutturato: “Non è un caso”, “Chi si mette in mezzo a certe cose sa quello che rischia”. E’ stato il limite dell’efficacia di tutto ciò che è ragionevole rispetto alla follia. Tale ragionevolezza aiuta a sopravvivere, non c’è dubbio, ma ad un prezzo spaventosamente alto: la distruzione di ogni stima individuale. Non si poteva affrontarla o comprendere la follia che ci avvolgeva tutti, che a partire da un’altra follia. Non a caso le Madri della Plaza de Majo, sono ben presto state ribattezzate come ‘ Le Pazze della Piazza di Maggio’. Ben sapendo che l’aggettivo era l’emanazione dell’Ufficio della propaganda ufficiale del regime, furono molti quelli che lo riconobbero appropriato. Non fu forse follia quella di riunirsi tutti i giovedì proprio davanti al Palazzo dl Governo per reclamare la viva restituzione dei figli scomparsi? Così come il fatto che la maggior parte di loro non sia stata arrestata? La ragione restò scandalizzata davanti a tanta ostinazione. I suoi meccanismi di funzionamento non permettevano di vedere come in questa richiesta dell’impossibile risiedeva l’unica possibilità di affrontare il terrore. Questo modo insensato di pretendere il rispetto elementare dei diritti dell’uomo acquistò paradossalmente il carattere ragionevole dell’unica ‘real-politik’. Questa domanda assoluta di verità , di giustizia in senso ampio, si rivelò come la sola pratica politica possibile. Questa ‘follia’ divenne il catalizzatore della vita sociale. Al suo cospetto si sgretolarono non solo l’orgoglio cinico della dittatura, ma anche le maschere più elaborate della strategia, del senso comune e del criterio opportunista, rivelando – nel migliore dei casi – l’errore e la perplessità – nel peggior – la complicità e la vigliaccheria. “Knepp” fu scritto in un contesto dove il bilancio abominevole conta 30.000 (trentamila) vittime, morti e dispersi inclusi; centinaia di migliaia di esiliati politici; un sistema economico in agonia e una tenebrosa degenerazione dell’educazione e della cultura. Lo spettacolo è stato scritto anche partire dalla convinzione che la storia non deve apparire come carica di un suo significato immanente, del fatto che proceda fatalmente vero qualche direzione ‘naturale’. Ma a partire daalla intuizione che i limiti e le possibilità della specie a cui apparteniamo si manifestano nella concreta possibilità di darle un significato, un senso…E non conosco né riconosco migliore significato da perseguire di quello espresso in ciò che chiamiamo i Diritti dell’Uomo. In virtù di queste convinzioni, “Knepp” è forse un omaggio alle persone che – come Maria Elena – preferiscono l’estensione di una follia etica all’alibi di un preteso buonsenso.
Buenos Aires, 1985
Jorge Goldenberg
(trad. Walter Valeri)
ATTO UNICO
Personaggi
MARIA ELENA
Sui 35 anni. Carina. Elegante. Attenta al suo aspetto fisico.
KNEPP
Tra i 45 e i 50 anni. Vestito in modo impeccabile. Indossa un abito tagliato su misura. Aspetto gradevole (in ogni caso nulla che spaventi). Porta sempre con sè una valigetta tenuta al polso da una catenella.
POLIZIOTTO
Indossa abiti borghesi, ma meno eleganti e meno curati di Knepp. Età non superiore ai 40 anni.
MADRE
Fra i 55 e i 60 anni. Misurata, elegante, con addosso segni visibili di una trascorsa bellezza.
LUIGI
Età che si aggira fra i 35 e i 40 anni. Veste volutamente in modo trasandato (e proprio per questo elegante).
AMBIENTE
Camera da letto di Maria Elena nella casa della famiglia dei genitori. All’incirca una vecchia casa di classe medio-alta. Mobili antichi ma non di stile. Porte alte. Finestre a doppio tendaggio. Il tutto in un insieme relativamente sobrio e senza sfarzo.
Maria Elena entra nella sua camera da letto. In un angolo della stessa, senza che lei lo avverta, c’è il signor Knepp. Maria Elena sta venendo dalla strada ed è stanca. Scaraventa la borsa sul letto, continuando a camminare e si leva le scarpe. Tira fuori da sotto il cuscino la sua camicia da notte. Si sofferma di fronte allo specchio e comincia a sbottonarsi la camicetta. Knepp interviene cogliendola di sorpresa.
KNEPP Non si spogli, la prego. Si potrebbe fare confusione.
M. ELENA Ma lei chi è? cosa ci fa qui? (Knepp cerca di avvicinarsi per tranquillizzarla ma lei lo blocca con un urlo) Esca! Esca di qui, immediatamente!
KNEPP Si calmi per favore…
M. ELENA (correndo ad aprire la porta che dà sul resto della casa) Mamma! Mamma!
KNEPP Non c’è… Non c’è nessuno.
M. ELENA Se ne vada! Se ne vada!
KNEPP Guardi che sta equivocando.
M. ELENA (porgendo ad uno ad uno gli oggetti che nomina) Ecco: l’orologio, il braccialetto, i soldi. Non ho niente altro di valore. Ora se ne può andare. Le prometto di non urlare.
KNEPP Rimetta via tutto.
M. ELENA Ma allora cosa vuole?
KNEPP Come prima cosa che si calmi. (Si sbottona la giacca allarga le braccia) Non sono armato e inoltre non le farò nulla a cui lei non acconsenta (Maria Elena s’avvicina al telefono e compone un numero) Cosa fa?
M. ELENA (parlando al telefono) Polizia? Polizia? Voglio parlare con la polizia!
KNEPP Perde il suo tempo.
M. ELENA Pronto? Polizia?
Entra come per incanto dalla porta un poliziotto con aria molto affabile.
POLIZIOTTO Buona sera signora. (Sconcertata Maria Elena indietreggia istintivamente)
M. ELENA Fuori! Fuori!
POLIZIOTTO Lei mi ha chiamato e io sono qua. Cosa succede, signora? (Maria Elena non risponde. Il poliziotto le fa vedere il distintivo) Non si spaventi, è il tesserino di riconoscimento. (Maria Elena lo prende in mano) Controlli pure, ha tutto il tempo che vuole…
M. ELENA (restituendo il tesserino) Quest’uomo s’è introdotto in casa mia. Io non lo conosco.
POLIZIOTTO (con aria innocente) Quale uomo?
M. ELENA Questo!
POLIZIOTTO Mi scusi, ma non capisco di cosa stia parlando.
M. ELENA (tirando Knepp per la giacca) Non lo vede? Non lo vede?!
POLIZIOTTO Non vorrei contraddirla, signora, ma…
M. ELENA Cosa dovrei fare per farglielo vedere? Spaccargli la testa?
POLIZIOTTO (bloccando in altro il braccio di Maria Elena) Calma… Non perda il controllo. Non sto mettendo in dubbio le sue parole… ma non vedo niente di allarmante. Ad ogni modo posso perquisire la casa, se lo desidera…
Maria Elena si rilassa e sorride tristemente impotente.
M. ELENA E così non lo vede, eh?
POLIZIOTTO (dopo un gesto di stupore ingenuo) Da dove vuole che inizi a controllare?
M. ELENA Va bene… non si disturbi.
POLIZIOTTO Non c’è nessun disturbo.
M. ELENA D’accordo… (trattenendo a stento la rabbia) Ho capito tutto!
POLIZIOTTO Come preferisce. Ma sappia comunque che io sono all’erta. Non si sa mai, non le pare?
M. ELENA Non si sa mai.
POLIZIOTTO (lasciando la stanza) Buona notte. Non esiti a chiamarmi in caso di difficoltà (e se ne va).
KNEPP Gliel’avevo detto.
M. ELENA Che stupida che sono. Perché non me ne ero resa conto prima? Va bene, lei cos vuole?
KNEPP Né sesso né denaro. Spero non abbia più dubbi al riguardo.
M. ELENA Nessun dubbio, lei è uno di loro.
KNEPP In un certo senso… per motivi di circostanza. (Allunga la mano che Maria Elena non stringe) Il mio nome è Knepp: cappa, enne, e, pi, pi…; con quel tanto di inconsueto per far capire subito che questo non è il mio vero nome e che non esiste nessuna convenienza… nè possibilità di conoscerlo. (Maria Elena apre l’armadio e sfila gli abiti) Cosa fa?
M. ELENA Ho il tempo di preparare una valigia coi vestiti o non ce n’è bisogno?
KNEPP Lei continua a sbagliarsi.
M. ELENA Perché? Non è forse venuto a prendermi?
KNEPP Per cortesia…
M. ELENA Perché si sorprende? Perché non faccio resistenza?… Credo che non sopporterei la violenza fisica. è tutto.
KNEPP Sono preparato a questo genere di equivoci, è la parte antipatica del mio lavoro… Ma mi aspettavo da lei un po’ più di perspicacia. Ho forse l’aspetto di uno che si porta via la gente?
M. ELENA Lei è uno di loro. Interessa poco l’aspetto che ha.
KNEPP Andiamo, una risposta non la compromette… onestamente: ho l’aspetto di uno che si porta via la gente? … Mi osservi.
M. ELENA Non ha quell’aspetto.
KNEPP Immagino che questo la faccia sentire più tranquilla.
M. ELENA Immagina male.
KNEPP Metta via i vestiti. Non sono venuto per portarla da nessuna parte. Voglio solo parlare con lei civilmente.
M. ELENA Cosa mi vuole dire?
KNEPP Intendo anche ascoltarla.
M. ELENA Allora Parli!
KNEPP Senza ostilità sarebbe meglio.
M. ELENA Mi dica cosa vuole e mi lasci in pace!
KNEPP Detesto cominciare su questi toni (Apre la valigetta. Estrae una fotografia che mostra alla donna. Lei impallidisce. Una breve pausa, e poi Maria Elena comincia a parlare cercando di controllarsi)
M. ELENA Dov’è?
KNEPP Lo conosce?
M. ELENA (gridando) Dov’è?
KNEPP Per cortesia risponda alla mia domanda, lo conosce?
Maria Elena strappa la fotografia dalle mani di Knepp ma lui con uno scatto gliela riprende. Nello scambio la foto si rompe.
KNEPP Vede cosa combina in questa maniera? Così non possiamo andare avanti.
M. ELENA (quasi implorando) Dov’è?
KNEPP Ahi, ahi, ahi! La parte antipatica del mio lavoro è veramente antipatica. Faccia uno sforzo e m’ascolti: esiste una procedura che non ho inventato io… ma della quale devo tener conto… mi piaccia o no. Per favore, non mi renda tutto più difficile. Ripeto: conosce l’uomo che è nella fotografia?
M. ELENA Lei sa che si tratta di mio marito… se lo sono portati via un anno fa e… (Maria Elena rimane in silenzio. Respira profondamente e parla con la voca debole) … e non piangerò davanti a lei, capito?… Non piangerò! (Abbassa la voce avvicinandosi alla faccia di Knepp) Figli di puttana, figli di puttana…
KNEPP Mi creda, non c’è niente di personale in tutto questo… sono le formalità, prima di proporle una trattativa.
M. ELENA Quale trattativa?
KNEPP Una buona trattativa. Non dubiti… come sta?
M. ELENA Cosa?
KNEPP Come si sente, voglio dire… fisicamente, emotivamente.
M.ELENA Molto bene. Molto bene, non si vede? Qual è la trattativa?
KNEPP Ho bisogno di precisazioni dettagliate… e le anticipo che sono di natura un po’ intima (tira fuori una scheda e una biro)
M. ELENA Dica.
KNEPP Tenga presente che si tratta di un interrogatorio tipo… niente di personale.
M. ELENA Vada avanti!
KNEPP Lei lavora?
ELENA Sì (Knepp fa dei segni sulla scheda).
KNEPP Guadagna a sufficienza?
ELENA Sì.
KNEPP Ottimo. Allora perché abita con sua madre?
ELENA (ironica) Perché mi adora.
KNEPP Se non mi risponde seriamente…
ELENA Perché non sopporto di stare in casa mia. Mi mette paura e tristezza. Lei dovrebbe saperlo.
KNEPP Potrebbe abitare da sola, in un altro posto…
ELENA Ci ho provato, ma senza riuscirci. Qualsiasi rumore mi spaventa.
KNEPP Non ha mai pensato d’andare all’estero?
ELENA Sì.
KNEPP Perché non l’ha fatto?
M. ELENA Perché ho un marito qui.
KNEPP è sicura di averlo?
M. ELENA (dopo una breve pausa) Sì.
KNEPP Perché non avete figli?
M. ELENA Non ho voluto.
KNEPP Sta praticando una terapia psicologica di qualche tipo? Mi può rispondere sì o no. Non ho bisogno del nome dell’analista.
ELENA No.
KNEPP Ha avuto rapporti sessuali nel corso di quest’ultimo anno? Se la risposta è positiva si tratta di un rapporto di tipo permanente o saltuario? (Si fa un breve silenzio. Maria Elena si gira imbarazzata e impotente. Knepp cerca di mantenere un tono cordiale) Può non rispondere a questa domanda… ma è bene che lei sappia con chi sta trattando.
ELENA Lo si fin troppo bene.
KNEPP Credo di no. E questo potrebbe mandare tutto all’aria. Ascolti: il mio è un atteggiamento scientifico. Di conseguenza qualunque cosa lei faccia o dica, non è nè più nè meno che un punto favorevole o contrario alla tesi che voglio dimostrare. Non mi prende dal punto di vista personale.
M. ELENA Lei è una merda.
KNEPP Vede? Anche questo era previsto. Le ripugna. Può dirlo finché vuole… io la capisco. Anche a me ripugnerebbe se mi mettessi dal punto di vista di qualsiasi etica… ma deve convenire con me che non potrebbe essere considerato un punto di vista scientifico. Questo è il prezzo che devo pagare: non lasciarmi intimidire dalle circostanze. Andare al di là delle mie stesse barriere morali (che ho); bere il mio calice scientifico fino in fondo… Mi creda, non è facile.
M. ELENA Una merda! Lei è una vera merda!
KNEPP Ed eccone la prova; lei mi insulta. E se lo permettessi mi potrebbe fare del male… e in quel caso arriverei al punto di abbandonar tutto. Quale sarebbe allora la mia alternativa? Ammettere la mia sconfitta in qualità di scienziato… o difendermi; e rispondere alla sua aggressione con un’altra, magari maggiore… imprevedibile.
M. ELENA Farmi uccidere.
KNEPP Mi capisca, la prego: non sono un violento, svengo alla sola vista del sangue… l’unica cosa che mi interessa è la mia ricerca. Questo è l’unico motivo per cui ho accettato di lavorare con “loro”… come li chiama lei… non ho altri legami.
M.ELENA Cosa vuole dimostrarmi?
KNEPP Che lei non lo sappia, ora, fa parte di questa esperienza. In ogni modo potrebbe risultarne un rapporto di mutuo beneficio… nel caso in cui lei accetti la trattativa; è chiaro.
M. ELENA Qual è questa trattativa?
Knepp estrae dalla sua valigetta un piccolo registratore.
KNEPP Giudichi lei stessa. (Accende il mangianastri e si sente la voce di Raul)
RAUL Maria Elena… mia cara, cara… sono Raul… mi manchi tanto, sono Raul… (Knepp ferma il registratore, riavvolge il nastro e lo fa funzionare di nuovo. Maria Elena ascolta senza dire una parola)… Maria Elena… mia cara, cara… sono Raul… mi manchi tanto… sono Raul… (Knepp ferma il nastro).
M. ELENA Lo lasci continuare!
KNEPP Un momento. Così sarebbe troppo facile e io non sarei onesto col mio lavoro. (Maria Elena si impossessa bruscamente nel del registratore ma quando lo accende si sente soltanto musica. Knepp con un gesto misurato riprende il registratore e lo ferma) Se mi avesse lasciato parlare, si sarebbe risparmiata questa frustrazione.
M. ELENA Parli.
KNEPP Non le sto offrendo molto: una voce. Chiaro che a pensarci bene una voce è più di un silenzio, no? (Accende il registratore e si risente la voce di Raul)
RAUL Sto bene… relativamente bene… (Knepp ferma il registratore)
KNEPP “Relativamente”, l’introduzione di questo avverbio nel testo è opera mia. Ho dovuto discutere abbastanza… ma li ho convinti ovviamente: “relativamente bene”, ha un suono più vero in queste circostanze…
M. ELENA Lo lasci continuare.
KNEPP Come no. (Riaccende il registratore)
RAUL La gente con cui sto mi lascia lavorare nel mio campo… (risatina)… ma non mi pagano, chiaramente…
KNEPP (fermando il registratore) Altro dettaglio di cui ho la responsabilità. Un sacco di verità: nessuno – e neanche lei a quanto sembra – crederebbe che si lasci lavorare a proprio beneficio…
M. ELENA Lo lasci continuare!
KNEPP Non perda il controllo. Le chiarisco queste cose non per vanità, ma perché lei capisca la natura del mio lavoro.
M. ELENA Dove lo tengono? (Knepp accende il registratore)
RAUL Non parlo quasi mai… vedo poco il sole…
KNEPP Non cerchi un significato metaforico nell’ultima parte. è una descrizione letterale.
M. ELENA Allora lei sa dov’è…
KNEPP No, m so che non sono permesse metafore. Spero che lei apprezzi la mia onestà: potevo anche dirle di sì e chiedere dei soldi in cambio di una informazione che non ho. C’è gente che lo fa e potrebbe venire a trovarla… (riaccende il registratore)
RAUL Non mi abbandonare… non mi abbandonare…
M. ELENA Lo fermi! (Knepp obbedisce) La trattativa.
KNEPP Il suo compito è quello di mantenere la calma, rispondere alle mie domande… e, chiaramente, senza aggiungere niente. Non importa quello che lei ha fatto fino ad ora. Non che io non ne sia a conoscenza (tira fuori dalla valigetta una cartella e la sfoglia). Ho fotocopie di tutto: dichiarazioni, firme, amministrazione, lettere di presentazione… ecc. (Prende una fotografia e la guarda) Ora che la conosco di persona credo che questa foto sia quella che esprime maggiormente il suo… modo d’essere… Un ritratto. (Legge nel retro) è stata scattata quattro mesi fa da… non importa. (Porge la foto a Maria Elena) Può tenerla… ne ho delle copie. (Maria Elena la rifiuta) Non sto giudicando la sua condotta. Al poto suo anch’io forse avrei fatto lo stesso… ma perché la trattativa esista deve smettere… Il silenzio è la condizione fondamentale.
M. ELENA In ogni caso non mi ha ancora detto che cosa otterrei in cambio.
KNEPP Potrà parlare con suo marito una volta alla settimana.
M. ELENA Lo potrò vedere?
KNEPP Parlare. Ho detto parlare, deve prendermi alla lettera. Le ho spiegato che le metafore… (Squilla il telefono. Maria Elena si spaventa) Risponda, risponda perché squillerà solo tre volte… (Maria Elena ubbidisce)
M. ELENA Pronto (…) sei tu? (…) Sicuro che sei tu? (…) Guarda cosa ti domando… è chiaro che sei tu… (piange) Cosa? (…) sto piangendo… adesso mi passa… dove sei? (…) Dimmi per favore dove sei! (…) Come? (…) Vuoi sapere quello che (…) Non so… sì, lo so, è chiaro… (si guarda allo specchio) Una camicetta blu (…) collo tondo e bottoni bianchi. Una gonna… (…) blu. Dimmi se ti trattano male (…) sono spettinata perché (…) credo di essermi messa un foulard… rosso… sì, rosso… dove sei? (…) Cosa? (…) come al solito, o meno del solito (…) un po’ di ombretto, un po’ di colore, lucida labbra e mascara… (…) sì, abbastanza, perché le mie ciglia… però adesso voglio sapere dove sei (…) dove sei?!… Pronto! Pronto! (a Knepp) Hanno riattaccato. (Knepp risponde con un gesto di impotenza)
KNEPP Posso capire cosa le sta succedendo… Pero è questo il momento più difficile… dopo… In ogni modo voglio anticiparle che ci sono alcuni argomenti che, ovviamente… voglio dire… domande che non otterranno risposta… date le reali condizioni.M. ELENA Che cosa succede se non accetto?
KNEPP Ehm… naturalmente, non avrà altre chiamate…
M. ELENA Mai… mai più?
KNEPP Se questa è una metafora… ogni conclusione la tragga lei.
M. ELENA Lei è un verme!
KNEPP Perché discuterne? Non arriveremmo ad alcuna conclusione operativa. È meglio che mi dica cosa ha deciso.
M. ELENA Accetto. (Rapido cambio di luci a indicare il trascorrere del tempo. da questo momento a ogni cambio la luce all’inizio si concentrerà sullo specchio per poi diffondersi sulla scena.
Knepp scompare. Rimane solo Maria Elena alle prese col trucco e si cambia d’abito). Mamma! Mamma! (Entra in scena immediatamente la madre)
MADRE Io non ti capisco Maria Elena…
M. ELENA Oggi è venerdì.
MADRE Lo so.
M. ELENA Allora devi capire.
MADRE Non è sano.
M. ELENA Certo. Pero portami la camicetta per favore. (La madre esce. Di tra un mobile qualsiasi della scena sbuca il signor Knepp)
KNEPP Mi sembra logica la preoccupazione i sua madre. A dire la verità non è necessaria tanta… preparazione. Dopo tutto non sono che un paio di minuti di conversazione telefonica. Mi piacerebbe ne parlassimo un po’ di tutti questi preparativi…
M. ELENA Stia zitto! (Knepp scompare. Immediatamente rientra la madre con la camicetta. Maria Elena si sfila quella che indossa e mette l’altra. La madre la osserva. Maria Elena parla improvvisamente commossa) è molto bella questa camicetta, no?
MADRE Non ti sembra che dovrei poter fare qualcosa?
M. ELENA Qualcosa di che genere?
MADRE Io dovrei poter fare qualcosa. Sono tua madre.
M. ELENA (con tono duro e sulla difensiva) Qualcosa di che genere?
MADRE Qualcosa di giusto
ELENA Avresti potuto aiutarmi a cercare mio marito.
MADRE Tuo marito ha sua madre. Io devo fare qualcosa per te.
M. ELENA Non sei obbligata. E se preferisci posso andarmene da questa casa. Basta semplicemente comunicare il cambio di numero telefonico.
MADRE Non cambierebbe nulla, sarei sempre tua madre.
M. ELENA (con tono aspro) Mi dispiace: non posso evitarti questa responsabilità.
MADRE Qualcuno dovrà ben capire cosa succede.
M. ELENA Capire cosa?
MADRE Qualcuno deve sapere.
M. ELENA Per piacere, mamma, va’ via. Si sta facendo tardi e sai che preferisco essere sola.
MADRE Sì (resta immobile).
M. ELENA Cosa aspetti?
MADRE Neppure tu sei sicura di quello che stai facendo.
M. ELENA No. E vattene.
MADRE (uscendo) Non è sano.
Maria Elena continua a truccarsi. Dopo un istante si affaccia Knepp che la osserva per un attimo in silenzio.
KNEPP Mi sembra molto carina.
M. ELENA La sua opinione non mi interessa.
KNEPP Non è un giudizio soggettivo. è un fatto.
M. ELENA Una osservazione “scientifica”.
KNEPP Lei conosce l’arte di farsi bella.
M. ELENA E anche se la conosco?
KNEPP Non esce mai senza truccarsi…
M. ELENA Adesso non devo uscire, lei lo sa. E poi questo genere di conversazione non era nei patti.
KNEPP E neppure li modifica. Non sia così rigida. Credo di essermi guadagnato il diritto a che lei mi creda in buona fede. Con oggi sono già sette venerdì… e le chiamate avvengono puntualmente.
M. ELENA Credo sia inutile domandarle di non ascoltare le conversazioni.
KNEPP Mi dispiace… fa parte del mio lavoro…
M. ELENA Però in questo caso commette un errore. Se sapessi che sono conversazioni private, forse direi qualcos’altro…
KNEPP Che altro?
M. ELENA Non so… cose che potrebbero risultarle utili…
KNEPP A cosa?
M. ELENA Per le sue investigazioni…
KNEPP E come potrei se fossero “conversazioni private”?
M. ELENA Non mi creda più stupida di quello che sono: non sarebbe mai una conversazione realmente privata… Tutto quello che le chiedo è una finzione più verosimile. è molto volgare sapere che lei è lì per prendere nota… Se perlomeno non si facesse vedere così spesso…
KNEPP È davvero un peccato che ci siamo conosciuti in circostanze tanto sgradevoli…
M. ELENA Lei è una circostanza sgradevole.
KNEPP È già quasi l’ora. Buona notte. (Knepp scompare. Maria Elena dà un’ ultima sbirciata al suo aspetto. Poi cammina avanti e indietro per la stanza cercando di rilassarsi. Infine siede accanto al telefono e aspetta molto tesa. Dopo un po’ il telefono squilla. Maria Elena alza il ricevitore dopo i tre squilli convenzionali).
M. ELENA Pronto! (…) Bene, bene… Non ti sembra strano che dica “pronto”? (…) Bene, te l’ho già detto (…) Ha piovuto un po’ stamattina, poi è schiarito. Anche lì? (…) Ti ho chiesto se anche lì ha piovuto! Pronto! Pronto! (Abbassa la cornetta e grida verso dove presume si trovi Knepp) Hanno interrotto! Hanno interrotto! Non è giusto! (si affaccia Knepp)
KNEPP Si calmi… di sicuro si stanno consultando… perché il tema delle condizioni meteorologiche non era previsto… è tutto. Insista, non avranno sospeso.
M. ELENA Pronto! Pronto! Per piacere! (…) Sei tu! Pensavo avessi riattaccato. Puoi dirmi se lì ha piovuto? (…) Aspetta. Vorrei sapere se lì ha piovuto, è chiedere troppo? (…) E tu cosa hai addosso (…) Come sei vestito? (…) Perdonami… non so… mi ascolti? Sicuro che mi ascolti? (…) Va bene: una camicetta bianca, ricamata… con un nodino al collo e pantaloni bianchi (…) (ride) Come di che colore? Bianchi… (…) Sono scalza… non me ne ero accorta… (…) Subito, subito… (calza le scarpe) scarpe da tennis bianche… le scarpe rosse le ho portate ad aggiustare (…) scarpe da tennis bianche ti ho detto, mi si è rotto il tacco, un incidente stupido: camminando per la strada ho messo male un piede e… (…) Per la strada, però non mi sono fatta male… è stato ridicolo e basta… mi guardavano… (…) non so… mi è sembrato che tutti… sarà stato perché mi sentivo ridicola (…) le sei del pomeriggio, pressappoco (…) certo, a quell’ora ci sarà stata molta gente (…) ho preso un taxi… (…) non so di che marca fosse, non guardo mai (…) (si porta una mano all’orecchio) Vediamo… sì… le scarpe rosse piccole (…) (Maria Elena si guarda la mano dove porta la fede) No, non l’ho levata, e tu? (…) Non posso neanche chiedertelo? Perché non mi fai un elenco? (…) (l’irritazione di Maria Elena è evidente) Quello te l’ho già chiesto e mi rispondi sempre la stessa cosa! Dimmi se sei solo (…) Questo no, benissimo. Dimmi allora se hai visto qualcuno, se hai riconosciuto… (…) Neanche. Perfetto. Allora dimmi che faccia hanno quei figli di puttana che… pronto! pronto!
KNEPP (entrando) Non si può insultare per telefono.
M.ELENA Questo non era pattuito.
KNEPP Nulla a che vedere con i patti. è una convenzione internazionale delle comunicazioni telefoniche.
M. ELENA E adesso cosa succederà?
KNEPP Non credo che possa riavere la linea…
M. ELENA E a lui faranno qualcosa?
KNEPP Come posso saperlo?
M. ELENA Cosa accadrà venerdì?
KNEPP Penso che tornerà a chiamare; però lei forse subirà una sanzione… non so… forse una multa… o qualcosa di simile.
M. ELENA Per aver imprecato…
KNEPP Non sono io che stabilisco le norme. (Knepp si ritira. Maria Elena si sfila la blusa e inizia a struccarsi. Prima che abbia finito rientra la madre)
MADRE Non cambiarti, c’è Luigi.
M. ELENA Lo sa che non deve venire il venerdì.
MADRE È già qui.
M. ELENA Può andarsene. Che venga domattina, che venga lunedì… ha sei giorni alla settimana per scegliere.
Entra Luigi.
LUIGI Stavolta ho proprio scelto di venire il venerdì.
MADRE Per favore perché non aspetta lì fuori! Maria Elena si sta vestendo…
M. ELENA Mi sto svestendo mamma.
MADRE Ragione di più perché aspetti fuori.
LUIGI Va bene (sta per uscire).
MADRE La ringrazio.
M. ELENA (a Luigi) Oggi non devi affatto aspettare.
LUIGI Aspetto lo stesso. Tutto questo è ridicolo.
M. ELENA Giusto, però torna domani
MADRE (a Luigi) Non si preoccupi, viene subito. (Luigi esce)
M. ELENA (alla madre) Non esco. Me ne vado a letto.
MADRE Non è onesto.
M. ELENA Mamma, per l’ultima volta: è venerdì e me ne vado a letto!
MADRE Non puoi fare questo a Luigi.
M. ELENA Da quando in qua ti preoccupi di Luigi? Prima lo detestavi.
MADRE Prima eri una donna sposata.
M. ELENA (mostrando l’anello) Sono ancora una donna sposata.
MADRE Con un telefono.
M. ELENA Ormai possiamo dirci tutto, no?
MADRE Perdonami, non volevo.
M.ELENA Volevi, volevi. Per questo non devi chiedere scusa.
MADRE Ti ha detto qualcosa di diverso oggi?
M. ELENA Sempre lo stesso (una pausa di sospensione) Ora puoi dirlo.
MADRE Non è lui.
M. ELENA (parlando verso la porta) Vattene, Luigi!
LUIGI (fuori campo) Ti sto aspettando.
MADRE Vestiti.
M. ELENA (nuovamente) Vattene!
MADRE Vestiti, per piacere.
LUIGI (fuori campo) è ridicolo!
M. ELENA Sarà. Però torna domani.
MADRE (uscendo) Non è onesto.
Così com’è, semivestita, Maria Elena si infila a letto tirando su le coperte. Quasi immediatamente si sente fuori campo la voce di Knepp.
KNEPP Posso entrare?
M. ELENA Non si sprechi in cortesie.
KNEPP (comparendo porta con sè la foto che aveva mostrato a Maria Elena) Non si tratta di cortesia. Sono un professionista e detesto gli equivoci. Non avrebbe senso approfittarne…
M. ELENA (interrompendo il discorso) Che vuole adesso?
KNEPP Questo signor Luigi è quello che sta dietro a lei in questa foto… vero? Non sapevamo chi fosse…
ELENA Pensavate di portar via anche lui?
KNEPP È forse il suo nuovo marito?
M. ELENA Cosa vuole?
KNEPP Solo stabilire più o meno che legame c’è fra lei e quell’uomo.
M. ELENA Questo non le interessa.
KNEPP Non spetta a lei giudicarlo.
M. ELENA Non le risponderò.
KNEPP Da quanto lo conosce?
M. ELENA Ancora non lo sa? Ci dev’essere qualcosa che non funziona, allora…
KNEPP Perché vuol farmi perdere del tempo? Se sa che prima o poi lo verrò a sapere…
M. ELENA Preferisco che sia poi.
KNEPP Perché? è un’ ostinazione inutile.
M. ELENA Anche lei deve perdere qualcosa… magari solo del tempo.
KNEPP Non ha senso.
M. ELENA Sia ragionevole e capisca che la detesto.
KNEPP Capisco.
M. ELENA E allora non mi faccia più domande idiote.
KNEPP E di confidenze idiote ne ascolterebbe?
M. ELENA Non la credo capace di confidare nulla a nessuno.
KNEPP Si tratta di una cosa intima.
M. ELENA Soffre di emorroidi e sta perdendo sangue?
KNEPP (scuotendo il capo) Male, male, male… male tutti e due. Io dimostrando debolezza… e lei, nel non rendersene conto e non approfittandone, dicendo volgarità. Si tratta veramente di una confidenza.
M. ELENA Qualunque cosa sia non le crederò.
KNEPP Per ora le ho chiesto solo di ascoltarmi.
M. ELENA Perché la fatica di chiedermelo? Mi può obbligare.
KNEPP In questo caso non lo farei.
M. ELENA Dica quello che le pare, però sappia che sempre… mi sente?, sempre aspetterò da lei qualcosa di sporco.
KNEPP Lei mi piace.
M. ELENA (ridendo) Che goffo! Come può pensare che dicendo questo possa rendermi disponibile alla sua “confidenza”? Lei mi sottovaluta…
KNEPP (molto seriamente) La confidenza era questa: lei mi piace… molto.
Maria Elena reagisce con un improvviso scatto di violenza. Afferra per il collo Knepp e grida.
M.ELENA Adesso ascolterai la mia confidenza: non appena ne avrò la minima occasione ti ammazzo! Verme schifoso! Capisci? Ti voglio ammazzare!
Immediatamente entra il poliziotto con un’aria affabile. Maria Elena lascia Knepp.
POLIZIOTTO Qualche problema, signora?
M. ELENA Cosa le sembra?
POLIZIOTTO Sto facendo un giretto per vedere come vanno le cose… Quell’uomo di cui mi diceva… le ha più dato fastidio?
M. ELENA Lei non ha visto nessun uomo quella volta…
POLIZIOTTO Certo. Resta comunque un margine di dubbio in questi casi. Non siamo perfetti… Appena… aspetti, aspetti… c’è una parola… “perseveranti”; ecco, appena perseveranti.
M.ELENA Lo si capisce immediatamente. Bene: cerchi dove vuole.
POLIZIOTTO Mi basta la sua parola. Ha notato che le manchi qualcosa: soldi, gioielli, oggetti di valore?
M. ELENA No.
POLIZIOTTO Ha cercato dappertutto?
M. ELENA Sì
POLIZIOTTO L’hanno picchiata?
M. ELENA Non è stato necessario.
POLIZIOTTO Sono contento. Però è sempre meglio stare all’erta, non le pare?
M. ELENA Certamente. Anche perché non se ne è mica andato. (Indica Knepp, che, in un angolo della stanza, sembra imbarazzato) Eccolo!
POLIZIOTTO (guarda nella direzione di Knepp come se non lo vedesse e sorride) Continui a fare attenzione… e, all’occorrenza, non s faccia scrupolo di chiamarmi. Buona notte.
il poliziotto esce e anche Knepp scompare. Maria Elena si rimette a letto spegnendo la luce Quasi nello stesso istante si apre la porta della stanza. Dalla porta traspare la luce del giorno. è passato qualche tempo. Entra la madre.
MADRE Bambina… bambina.
M. ELENA Piano, mamma…
MADRE Vestiti. È arrivato Luigi.
M. ELENA Digli che entri.
MADRE Non lo riceverai a letto.
M. ELENA È esattamente lì il posto dove preferisco riceverlo.
MADRE Non voglio saperlo.
M. ELENA Preferisci immaginarlo.
MADRE Non puoi rispettarmi un pochino?
M. ELENA Come Vestendomi? Ricevendolo in salotto per poi andare in albergo?
MADRE Comportandoti come una donna normale.
M. ELENA Le donne normali non esistono, mamma
MADRE Io sono una donna nomale.
M. ELENA Perché non hai più nessuno da poter ricevere a letto.
MADRE Perché mi chiedi più di quanto possa fare? Non potresti essere un po’ più indulgente con me?
M. ELENA Va bene, mi vesto. Digli che mi aspetti cinque minuti.
MADRE Ti ringrazio tanto (sta per uscire)
M. ELENA (trattenendola) Mamma…
MADRE Che c’è?
M. ELENA Possiamo darci un bacio, ancora_
MADRE (la bacia) Fatti bella…
La madre esce e Maria Elena comincia a vestirsi. Si sente la voce di Knepp.
KNEPP (fuori campo) è sempre stata così aggressiva con sua madre?
M. ELENA Prima non entrava senza avvisare.
KNEPP (fuori campo) Non sono entrato…
M. ELENA Oh! Scusi… Dato che mi aveva detto che le piacevo… ho pensato che non si sarebbe privato…
KNEPP Lei si è lasciata sfuggire un’occasione.
M. ELENA Ci avrei guadagnato qualcosa?
KNEPP (fuori campo) No. Però pensavo che ci avrebbe tentato.
M. ELENA Solo a immaginarlo sento la nausea.
KNEPP (fuori campo) Prendo nota della sua osservazione…
M. ELENA Come “prende nota”? Non stiamo forse parlando della sua area “confidenziale”?
KNEPP Adesso è diventato un dato oggettivo. E molto interessante.
M. ELENA Allora lo sottolinei bene col rosso: mi dà nausea. (Apre la porta e chiama immediatamente) Luigi! Vieni, per favore… (Entra Luigi. Prima che possa dire qualcosa Maria Elena lo abbraccia disperatamente. Restano così per un istante poi Maria Elena con entusiasmo un po’ forzato si distacca) Facciamo dei progetti.
LUIGI (senza entusiasmo) Sì.
M. ELENA Cosa succede?
LUIGI Facciamo piani. A breve scadenza? A lunga scadenza?
M. ELENA Non ce la fai più, vero?
LUIGI (autoironico) Ce la faccio, ce la faccio… non vedi? Guarda, guarda come ce la faccio bene…
M. ELENA Nessuno ti obbliga.
LUIGI Non sfottermi. Sai benissimo che sì: ti amo.
M. ELENA Però non abbastanza per resistere a tutto questo.
LUIGI (con aria malinconica) Ti ho già detto che ce la faccio.
M. ELENA Cos’altro posso fare?
LUIGI Non chiedermelo. Potrei sembrarti un miserabile.
M. ELENA E due anni fa… allora non ti sentivi un miserabile?
LUIGI Due anni fa non era la stessa cosa.
M. ELENA Raul era tuo amico… e io sua moglie.
LUIGI C’era sempre la possibilità di dirglielo.
M. ELENA Non l’hai mai fatto.
LUIGI Neanche tu.
M. ELENA Stavo per dirglielo quando l’hanno portato via.
LUIGI Non l’hai fatto.
M. ELENA No. (I due rimangono in un breve silenzio presi da sconforto)
LUIGI Facciamo progetti, sì?
M. ELENA Andiamocene.
LUIGI Dove?
M. ELENA In un altro posto.
LUIGI Dove non esistono venerdì.
M. ELENA Lunedì, martedì, mercoledì, giovedì… giovedì, sabato e domenica.
LUIGI Vieni a stare da me.
M ELENA Non hai il telefono.
LUIGI Non è così lontano da qui. Potresti venire… i venerdì…
M. ELENA Sì… però non tornerei a casa tua sino al giorno dopo… capisci?
LUIGI Perché? Non mi sentirei certo meglio.
M. ELENA Non soffrire.
LUIGI D’accordo.
M. ELENA Perché mi ami? è così complicato con me.
LUIGI Non posso farne a meno.
M. ELENA E allora lasciamo i venerdì come stanno… e per piacere non dire che non è onesto. (C’è una breve pausa. Poi Luigi non può farne a meno)
LUIGI Non è onesto.
M. ELENA Non c’è proprio modo di evitare che tu lo dica?
LUIGI È che non è onesto: non volevi più bene a quell’uomo. Gli facevi le corna con me.
M. ELENA No, Luigino, non parlare così.
LUIGI Lo preferisci con meno trasporto? Certo! Commettevi adulterio e io ero il tuo amante.
M. ELENA Non soffocarmi, amore mio… non ti sto togliendo nulla…
LUIGI I venerdì.
M. ELENA È solo un giorno alla settimana…
LUIGI Di tutte le settimane.
M. ELENA Non posso non rispondere al telefono.
LUIGI Non ti chiedo di non rispondere: solo di non prepararti prima che suoni.
M. ELENA Suonerebbe lo stesso.
LUIGI (con tono duro) E se non suonasse più? Cosa faresti? Continueresti a truccarti? A metterti i vestiti migliori e ad andare a letto?
M. ELENA È stato un sollievo quando lo hanno arrestato, no? (Luigi le dà uno schiaffo. Maria Elena non reagisce, resta immobile. Solo lascia cadere le braccia con rassegnazione e bisbiglia) Per me sì… capisci? (Breve silenzio)
LUIGI Non è vero.
M. ELENA Pensa quello che ti pare.
LUIGI Non è vero, e non voglio che tu lo ripeta.
M. ELENA Va bene. Non lo dico più. Facciamo progetti.
LUIGI (quasi fuori di sè) E anche se fosse? L’ho forse rinnegato? Forse non rischio l vita protestando per la sua? Cosa devo fare? Non amarti più?
M. ELENA No, questo no… questo no…
LUIGI Cos’altro devo fare ancora?
M. ELENA (indifesa, senza protezione, quasi implorando) Abbracciami subito. (Luigi l’abbraccia. Restano così per un attimo di silenzio. Poco a poco si eccitano. Luigi prende a svestire Maria Elena con cura, però lei glielo impedisce)
LUIGI Che succede?
M. ELENA … Mia mamma…
LUIGI Non c’è. Ha detto che sarebbe tornata tardi. (Maria Elena ride) Di cosa ridi?
M. ELENA Del talento di mia madre.
LUIGI Di cosa? (Maria Elena continua a ridere. Luigi cerca di continuare a svestirla mentre le risate di Maria Elena si fanno più forti. Il clima diventa festoso) Se ridi così non potrò approfittare di te…
M. ELENA (ora ridendo a squarciagola) Approfittare! Che verbo fuori moda!
LUIGI (divertito) Oppure disonorarti…
M. ELENA No, no. approfittare è meglio…
LUIGI Va bene, però non ridere più, se no non ne approfitto proprio…
M. ELENA (ridendo) Approfitta, approfitta, amore mio, non rinunciare ad approfittare.
LUIGI Non sarai per caso una ragazza facile?
M. ELENA (ridendo) Sì, sì! (Sono entrambi seminudi e cadono sdraiati sul letto. Si accarezzano. Si baciano. Improvvisamente suona il telefono. Maria Elena vorrebbe rispondere, Luigi glielo impedisce)
LUIGI Oggi non è venerdì. (Il telefono continua a suonare mentre Luigi bacia Maria Elena trattenendola con forza finché il suono non cessa)
M. ELENA … era lui… e non lo lasciano chiamare più di una volta…
LUIGI Oggi non è venerdì.
Squilla nuovamente il telefono. Maria Elena si agita sotto la stretta di Luigi. Questa volta riesce a rispondere.
M. ELENA Pronto! Pronto! (Luigi interrompe la comunicazione)Pronto! (Rivolgendosi a Luigi con ferocia) Non farmelo mai più!
LUIGI Non è venerdì (Torna a squillare il telefono. Maria Elena è indecisa sotto lo sguardo duro di luigi, alla fine risponde. Questa volta Luigi non interrompe e comincia a vestirsi e completa l’azione durante la conversazione telefonica)
M. ELENA (all’apparecchio) S’è interrotto… sai, i telefoni lo fanno spesso… (…) no… sì… credo sia festa… Certo altrimenti non sarei in casa (guarda Luigi che non risponde al suo sguardo e continua la sua azione)… Guardo la televisione… l’ho passata nella mia camera da letto e… (…) no, oggi non piove (…) no… sì. Rosa… oggi sono vestita di rosa (…) e rosse le hanno già riparate (…) no, un vestito (…) sì un vestito… era molto tempo che non… e ho voluto cambiare. L’ho comprato qualche giorno fa e mi sono dimenticata di dirtelo (…) bene (…) forse un po’ troppo infantile… però non tanto (…) un po’ più leggero del solito, un po’ di colore sulle guance… mascara e lucidalabbra (Luigi esce e Mari Elena tenta inutilmente con un gesto di trattenerlo) sì, anche il rimmel. Oggi non è venerdì, sai? (…) Non puoi renderti conto del tempo che passa? Sono passati esattamente quattro mesi. Pronto! Pronto! (grida)) Pronto! (riattacca violentemente. Urla dove pensa si trovi Knepp) è stato lei! è stato lei! E me l’ha fatto apposta! (Corre avanti e indietro per la stanza. Sposta i mobili, sposta le tende, fa cadere le sedie) Vnega fuori! Venga fuori, accidenti! Vigliacco! (Infine stanca e depressa si siede sul letto tenendo la faccia tra le mani. Raccogliendo il corpo in posizione fetale si sdraia sul letto. Dopo una breve pausa se sente la voce di Knepp, timidamente)
KNEPP (fuori campo) …posso entrare? (Maria Elena non risponde) …è in condizione di ricevermi? (Maria Elena continua a tacere) …Entro…
M. ELENA Crepi.
Knepp entra con l’aria di chi è distrutto. Si accorge che Elena è semivestita e cerca di ignorarlo.
KNEPP Se lei collaborasse un po’ di più…
M. ELENA Crepi.
KNEPP Mi creda che non provo il benché minimo piacere nel provocare questo genere di incidenti, però lei mi obbliga… Se mi avesse fornito tutte le informazioni sulla sua relazione quando gliele ho chieste… con tutti i dettagli…
M. ELENA Lei non avrebbe fatto in modo che mio marito ci sorprendesse al etto…
KNEPP Suo marito non ha sorpreso nessuno. Lei ha mentito con sufficiente convinzione perché non si accorgesse di nulla…
M. ELENA E voi vi incaricherete del resto…
KNEPP È una richiesta formale? (Maria Elena fuori di sé reagisce cercando di colpirlo. Knepp con perizia e senza sforzo le blocca il braccio) Non sprechi indignazione, signora. E sia sincera: Lei non ha mai avuto il coraggio di dirglielo. Può perfettamente affidarmi questo incarico.
M. ELENA A lei non occorrerebbe neppure il coraggio.
KNEPP Certamente: Ma lo tenga presente: è un’offerta vantaggiosa. Le consentirebbe, ad esempio, di dire al signor Luigi che è tutto sistemato. Che lei stessa ha capito che doveva essere sincera con suo marito. Mi impegno a non smentirla.
M. ELENA E questo servizio lo farebbe in cambio di cosa?
KNEPP In cambio di nulla.
M. ELENA Non le credo.
KNEPP È comprensibile. Però commette un errore, se accetta l’offerta il mio compito sarebbe concettualmente concluso… Sarebbe libera dalla mia presenza…
M. ELENA E lui potrebbe chiamare ancora… Glielo permetterebbero?
KNEPP Certamente… sempre che lei mantenga il silenzio e abbia voglia di farlo…
M. ELENA (dopo un breve ripensamento) No. Non voglio che glielo dica.
KNEPP Però ha preso in considerazione la possibilità, no? Per un momento, eh?
M. ELENA No, non voglio che glielo dica.
KNEPP Vede? vede cosa succede ora? Dirglielo non costava nulla… tacerlo, invece…
M. ELENA Basta. Mi dica cosa devo fare perché se en stia zitto.
KNEPP Non si allarmi, niente di particolare: solo rispondere sinceramente alle mie domande.
LUIGI E alle sue “confidenze”, di certo.
KNEPP (a disagio) No.
M. ELENA No… per adesso; però quel momento verrà, non è vero?
KNEPP (irritato) Questo solamente se lei veramente lo vuole. E non mi sembra proprio il caso. Io stavo parlando del mio lavoro. E sono due cose diverse. Spero lo capisca una buona volta.
M. ELENA (passando all’offensiva) E non c’è il rischio che il campo “professionale” interferisca con quello “sentimentale”?
KNEPP Gliel’ho già detto: raramente.
M. ELENA E come le riesce?
KNEPP Non credo le interessi.
M. ELENA Mi sembra di esserci coinvolta… in qualche modo mi deve interessare.
KNEPP Vocazione e allenamento.
M. ELENA Vocazione e allenamento, mi basta…
KNEPP Sì.
M. ELENA E dà risultati?
KNEPP Sì.
M. ELENA È sicuro?
KNEPP Assolutamente. E le ricordo che sono io a fare le domande.
M. ELENA Perché non lo mettiamo alla prova?
KNEPP Perde il suo tempo, signora.
M. ELENA (interrompendo) Può chiamarmi Maria Elena.
KNEPP Già le ho detto che non sono venale: né denaro, né sesso.
M. ELENA Mi ha anche detto che le piacevo.
KNEPP Cosa pensa di ottenere da me?
M. ELENA Qualche cosa ci sarà. Però ancora non le ho chiesto nulla. Le ho chiesto solo di mettersi alla prova.
KNEPP Non insista. È inutile.
M. ELENA Lei perde un’occasione.
KNEPP (scontento) Come le viene in mente di potermi sedurre? Lei mi odia. Le ho detto: le faccio nausea.
M. ELENA Questo non sembrava importarle quando mi ha fatto la sua “confidenza”.
KNEPP (irritato) Basta! Riprendiamo con le domande. E risponda dettagliatamente se non vuole che suo marito venga a sapere che…
M. ELENA (interrompendo) è una minaccia troppo aperta. Sta perdendo stile signor Knepp. È un debole, è molle.
KNEPP Basta così. (Maria Elena si infila sotto le lenzuola e dai movimenti si avverte che si sta spogliando. Knepp parla cercando di non dare peso alla cosa) Voglio che mi parli dei suoi propositi con quel signor Luigi.
M. ELENA Sotto le lenzuola sono nuda. E disponibile.
KNEPP Non faccio accordi di questo genere!
M.ELENA (con aria tranquilla) Mi offra qualcosa di ragionevole.
KNEPP Non sto trattando.
M. ELENA D’accordo. Posso concederle una prova gratis… però l’avverto che dopo ne vorrà ancora… e allora, necessariamente dovrà offrirmi qualcosa di ragionevole.
KNEPP (cercando di mantenere il controllo) Mi parli dei progetti col signor Luigi.
M. ELENA Innanzitutto andare a letto co lui. (Questa frase fa perdere il controllo a Knepp. Si getta scompostamente sul corpo di Maria Elena. Tenta di baciarla, ma lei glielo impedisce sollevandogli la testa e afferrandolo per i capelli) Ricordalo! Solo la prima volta è gratis. (Knepp lasciato libero torna a gettarsi sul corpo di Maria Elena, però prima che l’azione si sviluppi entra improvvisamente il poliziotto)
POLIZIOTTO Buona notte. (Knepp salta giù dal letto spaventato e fugge scompostamente provocando l’apertura della sua valigetta che si svuota del contenuto: carte, nastri, ecc. Durante tutta la scena Knepp andrà raccogliendo le sue cose per poi scomparire. Come sempre il poliziotto ignorerà la sua presenza) Qualche problema, signora?
M. ELENA Veda lei.
POLIZIOTTO Tutto mi sembra nomale.
M. ELENA Non è meraviglioso?
POLIZIOTTO Sì. Però non esageri con la confidenza e cerchi di non commettere errori.
M. ELENA Non si preoccupi.
POLIZIOTTO (facendo un cenno di diniego con la testa) Io sto di guardia. Buona notte.
Il poliziotto se ne va. Maria Elena nasconde la testa sotto le lenzuola. Tira fuori una mano e spegna la luce. Nel buio un solo lungo singhiozzo. Dopo una brevissima pausa si sentono dei colpi discreti alla porta. I colpi si ripetono. Entra la madre. Accende al luce. Vede che Maria Elena non c’è. Comincia a riassestare la stanza.
MADRE Maria Elena!
M. ELENA (fuori campo) Vengo.
MADRE Che vuoi fare oggi?
M. ELENA (fuori campo) Perché me lo chiedi, se lo sai?
MADRE Non perdo la speranza.
M. ELENA (fuori campo) Fai male.
MADRE (avvicinandosi al letto per aggiustarlo) Non ti sembra che basti ormai? (Si attarda a controllare le lenzuola ed è sorpresa da Maria Elena che rientra e le strappa le lenzuola dalle mani)
M. ELENA Abbastanza per che cosa?
MADRE Sei stata a letto tutto il giorno.
M. ELENA E questo non è onesto.
MADRE Non è colpa tua se l’hanno portato via.
M. ELENA Quanto manca che mi dica che neppure è colpa mia se ho smesso di amarlo?
MADRE Te lo dico subito: non è stata colpa tua.
M. ELENA Lo so, mamma… lo so. E questo a cosa mi serve? E questo a cosa gli serve? Cosa ci guadagna sapendo che non ne ho nessuna colpa?
MADRE Deve servire a te.
M. ELENA (feroce) E a te.
MADRE Sì. Perché no? Qualcosa deve servire anche a me. Un qualche cosa deve stare al suo posto. Per piacere… (Maria Elena si avvicina alla madre ma si blocca improvvisamente per quello che lei le dice)… e finiscila con questo…
M. ELENA (secca) Come?
MADRE Luigi ti sta aspettando.
M. ELENA Perché non lo hai fatto passare?
MADRE Ha preferito che ti avvisassi.
M. ELENA Di sicuro non lo ha i avvertito che ormai sei libera da pregiudizi.
MADRE Non sono libera di nulla. Non confonderti. Sono solo disperata.
M. ELENA Digli che oggi è venerdì.
MADRE Credo che lo sappia.
M. ELENA Allora perché è venuto?
MADRE Io non faccio queste domande.
M. ELENA Va bene. Digli che entri.
MADRE Finisci di sistemarti.
La madre esce e immediatamente entra Luigi. Porta con sé una valigia e una borsa. Maria Elena è sorpresa e allarmata.
M. ELENA Dove vai?
LUIGI Non me ne vado.
M. ELENA Non fare lo stupido. Cosa succede?
LUIGI Non me ne vado. Vengo a stare qui con te.
M. ELENA Che?
LUIGI Fammi posto nell’armadio. Voglio sistemare le mie cose.
M. ELENA Sei diventato matto?
LUIGI Porteremo il letto della camera di tua madre. Questo è troppo stretto per tutti e due.
M. ELENA Luigi, puoi ascoltarmi un secondo?
In risposta Luigi spalanca l’armadio. Toglie la roba di Maria Elena e la riappende cercando di liberare qualche attaccapanni. Maria Elena furiosa apre la porta della stanza e grida verso l’esterno Mamma! Mamma! (La madre entra immediatamente spingendo un carrello sul quale sono un servizio da te e un vassoio con delle paste).
MADRE Ora devo uscire. La cena è pronta: è solo da scaldare. (Bacia Maria Elena) Arrivederci… (e se ne va)
M. ELENA Un complotto perfetto.
LUIGI Perfetto no. Tua madre mi detesta.
M. ELENA Non sembra.
LUIGI Ha scelto il male minore. Questo è tutto (apre la maniglia).
M. ELENA Non credi che anch’io dovrei esprimere il mio parere?
LUIGI Lo conosco e non sono d’accordo.
M. ELENA Benissimo, perfetto. E cosa dovrei fare adesso? Commuovermi?
LUIGI Non devi fare niente. Niente. E quando suonerà il telefono risponderò io. Gli dirò che viviamo assieme… e sarà la verità.
M. ELENA Gli dirai anche che la nostra relazione è cominciata due anni fa?
LUIGI No. Sarebbe una crudeltà inutile.
M. ELENA Hai pensato a tutto, vero?
LUIGI (rilassandosi e parlando con affetto) È l’ultima cosa che posso tentare, bambina… e non è facile…
M. ELENA E se non volessi?
LUIGI Devi solo dirlo… e non mi vedrai più.
M. ELENA (addolorata) Perché? (Luigi non può che abbassare la testa) Perché in questo modo?
LUIGI Non posso continuare così… non posso. (Un istante di silenzio poi Luigi riprende a stipare i vestiti. Maria Elena cammina avanti e indietro senza senso per la stanza. Finalmente si avvicina al carrello e solleva la teiera.)
M. ELENA Vuoi?
LUIGI Non mi piace il tè!
M. ELENA Neanche a me (ride) E in realtà in questa casa no si prende mai il tè… (Nuovamente silenzio. Luigi continua con i vestiti. Maria Elena si avvicina allo specchio ed è alle prese con il trucco. Luigi nota le sue azioni ma parla senza guardarla)
LUIGI Non è necessario che ti trucchi. Non usciremo questa sera… e io ti preferisco senza pitturina… (Maria Elena non risponde. Continua a disegnare sullo specchio con le creme del trucco un viso di donna. Luigi se ne accorge.) Maria Elena…
M. ELENA Che c’è. Non posso nemmeno disegnare sullo specchio? (Luigi le si avvicina. L’abbraccia da dietro e le parla dolcemente)
LUIGI Bambina, piccina… facciamo uno sforzo…
M. ELENA Ti ho chiesto se posso disegnare sullo specchio.
LUIGI (irritato) Sì, puoi. E puoi anche ordinarmi di andarmene; però dovrai dirmelo molto chiaramente. (Maria Elena non risponde. Continua a disegnare sullo specchio. Luigi torna ai vestiti)
M. ELENA (Dopo una pausa, senza voltarsi) E come pensi di dirglielo?
LUIGI Nella maniera più semplice possibile.
M. ELENA Capisco. Poi interromperai la comunicazione… bene; dopo tutto…
LUIGI (Perde il controllo afferra Maria Elena per il collo e grida) Ascolta! Ascoltami bene! Gli dirò anche che non l’ho mai abbandonato, che non lo abbandonerò che ficcherò il naso in culo al mondo perché non lo sbattano sottoterra. Ti sembra abbastanza. Eh! Di’, rispondi: accidenti!
M. ELENA (con un filo di voce) Non andartene… non andartene mai… (Si abbracciano e restano così per un po’. Poi Maria Elena si separa da lui. Guarda l’orologio) Manca poco, già… Preferisco andarmene… io… esco.
LUIGI Va bene.
M. ELENA Credo sia meglio così…
LUIGI Va bene.
Maria Elena esce dalla stanza. Luigi cerca di riprendere il suo lavoro, però non ci riesce. Si siede accanto al telefono. Dopo un attimo torna Mari a Elena.
M. ELENA Digli che… sono dei figli di puttana. (Esce di nuovo ma subito rientra) Non si può, non si può.
LUIGI Adesso cosa succede?
M. ELENA Non ti arrabbiare. Non ti arrabbiare e ascoltami. Sono d’accordo su tutto… però spetta a me parlare. È la cosa più logica. Sono sua moglie, no? Sono io che parlo sempre con lui. Gli parlerò io. Gli dirò tutto, te lo giuro, saprò come fare… mi lascerai, vero? Non puoi impedirmelo, non sarebbe giusto, non…
LUIGI Come vuoi.
M. ELENA È la cosa più logica. È come deve essere…
LUIGI Va bene. Calmati. Parlagli tu… però io non esco dalla stanza.
M. ELENA Resta se vuoi… Però non è necessario. Io posso… io so… Io so le parole…
LUIGI Non me ne vado.
M. ELENA Non ti ho detto che devi andartene. Non mi dà fastidio… volevo evitarti il momento peggiore; nient’altro… però sono d’accordo, sono d’accordo con tutto… (come un automa va verso lo specchio. Prende i trucchi e li lascia immediatamente) Non dirmi niente… avevo dimenticato che oggi non volevi uscire… Bene… Ora bisogna aspettare. Nient’altro… (Siede accanto al telefono. Dopo poco Luigi fa altrettanto i due sono alla stessa distanza dall’apparecchio) Di solito è puntuale… (Aspettano in silenzio. Finalmente il telefono suona. Maria Elena risponde) Pronto (…) sì. Come stai? (…) Prenderò il tè… è una nuova abitudine per non bere troppo caffè. Bene, non sono ancora abituata. (fa segno a Luigi di portare pazienza) (…) Niente. Sono stata a letto tutto il giorno. (…) No, no… pigrizia. Raulito: per favore, ascoltami bene (…) il vestito rosa che t’ho descritto la volta scorsa (…) abbastanza… dicono che mi fa più allegra… e va bene, non ti sembra? (…) Certo, però un po’ più leggero: meno ombretto, più rimmel e appena un po’ di lucidalabbra (…) s’, un po’ infantile forse (…) sono un po’ stanca… no, stanca no… è quando uno ha dormito troppo, che sta come (…) no, non mi prenderò le vacanze (…) non preoccuparti (…) le sto mettendo i9nsieme (a Luigi) Non posso! (al telefono) Sì… (…) Certo… quando verrai (a Luigi) Non posso! (al telefono) Sì… (…) lo stesso peso… (Luigi le strappa di mano il telefono)
LUIGI Pronto! Sono Luigi! Luigi, Raulito, Luigi! Pronto, pronto! (abbassa con violenza il ricevitore) Hanno interrotto! Porca puttana… (breve silenzio poi Maria Elena parla con evidente sollievo)
M. ELENA Sicuramente gli permettono di parlare solo con me… Deve essere successo questo… bisognerà aspettare una settimana… è solo una settimana, niente di più… non devi andartene…
LUIGI E fra una settimana sarai capace?
M. ELENA Sì, sì… ci sarai anche tu e vedrai… (Suona di nuovo il telefono. Maria Elena risponde sotto lo sguardo severo di Luigi) Sì… (…) non so… s’è interrotto di colpo (..) Come? (…) Poco, adesso… quasi mai (…) Che? (…) Non ti capisco bene (…) (a Luigi) Mi chiede che gli racconti un film (al telefono) Non ricordo bene… è passato tanto tempo… Raulito, io… (a Luigi) Dice che ha paura di dimenticarsi di tutto. (al telefono) Sì, credo che fosse un Boscer (Luigi comincia a rimettere in valigia i suoi vestiti. Maria Elena lo supplica) Non andartene. (al telefono) Pure un vecchietto, sì (…) non aveva denti e si mangiava il purè del bambino (ride) Glielo rubava… (a Luigi) Non andartene (al telefono) “sportivo”; non ricordo, sì, “sportivo” (a Luigi) Per piacere. (al telefono) Una banca o qualcosa del genere… una specie di colpo grosso… (…) “sono Michele” (…) Sì, più nasale: (si stringe il naso fra le dita) “sono Michele” … e lei gli apriva la porta credendo che fosse il fratello. (a luigi) Rimani. (al telefono) Non ricordo più, (…) Raulito, ti prego, ascoltami (…) Proprio non ricordo. (Luigi richiude la valigia. Maria Elena con aria supplicante) No, (al telefono) “sportivo”, sì… non so cosa le diceva l’altro. (a Luigi) Aspetta per piacere (al telefono) certo, nessuno aveva l’orologio (…) non so (…) sì, verso il finale erano in una cucina e tutto quello che riuscirono a rubare fu una lattina e una sveglia (…) “sportivo” sì… (…) la sveglia suonava (…) bene, bene… venerdì te en racconto un altro (…) anch’io. (Posa il ricevitore e stringe Luigi che sta aspettando con la valigia e la borsa in mano pronto per partire) Non ho potuto. Però non andartene. Un’altra settimana. È tutto quello che ti chiedo… Una settimana. Ascolta: se venerdì prossimo non glielo dico te ne vai… e non protesterò, né piangerò, né niente… una settimana. Non lasciarmi… Ti voglio molto, molto bene… (Luigi l’abbraccia) Rimani, vero? Io potrò…
LUIGI Io non potrò… potrei finire col picchiarti, per non farti rispondere al telefono… e mi farei schifo. Devo andarmene.
M. ELENA Non andartene! Non andartene! (Luigi se en va) Non puoi lasciami così… Sarò brava… Ho freddo… (Maria Elena si siede sul letto con le braccia strette sul petto. Dopo un istante si sente timida la voce di Knepp)
KNEPP (fuori campo) Entro…
M. ELENA Faccia quello che vuole…
(Entra Knepp. Da un’altra parte nello stesso istante entra il poliziotto con evidenti funzioni di controllo. Knepp tenta di tranquillizzarla con un gesto discreto che Maria Elena rifiuta. Maria Elena scoppia a ridere.)
KNEPP Mi fa piacere che abbia conservato il senso dell’humour.
M. ELENA Era sul punto di fare un lavoro che non le spettava?
KNEPP (rivolto a Maia Elena in modo che anche il poliziotto lo senta) Non succederà più.
M. ELENA (al polizotto) Lei ci crede? (a Knepp) Perché io sono ancora disponibile (accenna a svestirsi. Knepp fa un cenno per tranquillizzare il poliziotto. Maria Elena torna a ridere).
(il poliziotto accenna a uscire. Maria Elena lo trattiene)
M. ELENA Se fossi in lei non mi allontanerei troppo. Può perdere di nuovo il controllo.
POLIZIOTTO Signora, sono tanto stanco.
KNEPP Non succederà più.
M. ELENA Mi fa piacere che anche lei sia terrorizzato.
KNEPP Commette un errore. È logico che io abbia delle conseguenze.
M. ELENA Ne sono felice.
KNEPP È un peccato che il signor Luigi se ne sia andato in quella maniera. Sembrava una cosa seria…
M. ELENA Cosa sta cercando, adesso?
KNEPP Se fossi in lei non considererei tutti perduto…
M. ELENA Lei è esattamente quello che stavo aspettando: un consigliere sentimentale.
KNEPP Non credo che la sua ironia lo farà tornare.
M. ELENA Seguendo i suoi consigli, invece, lo farei tornare. Di corsa fra le mie braccia.
KNEPP È possibile.
M. ELENA Non sia troppo solidale con me. In questo momento non è visto troppo di buon occhio…
KNEPP Nessuna solidarietà. Sto facendo solo il mio lavoro. Vuoi ascoltarmi?
M. ELENA Ho qualche alternativa?
KNEPP Posso starmene zitto.
M. ELENA Gliene sarei grata. (Segue un lungo silenzio. Il poliziotto se ne va. Maria Elena non resiste alla tensione) Parli.
KNEPP L’avverto che potrò sembrarle brutale.
M. ELENA Perché? Fin ora è stato gentile.
KNEPP Signora: penso che no ignori che la vita di suo marito, in senso tecnico, non dipende da lei.. né da me, naturalmente.
M. ELENA Cosa è successo a Raul?
KNEPP C’è una cosa che lei deve prendere in considerazione: a rigore lei non ha la certezza che sia realmente vivo. Ora può insultarmi se lo desidera…
M. ELENA (dopo una breve pausa, controllandosi a fatica) è vivo… Ho appena finito di parlare con lui. (senza dire una parola Knepp preleva il suo registratore dalla valigia e lo mette in funzione. Si sente la voce di Raul.)
VOCE RAUL “…mi ricordo di un vestito” (pausa) “sportivo” (pausa) “sportivo” (pausa)… (ride) (Knepp blocca il registratore)
KNEPP Capisce?
M. ELENA Con cosa vuole sorprendermi? Hanno registrato la conversazione e tolto le mie risposte. È tutto.
KNEPP No. (Riaccende il registratore e lo fa avanzare velocemente. Si sente il tipico stridio della voce resa distorta dalla velocità. Knepp blocca il nastro in un punto scelto a caso. Lo fa andare a velocità normale. Torna a sentirsi la voce di Raul)
VOCE RAUL “ti stava bene” (pausa) “che marca era?” (pausa) “Cosa indossi ora?” (Maria Elena ferma il registratore)
M. ELENA È come prima. Solo manca la mia voca. (Per tutta risposta Knepp fa avanzare il nastro e lo ferma in un altro punto a caso. Lo predispone all’ascolto. Si sente la voce di Raul. Le frasi si sentono molto distanziate fra loro. E con intonazioni diverse: interrogative, affermative, “incredule”, “assillanti”, “commosse”, etc.)
VOCE RAUL …”l’avevano rapato…”, “cerca di ricordarti per favore”, “francese”… “era francese?”… “non c’era anche un giapponese?”… “c’era un giapponese?”…”voglio parlare di questo”…”sì, interrompe”… “Hiroshima…” … “sì, era a Hiroshima… mi sembra fosse a Hiroshima”, “lui lo seguiva”… “non lo ricordi neppure tu?” (Maria Elena impallidisce. Knepp ferma il registratore)
M. ELENA Questo è falso. Non abbiamo mai parlato di questo film.
KNEPP Forse venerdì prossimo.
M. ELENA Non può essere.
KNEPP Temo proprio di sì.
M. ELENA No. No.
KNEPP Non sto dicendo che non sia la voce di suo marito. Può esserlo, perfettamente… però può averla registrata tanto tempo fa.
M. ELENA Lei mi vuol confondere. Quello che dice non è possibile. Non possono aver previsto tutte le nostre conversazioni.
KNEPP IO, fossi in lei, non ne sarei così sicura. Pensi. Cerchi di ricordare, ultimamente non ha fatto che rispondere. Raramente le sue domande hanno avuto una risposta. (rimette in funzione il registratore.)
VOCE RAUL “Piove”… “è festivo?”… “Hai preso le vacanze?”… “C’era tanta gente?”…”Sei stanca?”… “Ti sei truccata?”… “Sì”… “Sì”… “No”… “Non posso”… “Non so”… “Non posso”…”Maria Elena”… “Maria Elena”… “Bene”… “Maria Elena”… (Knepp ferma l’apparecchio)
KNEPP Con diversi registratori e un operatore le combinazioni possono essere appassionanti. La bravura in questo caso, consiste nel fissare un argomento.
M. ELENA È falso. Lui non accetterebbe mai di farmi questo.
KNEPP Ammetto questa possibilità. Può perfettamente no sentirsi prestato all’esperimento… in questo caso è anche possibile imitare una voce; soprattutto al telefono, non le pare?
M. ELENA Cosa vuol dirmi? Che l’hanno ammazzato? (afferra Knepp per i vestiti) La verità!
KNEPP (divincolandosi con calma) La verità non ha affatto importanza in questo caso. Cerchi di capirmi: potrei dirle che sì, che p morto… e, con tutto il rispetto, sospetto che questo le semplificherebbe le cose… dolorosamente, certo. Però non le dirò nulla. Non è compito mio. Può essere vivo… o morto. Lo scopo del mio esperimento è precisamente che lo decida lei.
M. ELENA Cosa dice? Come le viene in mente? Come può immaginare questo?
KNEPP Non mi fraintenda: la sua decisione non può cambiare lo stato reale di suo marito… che qualcuno naturalmente dovrà avercelo. Posso garantire che se si trova in vita non morirà perché lei lo considera morto… e se fosse morto, è ovvio che…
M. ELENA (è presa da una crisi di sconforto. Perde ogni aggressività e implora) Mi dica la verità. La prego… Sono disposta a fare ciò che vuole, tutto quello che lei dice… per piacere, per piacere, ho bisogno di conoscere la verità… non ne posso più…
KNEPP L’unica cosa che deve fare è decidere: se per lei è vivo… chiamerà ancora… chiunque sia… se decide il contrario, posso anche consegnarle la registrazione.
M. ELENA Le sto chiedendo la verità!
KNEPP Non rifiuti la registrazione. Può esserle utile.. ci pensi. Potrebbe dimostrare al Luigi che le telefonate non sono stata una farsa ignobile… montata da un essere perverso chiamato Knepp… e che purtroppo uso marito è morto tanto tempo fa…
M. ELENA (infuriata) Se è morto è perché lo hanno assassinato.
KNEPP Può dargli il nome che vuole; il risultato è sempre lo stesso.
M. ELENA Mi sta dicendo che l’hanno ammazzato, non è così?
KNEPP Lei decide.
M. ELENA L’hanno ammazzato, l’hanno ammazzato… (Maria Elena non può evitare il pianto. Knepp abbassa la testa. Dopo una breve pausa il signor Knepp apre la valigetta e leva un foglio. Parla intono discreto.)
KNEPP Per lasciarle il registratore ho bisogno che mi firmi qui…
M. ELENA Come dice?
KNEPP (porgendo il foglio) Ho bisogno…
M. ELENA Cos’è questo?
KNEPP È un documento pro-forma…
M. ELENA Cos’è?
KNEPP Una dichiarazione di presunta morte…
M. ELENA Non capisco.
KNEPP Routine… lei chiede all’autorità giudiziaria che in seguito alla documentata assenza di suo marito per un lungo periodo, ed essendo passato… bene…
M. ELENA Mio marito non è assente per sua volontà…
KNEPP Su questo non si discute. Per caso qui è scritto così? Legga. Il documento non dà opinioni in merito. (Porge in avanti con decisione il foglio) Legga, per favore… il suo è pregiudizio. (Maria Elena non accetta il foglio)
M. ELENA Io non firmo niente.
KNEPP A volte la sua condotta francamente è puerile.
M. ELENA Non firmo.
KNEPP Non creda che non possa capire la sua resistenza… però è una questione di buon senso. Non cambia niente. Le ho già detto che la condizione fisica di suo marito non è in questione.
M. ELENA Non firmo.
KNEPP Benissimo: se vuole facciamo un’analisi etimologica della parola “presunta”… per caso vuol dire certezza? Assolutamente no! La sua firma non può far morire suo marito, se è ancora vivo.
M. ELENA Perché si dà tanto da fare per convincermi, allora?
KNEPP Sarò onesto: in primo luogo perché ho bisogno di una prova del lavoro svolto… un certificato… e in secondo luogo, e deve credermi, perché voglio che lei ne tragga beneficio. Dopo tutto, lei ha rispettato l’accordo. Una firma le permetterà di normalizzare la sua situazione… sposarsi… disporre dei beni…
M. ELENA Non voglio “normalizzare la mia situazione”.
KNEPP (“esplode recitando una specie di indignazione morale) E così non vuole? La pensavo più integra, signora, meno ipocrita. Non ha fatto nessuno sforzo nell’immaginare e nell’accettare che suo marito fosse morto. Perché le ricordo che è stata lei a dirlo, non io. E adesso si rifiuta di riconoscerlo per iscritto. Che stiracchiamento miserabile ha lei con la sua coscienza? Di che cosa vuol convincersi ora? Come mai non decide quello che ha già deciso? Le serve per caso per sentirsi meno colpevole? È questo, no? Un’aspirina per la coscienza… “Io l’ho detto… però non l’ho firmato…” Un’astuzia da leguleio… (ripone la carta con gesti energici) È nauseante…
M. ELENA Non firmo.
KNEPP Come crede… signora. Riceverà presto la prossima telefonata. Non so se l’argomento sarà una pellicola, non ho con me il programma. Buona notte. (Se ne va con fare indignato)
Maria Elena, dopo un attimo d’abbattimento, comincia a riassestare la stanza. È un lavoro ossessivo che non risponde ad alcuna necessità “reale”. Improvvisamente torna ad affacciarsi il signor Knepp. Maria Elena non se ne accorge subito. Knepp la osserva un istante, poi assume l’atteggiamento del perdente simpatico.
KNEPP Benissimo… benissimo… lei vince…
M. ELENA Ha dimenticato qualcosa?
KNEPP La battaglia è finita… lei mi ha sconfitto, signora.
M. ELENA Ah sì? E com’è che non me ne sono accorta?
KNEPP Sono tornato per ammetterlo.
M. ELENA Se questo è tutto, se ne può andare.
KNEPP Non mi concede un paio di minuti?
M. ELENA No.
KNEPP Non è una cosa ufficiale…
M. ELENA Se cerca ancora una occasione sessuale con me, sono ancora disposta. Però adesso ha un prezzo fisso: la verità.
KNEPP Ormai non ha più bisogno di offrimi nulla. Lei ha vinto, gliel’ho già detto… lei mi ha sconfitto… e non creda che mi sia facile riconoscerlo. Ero convinto che la mia ipotesi fosse solida. (Torna a togliere dalla valigetta il foglio)
M. ELENA Metta via.
KNEPP Non riesco a capire come mai lei non abbia spontaneamente firmato il foglio. È una condotta inspiegabile…
M. ELENA La verità!
KNEPP La colpa deve essere un motore molto più potente di quanto pensassi…
M. ELENA Io non ho colpa di niente.
KNEPP Le ho già detto che l’esperimento è finito e che ho perduto. Non ha bisogno di difendere nessuna immagine di sé…
M. ELENA Io non ho colpa di niente.
KNEPP Non ci può essere altra ragione che la colpa.
M. ELENA Sto aspettando che mi dica la verità.
KNEPP Non mi dirà che agisce in questo modo per motivi di ordine etico…
M. ELENA La verità, signor Knepp.
KNEPP Benissimo… il vinto deve obbedire al vincitore. (Porge il foglio) Firmi senza esitare.
M. ELENA Non faccia l’imbecille!
KNEPP Un po’ di tatto, signora. Sto dicendole la verità nella maniera meno brutale possibile.
M. ELENA (trattenendosi) Non si sforzi a essere delicato: usi le parole necessarie.
KNEPP Come vuole: suo marito è morto.
M. ELENA (apprende la notizia in silenzio. Dopo una breve pausa domanda con tono neutro) Quando?
KNEPP Questo dato non ce l’ho con me… ma forse si potrà sapere… (breve pausa)… credo che ormai possa firmare.
M. ELENA Chi l’ha ammazzato?
KNEPP (scandalizzato) Signora! Per piacere! Un po’ di buonsenso. È già troppo quello che le sto dicendo.
M. ELENA Le ho chiesto chi l’ha ammazzato.
KNEPP Che cosa pretende? Non capisce che se volessi potrei portarle 50 certificati di morte? Tutti legali. Indiscutibili…
M. ELENA Risponda.
KNEPP Anche la mia pazienza ha un limite.
M. ELENA Quando, chi e perché lo hanno ucciso?
KNEPP (fuori di sé) Lei ormai non lo ama!
M. ELENA Potrei non averlo mai conosciuto, ma dovrei farle la stessa domanda.
KNEPP Non pretenderà di parlarmi di giustizia… Signora, per piacere, sono uno scienziato. La giustizia, è una cosa astratta, una parola convenzionale. Non spiegherebbe mai una condotta umana. Perciò lasci stare le fantasie eroiche e firmi una buona volta.
M. ELENA Quando, chi e perché? (In quell’istante entra il poliziotto. Maria Elena, dopo una breve pausa, si dirige verso l’armadio e comincia a cambiarsi. Sono gli abiti più belli che ha indossato durante tutto lo spettacolo)
KNEPP (perde ogni controllo) Firmi, andiamo. Non ha troppo tempo. (Maria Elena non risponde. Knepp fa un cenno al poliziotto chiedendogli di intervenire. Questi rimane immobile. Knepp allora tenta di farla firmare con la forza) Firmerà, le piaccia… o no!… (Maria Elena lo respinge. Knepp si mantiene in equilibrio con difficoltà e barcolla maldestramente) Sta diventando ridicola! (Maria Elena comincia a truccarsi con cura) Lei è una matta, stupida, testarda! Non può! È impossibile! (Maria Elena continua a non rispondere) Basta, mi sente? Basta… Va bene, va bene. (strappa il filo del telefono) Vede? Spero che ora si renda conto che non chiamerà più nessuno. Suo marito è morto! È morto per sempre. (Rimette il telefono al suo posto. Maria Elena ha finito di truccarsi. Con assoluta serenità si avvicina al telefono e si siede ad aspettare. Dopo un istante il telefono suona. Knepp e il poliziotto ascoltano. Buio totale.)
Traduzione dallo spagnolo di Walter Valeri
Ripubblicato per gentile concessione del traduttore Walter Valeri, che ne ha pubblicato la traduzione per la prima volta nel n.2/3 della sua rivista, Il Taccuino di Cary, Londra, aprile 1986.
Jorge Goldenberg Hachero (1941) è un prolifico sceneggiatore argentino. A una vasta filmografia e a un’intensa attività di documentarista affianca anche la scrittura di diverse opere teatrali che sono state messe in scena in Argentina e altri paesi d’Europa e dell’America latina, comprese Relevo 1923, Fifty-fifty, Poniendo la casa en orden, Knepp, Cartas a Moreno, Krinsky, La lista completa and Fotos de Infancias. Ha insegnato corsi e ha organizzato laboratori di sceneggiatuira in numerosi paesi.
Walter Valeri, MFA, MAXT/ART Institute at Harvard University in drammaturgia. Ha fondato nel 1973 a Cesenatico la rivista Sul Porto, del fare cultura in provincia. È stato assistente personale di Dario Fo e Franca Rame dal 1980 al 1995. Nel 1981 con Canzone dell’amante infelice (Guanda) ha vinto il premio internazionale di poesia Mondello. Nel 1985 a Londra ha fondato e diretto la rivista indipendente Il Taccuino di Cary. Nel 1990 ha pubblicato Ora settima (Corpo 10) con la presentazione di Maurizio Cucchi. Ha scritto vari saggi fra cui Franca Rame: a woman on stage (Perdue University Press,1999), An Actor’s Theatre (Southern Illinois University Press 2000), Donna de Paradiso (Editoria & Spettacolo 2006), Dario Fo’s Theatre: The Role of Humor in Learning Italian Language and Culture (Yale University Press, 2008). Ha fondato e diretto dal 2000 al 2007 il Cantiere Internazionale Teatro Giovani realizzato dalla Città di Forlì e Università di Bologna. Nel 2005 ha pubblicato l’antologia di versi Deliri Fragili (BESA). Ha tradotto vari testi di poesia, prosa e teatro, tra cui RequiemTedesca di James Fenton, Carlino di Stuart Hood, Adramelech di Valére Novarina, I Ciechi di Maurice Maeterlinck, Knepp e Krinski di Jorge Goldemberg, Nessuno Muore di Venerdì di Robert Brustein. Nel 2006 ha fondato il Festival internazionale di poesia Il Porto dei Poeti. Ultimi versi pubblicati Visioni in Punto di Morte (Nuovi Argomenti, 54, 2011), Another Ocean (Sparrow Press, 2012), Ora settima (seconda edizione, Il Ponte Vecchio, 2014), Biting The Sun (Boston Haiku Society, 2014), Haiku: Il mio nome/My name (qudu edizioni, 2015). Collabora alla rivista teatri delle diversità e Sipario. È membro della direzione del The Poets’ Theatre di Cambridge. Vive negli Stati Uniti e insegna al Boston Conservatory e MIT.
Foto in evidenza di Melina Piccolo.
Foto del traduttore a cura di Walter Valeri.