Interviste da “I Volti e le Voci del Conflitto: “Sorry for yer Troubles” (Barbara Gabriella Renzi)

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Queste interviste sono estratte  da un gruppo di sei  realizzate da Barbara Gabrielli Renzi per la parte conclusiva del libro ” I Volti e le Voci del Conflitto: “Sorry for yer Troubles” -Breve introduzione al Conflitto nordirlandese: storia letteratura e interviste”, Ledizioni, 2017. Il libro  si incentrata sull’Irlanda del Nord e la sua capitale, Belfast, oltre dieci anni dopo la fine (formale) dei Troubles. In via ufficiale, infatti, l’Accordo del Venerdì Santo del 1998 aveva messo fine alle ostilità, di carattere etnico, sociale e politico piuttosto che religioso. Tuttavia, in maniera a volte sottile ed altre volte eclatante, la violenza rimane radicata nella società nordirlandese come un lascito testamentario del conflitto. Questo libro, anche tramite le parole di poeti e attivisti, descrive la situazione attuale da più punti di vista. Vi è inoltre uno squarcio sul lavoro di operatori sociali e psicologici, che avvalendosi di tutti gli strumenti possibili (compresa l’arte) tentano di far superare traumi e situazioni psicologiche createsi a ragione della violenza prolungata.

 

M.O’D.

M, O’D., giornalista, lavora per la BBC ma ha collaborato come commentatore politico con innumerevoli giornali, riviste e compagnie televisive, nel Regno Unito e nella Repubblica d’Irlanda. Nel mondo del giornalismo è un riferi- mento autorevole per tutto ciò che riguarda la politica dell’Irlanda del Nord. L’ho incontrato in un coffee shop vicino alla BBC nel 2008. È stato molto gentile e ha capito subito che mi serviva un quadro generale della situazione per dare sostanza al libro che stavo scrivendo. Questa intervista risale all’estate del 2008. Ci sono state altre occasioni in cui ho incontrato Malachi e mi ha sempre trattata con gen- tilezza e rispetto nonostante sia molto famoso a Belfast.

Barbara: Mi può dare una sua breve presentazione?

M.: Mi chiamo M. O’D. e sono uno scrittore e giornalista a Bel- fast, Irlanda del Nord. Lavoro come giornalista, reporter e commentatore politico. Scrivo anche per vari giornali e riviste. Ho pubblicato quattro libri, principalmente sull’Irlanda del Nord: The Trouble with Guns, sulla strategia dell’IRA; I Was a Teenage Catholic, sui vari ricordi del crescere da cattolico; The Telling Year, un memoriale su uno degli anni dei Troubles, il 1972; An Empty Pulpit, un’analisi del declino della religione in Irlanda.

Come definirebbe i Troubles?

Già l’uso della parola “Troubles” [disordini] invece della parola “war” [guerra] indica che la nostra prospettiva è peculiare. Alcuni usano la parola “guerra”, ma tendono a farlo per esaltare le loro azioni. Personalmente credo che i Troubles siano come una sorta di disordini piuttosto che una vera e propria guerra, perché si trattava di tumulti che si verificavano nella tua via, molto spesso creati dai vicini o dalle strade accanto. È spesso facile commettere l’errore di pensare che la definizione di conflitto in Irlanda del Nord si possa proiettare nel passato per definire come gli eventi si sono svolti. Se si torna indietro agli anni ’70, quando iniziò questo partico- lare periodo dei Troubles, è interessante notare che la violenza del periodo 1916-21 era chiamata ugualmente “Troubles”, perché aveva le stesse caratteristiche locali. Se si va agli inizi degli anni ’70 non si trova alcun accordo di vedute, in vaste sezioni della società, su ciò che realmente è accaduto: perché si fanno saltare i negozi, perché si spara ai poliziotti in strada. Non c’è accordo per niente. C’è la divisione tra catto- lici e protestanti. Tra i protestanti, ci sono vari gruppi con differenti vedute sul futuro e su cosa esattamente sia il problema. Analogamente, ci sono vari gruppi tra i cattolici. Alcuni danno la colpa alla società, considerata da alcuni incapace di assimilare due comunità in modo che si mescolino senza problemi. Alla base dell’emergenza della violenza politica in Irlanda del Nord c’è come un carattere di “guerra tra bande”, o perfino di litigi domestici. Uno dei fatti rivelatori è che, per quanto sia visto come un conflitto politico, le persone più attive ai sui inizi, nei primi anni ‘70, in realtà non avevano una mente politica e nemmeno erano particolarmente intelli- genti politicamente.

Uno dei racconti brevi più interessanti, a mio parere, scritto da Bernard MacLaverty e racconta di come fosse pericoloso perfino portar fuori il cane, in certe zone. Cosa ci può dire a riguardo?

Oggi portar fuori il cane, la notte, non è più pericoloso che in qualunque altra città. Durante i Troubles, per stare il sicuro dovevi leggere i simboli presenti in strada, sapere dove ti trovavi. Io ho vissuto qui, sono cresciuto qui, quindi localmente vengo definito come cattolico, il che ovviamente non ha nulla a che vedere con la teologia. Nel contesto delle comunità, io sono nato e cresciuto cattolico. Se cammino per Belfast, non al centro ma in periferia, devo capire se la strada verso cui mi sto incamminando è una strada cattolica o protestante. Praticamente ogni strada è l’uno o l’altro, al di fuori del centro.

E come si fa a capire?

Di solito lo so già… Se avessi dubbi cercherei le bandiere: in aree protestanti ci sarebbe la bandiera britannica, in aree nazionaliste la bandiera irlandese. Oppure ci sono i murali: tutte le aree popolari hanno murali che celebrano la storia di una o l’altra comunità. Si può anche capire dalle scritte sui muri, o perfino dai tatuaggi dei ragazzi che passano! Questi sono gli indizi principali. I nomi delle strade non ser- vono: la Shankill, un’area protestante, ha un bel nome irlandese (“vecchia chiesa”). Ma se si va sulla Falls Road si trova Albert Street, dal nome del principe Alberto, il marito della regina Vittoria; Crimea Street, dalla Guerra di Crimea; Kashmere Street, dalla colonizzazione britannica in India. Quindi è inutile guardare ai nomi delle strade, tranne in quelle zone in cui la gente ha cambiato o tradotto i nomi in irlandese, nel qual caso si capisce subito che l’area è cattolica.

Belfast è una città divisa in varie sezioni. Ci può fare una mappa?

Sì, Belfast è nettamente divisa. Innanzitutto il fiume Lagan la divide in Est ed Ovest. Belfast Est è quasi interamente protestante e unionista, a parte una piccola zona chiamata Short Strand, vicino al fiume. Belfast Ovest è divisa tra cattolici e protestanti. La metà iniziale di Ormeau Road è completamente nazionalista, mentre l’altra metà è una delle poche aree miste della città. Poi ci sono la Lisburn Road e la Malone Road. Malone Road è quasi tutta cattolica-benestante ora, quindi non è una zona problematica. La Lisburn Road è più commerciale ma i complessi edilizi po- polari sono a maggioranza protestante. La Falls Road è tutta cattolica. La Shankill Road è tutta protestante. È lì che fu costruita la prima “Linea di Pace”, separante Falls Road da Shankill. Quella dopo è la Crumlin Road: verso Nord è nettamente divisa. Alla fine della Crumlin Road c’è Ardoyne, una zona con molti problemi perché è un mosaico di strade. Poi c’è Antrim Road, a gran maggioranza nazionalista e cattolica. La seguente è la Shore Road, per la gran parte protestante, e con questa si ritorna al fiume. Molte di queste zone sono separate da muri di sicurezza, per evitare che le comunità si attacchino l’un l’altra.

Strade divise e “muri della pace”: pensa che queste separazioni fisiche ab- biano ancora una funzione?

Beh, di certo l’avevano in passato. La prima “Peace Line” fu costruita tra Shankill e Falls Road nel 1969, in un momento di tumulti molto violenti. Fu co- struita come soluzione temporanea ma da allora è diventata davvero permanente: alte e spesse mura, non si vede da una parte all’altra. Non credo siano davvero necessarie per la sicurezza, oggi: ormai ci sono dei cancelli aperti e ci si muove più o meno liberamente. Credo però che abbiano ancora un certo valore psicologico: la gente si sente più sicura, credo che ci sarebbe uno shock emotivo se eliminassero i “Muri della Pace”. La gente ormai è arrivata a esserne dipendente.

I problemi si trovano in maniera particolare nelle aree popolari, mentre non ve n’erano nelle zone benestanti. È vero?

Sì, è così. Le persone nelle aree benestanti hanno un lavoro, hanno un mutuo o già posseggono la casa in cui vivono. Negli ultimi decenni, poi, molti si sono spostati dalle zone popolari, si è avuto uno spostamento demografico verso le sezioni più abbienti della società, durante i Troubles. Il rifiuto dei Troubles era una forte moti- vazione. Stranamente, una delle zone più turbolente al momento è vicino all’università, dove ora si registrano la maggior parte degli episodi antisociali, in un’area chiamata la “Holy Land”. Per le organizzazioni paramilitari era più semplice organizzarsi nei complessi di edilizia popolare, dove potevano avere una grande influenza sugli inquilini. I parametri geografici erano solidi e precisi. Molta gente lì era senza lavoro, quindi anche i fattori sociali contribuivano a coinvolgere le persone nella violenza politica. La borghesia poi s’è arricchita con i Troubles: basti pensare agli avvocati, con tutti gli omicidi, il crimine, le persone arrestate per sbaglio… Molte persone della mia generazione hanno iniziato come operai o impiegati e sono diventati milionari grazie ai Troubles!

In un racconto famoso di David Park qualcuno viene obbligato a dire l’alfa- beto. Ci può spiegare il motivo?

Secondo il mito è possibile distinguere cattolici e protestanti dal modo in cui pronunciano la lettera “h”, ma non so se sia vero!

Sono spesso i giovani ad essere coinvolti negli atti di violenza?

Se si pensa agli inizi dei Troubles, agli assassini e agli assassinati, alle persone che andarono in galera, quasi tutti avevano meno di vent’anni. La cosa è cambiata col tempo: molti hanno acquistato in “anzianità” nelle organizzazioni paramilitari o nei partiti politici ad esse collegati. Queste persone hanno grande potere nelle loro comunità, sono loro che decidono… per quanto, in strada, le rivolte siano general- mente condotte da giovani, molto spesso c’è qualcuno più anziano che dà gli ordini e tutti devono obbedire.

Come è cambiata Belfast negli ultimi anni?

Belfast è una città molto più prospera che nel passato. Ci sono stati grandi pro- getti edilizi lungo il fiume, basti pensare all’Odissey Arena. La disoccupazione è molto più bassa, ci sono molti più turisti, immigrati da altri Paesi, più persone di colore. Molte persone ora viaggiano all’estero più spesso, anche tra i meno abbienti. Ma le “Linee della Pace” sono ancora lì, la divisione c’è ancora. Il pericolo è che la mancata assimilazione che produsse i Troubles in passato, possa farlo di nuovo.

In tutto ciò, qual è il ruolo della religione?

La religione ha un ruolo che va scemando, ma c’è differenza tra le comunità. La re- ligione ha molto poca influenza sulla comunità cattolica, un qualcosa che i protestanti non riescono a capire: pensano che questa sia una comunità a religione unitaria, pensano che il Papa sia il capo e che dica alla gente cosa fare. Non è affatto così, questo è uno dei miti dei Troubles. Nella comunità protestante c’è una forte tradizione evangelica, teologicamente anticattolica. Quindi i protestanti hanno anche una forte avversione teologica nei confronti della religione dell’altra comunità. Per i cattolici c’era una disputa teologica, ma cinquanta anni fa! Per loro quindi non è un gran problema.

Il conflitto in Irlanda del Nord è un conflitto etnico o religioso?

Ci sono molti fattori in gioco. Quello predominante è il fattore etnico: nazionali- sti e unionisti si vedono come appartenenti a gruppi etnici distinti. Il repubblicane- simo irlandese o il nazionalismo irlandese si considera irlandese/gaelico indigeno. Una delle ragioni in base alla quale rivendicano autorità sull’Irlanda del Nord è il fatto che l’isola d’Irlanda è un’unità culturale e politica, un territorio etnico. Analo- gamente, l’unionismo si considera etnicamente britannico, ma ciò è mediato attraverso un’identità nazionale: rivendica la sovranità sull’Irlanda del Nord. Riguardo alla religione, si può notare una certa correlazione tra il nazionalismo irlandese ed il cattolicesimo; allo stesso modo, si può registrare una forte correlazione tra l’unioni- smo britannico e il protestantesimo. Quindi, se uno è nazionalista nell’80% dei casi sarà cattolico. E l’80% degli unionisti, se non di più, saranno protestanti. D’altra parte, ciò non implica che se sei protestante sei anche unionista o che se sei cattolico se un nazionalista, le categorie cambiano continuamente. È anche presente un certo elemento di “gangsterismo”, credo sia diventato sempre più prominente dal processo di pace del 1998. Il motivo principale è che c’è una disputa militante sull’Irlanda del Nord e tutti questi membri di organizzazioni paramilitari vanno tenuti occupati. Uno dei modi per farlo è appunto il gangsterismo: ciò significa, specialmente tra i lealisti, droga ed estorsione. Per i repubblicani si tratta sempre più di contrabbando di bestiame, benzina e gasolio, DVD pirata e cose del genere, al confine con la Repubblica. Si potrebbe anche dire che il gangsterismo era una scusa usata dai paramilitari, specialmente i lealisti, una sorta di maschera per ottenere denaro per le armi.

Pensa ci sia una relazione tra la violenza domestica e quella per le strade?

Credo che, durante i Troubles, ragazzate del tipo prendere a sassate la polizia fossero etichettate come comportamento antisociale piuttosto che politico. Il motivo è che non volevamo riconoscerlo come comportamento politico, c’era una tendenza a depoliticizzare e criminalizzare queste attività il più possibile. Molti di questi ragazzi erano collegati ai paramilitari, ritenevano che le azioni che compivano fossero azioni espressamente politiche. Durante il Processo di Pace sembra verificarsi una specie di spostamento, tipico delle società il cui conflitto è in transizione, quali ad esempio il Sud Africa, in cui si ha una riduzione nelle morti politiche ma, allo stesso tempo, il crimine e la violenza sembrano trasferirsi in settori diversi. Così si registrano livelli più alti di crimini contro la società e anche di violenze domestiche. Si può notare come questo fenomeno è in aumento. È difficile dire se ciò sia dovuto al fatto che questi crimini vengono denunciati con più frequenza o se stiano effettivamente avvenendo con più frequenza. Una delle ipotesi è che durante i Troubles fosse meno probabile che le persone denunciassero violenze domestiche perché non volevano far “perdere tempo” alla polizia. Secondo un’altra teoria, le persone violente lo sarebbero sempre, quindi ora sarebbero costrette a mediare questa violenza in altro modo, risse e violenze domestiche ad esempio. Personalmente non credo che sia questo il caso: credo sia più probabile che le persone, sem- plicemente, non parlassero di queste cose nel passato.

 


 

K. F.

Ho visto K. un pomeriggio di luglio al MAC (Belfast). Era la prima volta che qualcuno la intervistava e, di conseguenza, era un pochino nervosa. Le è piaciuto essere intervistata e raccontare un po’ della sua vita. L’avevo incontrata recente- mente, solo poche settimane prima dell’intervista, grazie al lavoro di Mediation Northern Ireland, che aveva organizzato dei workshop e dei dialoghi al fine di portare avanti il dialogo fra donne protestanti e cattoliche che vivono nelle zone d’interfaccia. Karen aveva facilitato uno dei workshop, forse uno dei più interessanti in cui abbia mai partecipato. Karen è un’esperta del teatro dell’oppresso (una filosofia teatrale, che comprende differenti tecniche create da Augusto Boal, direttore del teatro Arena di San Paolo, il cui fine è quello di fornire strumenti di cambiamento personale, sociale e politico).

Un pochino di te:

Il mio nome è K. F. e lavoro per la compagnia teatrale Partisan Produc- tion, la mia “base operativa” è il Community Centre” Ballynafeigh Community De- veloment Association, situata Belfast.

Vado direttamente al sodo, cosa significa per te la parola “Troubles”?

Sicuramente è una parola che significa ben poco, non descrive affatto cosa sta succedendo qui; intendo il conflitto naturalmente. La data d’inizio del conflitto soli- tamente viene fatta risalire al 1969, ma gli studiosi ancora discutono sul suo preciso anno d’origine. Cosa siano i Troubles è particolarmente difficile da spiegare, sicura- mente è un conflitto e sicuramente per alcune persone è un conflitto religioso, mentre per altri è solo un conflitto politico. Si discute non solo sulla sua data d’inizio, ma anche su come sia iniziato e dove sia iniziato; tuttavia su una cosa non ci può essere dubbio, ovvero che le parti in conflitto siano due: la parte nazionalista e quella re- pubblicana. E tutto diventa più complicato quando si aggiunge a questi due elementi la religione, o meglio, quando alcune persone politicizzano la loro religione. Quelli che sono repubblicani sono a maggioranza cattolica. Se guardiamo all’altra faccia del conflitto, alla parte unionista o lealista, vediamo che la maggior parte di costoro sono protestanti. Ma la divisione non è così semplice e netta come sembra. Riporto qui un esempio personale. Ho lavorato in un programma sociale chiamato “Cham- pions Program”, che coinvolgeva le persone che, a quel tempo, vivevano o lavora- vano a “Ballnafeigh”, che è un’area di Belfast, nata come mista e rimasta tale durante tutto il periodo dei Troubles: un fatto veramente inusuale e una situazione alquanto unica, poiché durante il conflitto, soprattutto al suo apice, la maggior parte delle persone viveva in comunità o solamente protestanti o solamente cattoliche. Ci sono delle comunità e delle zone che sono solo protestanti o solo cattoliche a Belfast.

2 Il Community Centre è un centro territoriale, che assiste con varie tipologie d’aiuto le varie comunità che inabitano il territorio circostante.

Ballnafeigh, per esempio, è mista anche dal punto di vista “economico” se posso usare questo termine, ed è composta da persone sia appartenenti alla classe operaia sia alla classe media, che vivono una di fianco all’altra. Il programma in cui ho la- vorato coinvolgeva persone sia cattoliche che protestanti: cerano infatti i rappresen- tanti della GAA (la “Gaelic Football Association”) e del “Centro Culturale della Lingua Gaelica”, che venivano visti sicuramente come repubblicani e cattolici. C’erano inoltre i rappresentanti della banda musicale lealista della Orange Lodge. E, poi, erano presenti individui come me che si trovavano nel mezzo di questi due estremi, quello lealista e quello repubblicano. Il nostro compito era quello di prov- vedere uno spazio per il dialogo e per far incontrare e comunicare gli individui che provenivano dalle due differenti comunità. La cosa assurdamente vera emersa da questo programma di dialogo è che le persone avevano esperienze completamente diverse nonostante provenissero dallo stesso quartiere. Usavano anche parole ed espressioni differenti. Anche in una zona di Belfast “mista” come Ballnafeigh le esperienze e il vocabolario utilizzato dalle persone appartenenti a diverse fazioni era differente. Per me, personalmente, è stata un’esperienza di crescita personale signi- ficativa. Ho notato quanto il sentimento settario sia profondo e come emerga ad ogni livello, non solo nel comportamento ma anche nel linguaggio.

Queste tue parole conducono alla seguente domanda: cosa vuol dire essere settari a Belfast?

Sicuramente è una frase molto comune e usata veramente spesso. Significa l’es- sere fazioso, l’essere di parte e provare odio per gruppi di persone differenti dal tuo gruppo di appartenenza o per persone che appartengono a una diversa etnia. Qui, a Belfast, si riferisce all’odio che si porta per i cattolici o i protestanti.

Si riferisce a un comportamento o sentimenti passati, o ancora esistenti?

Certamente e, sfortunatamente, è ancora presente: basti ricordare quanto è successo nel periodo natalizio, ovvero alla questione della bandiera. Belfast City Council decise di innalzare la bandiera britannica (Union Jack) solo in alcuni giorni prestabiliti della settimana. La bandiera è per i lealisti simbolo iconico della loro identità britannica, per cui la decisione di non innalzare la bandiera determinati giorni venne considerata come una grave offesa a cui seguirono una serie di manifestazioni di fronte al municipio e in altre aree della città prima di Natale. Ci sono stati anche un numero elevato di scontri in diversi quartieri di Belfast, semplicemente perché la Union Jack non sventolava in determinati giorni. Io interpreto questi eventi come l’ultima goccia d’acqua che ha fatto tra- boccare il vaso; infatti la comunità lealista crede di essere stata la parte perdente del conflitto. Pensa, soprattutto, di aver perso l’identità britannica. Crede, inol- tre, che la maggior parte dei morti sia stata causata dall’IRA, che viene vista come un’organizzazione terroristica repubblicana. Per la comunità lealista l’IRA è stata la responsabile della maggior parte degli scontri e dei Troubles in generale. La stipulazione dell’accordo del Venerdì Santo è vista dai lealisti come un colpo alla loro identità e un affronto ai loro morti; infatti, dopo questo accordo, sempre secondo il loro punto di vista, tutte le persone che erano state imprigionate per gli atti di terrorismo sono state rilasciate. Ecco un altro esempio: nel quartiere dove vivo c’è un’area, chiamata Anadale, che in precedenza era in gran parte protestante e lealista. Insomma, in soldoni, l’assegnazione delle case popolari è andata anche alla comunità cinese. Purtroppo c’è una carenza di case popolari e i lealisti se la sono presa veramente molto, perché, dal loro punto di vista, i Cinesi sono appena arrivati qui e hanno meno diritto di ottenere le case popolari. La comunità lealista non capisce cosa stia succedendo, crede che i suoi diritti vengano erosi lentamente.

Il paesaggio emotivo di Belfast.

Belfast è una città che ha paura, è spaventata per tutto quello che ho raccontato ma anche per tutto quello che non ho detto. Infatti ciò di cui ho parlato scalfisce appena la superficie. A Belfast c’è ancora odio, la città è colma di sentimenti settari e paura, sembra stia per straboccare. Tutti hanno paura che i Troubles possano ritornare. Inoltre, la divisione fra cattolici e protestanti è ancora molto forte. Io direi che non si può parlare di un unico panorama emotivo ma ce ne sono almeno due, uno dei protestanti e uno dei cattolici. Hanno diverse esperienze e vedono il mondo e Belfast con occhi differenti.

Vogliamo parlare dei muri della pace? Tu cosa ne pensi?

La risposta non è semplice e varia da persona a persona, da comunità a comunità. L’altro giorno ho visto un gruppo di Giapponesi, erano turisti che si aggiravano per la città e stavano facendo il giro dei muri della pace. Quindi, in ogni caso, sono interessanti, hanno una storia. Sono sicuramente brutti da guardare. Sono stati eretti per salvaguardare le persone che vivono in certe aree. Se non mi sbaglio entro il 2024 tutti i muri verranno smantellati e questa è una data che innervosisce e intimo- risce gli individui che vivono nelle zone d’interfaccia. I muri sono stati eretti per evitare la violenza fra le due comunità presente tutto l’anno e che si accentua durante il mese di luglio3: case bruciate, finestre fracassate, lancio di pietre, bombe molotov. Questo periodo è un momento veramente teso per entrambe le comunità sino al 12 luglio, giorno in cui la tensione inizia a scemare. Si sente un’atmosfera tesa anche nella zona in cui vivo, che è mista e che negli altri mesi dell’anno è un’area e senza alcun segno di ostilità: durante tutto l’anno i rapporti con i vicini sono normali, ma quando arriva luglio si sente che qualcosa cambia; infatti, luglio è il mese delle marce, delle parate e dei falò; è il periodo in cui i lealisti celebrano la loro identità. Queste celebrazioni risultano però intimidatorie per la comunità cattolica. I muri della pace sono stati eretti per una buona ragione a mio parere; probabilmente non tutti i muri avevano ragione di esistere ma in alcuni casi non si presentava alcun’altra scelta. Sicuramente i muri possono essere considerati come un modo rapido e veloce per far diminuire la violenza settaria, gli scontri. Probabilmente, soprattutto anni fa, dovevano essere forniti più finanziamenti per incoraggiare, promuovere e favorire il dialogo. Infatti i muri da soli sono solo uno strumento provvisorio per far scemare gli scontri, ci vogliono iniziative che favoriscano il dialogo.

Ci sono sempre più immigrati che scelgono Belfast. Secondo te la presenza di nuovi immigrati favorirà il dialogo?

Non credo che la presenza di nuovi immigrati favorirà il dialogo e la pace. Sicu- ramente la presenza di immigrati è una cosa positiva, ma è solo da circa dieci anni che la gente ha iniziato ad arrivare a Belfast. Purtroppo, per esperienza personale, sono arrivata a pensare che gli immigrati assimilano inconsciamente o una posizione o l’altra. In uno dei workshop che ho facilitato, un giovane venuto dallo Zimbawe, che viveva in una comunità a prevalenza cattolica, usava un linguaggio settario senza rendersene conto.

Le donne hanno avuto un ruolo nei Troubles?

Molte persone credono che le donne non abbiano avuto alcuna parte nei Troubles ma si sbagliano. Le donne erano coinvolte quanto gli uomini. Forse uscire dall’odio settario è una cosa più facile per le donne che per gli uomini, superare il tribalismo è più facile per il ruolo tradizionale che le donne occupano nella società: le donne si prendono cura dei bambini, e il loro ruolo di madri, nonne e educatrici le fa più prone alla loro salvaguardia; quindi a lottare per una società più normale in cui omicidi, violenze e ricatti non siano all’ordine del giorno.


 

A. G. G.

Ho conosciuto Amos grazie alla “Belfast Feminist Network” (BNF). Infatti A., oltre essere un poeta, è un femminista, lotta per i diritti delle donne. Purtroppo è raro conoscere uomini che si definiscano femministi, ma come Gideon ha commentato una volta sulla pagina di Facebook della BFN, essere femminista è lottare per il rispetto degli inalienabili diritti umani di tutte le donne.

Qualcosa su di te

Mi chiamo A. G. G., sono nato negli anni ’70 e sono cresciuto nel periodo dei Troubles. Quando ero bambino vivevo ad Antrim, dove le persone frequentavano una chiesa presbiteriana e una cattolica e c’erano servizi religiosi di tipo misto. Ho fatto esperienza di violenza settaria a livello locale. Ho perso membri della famiglia e amici a causa del conflitto. A vent’anni ho aiutato a co-fondare “An Crann/The tree”, un’organizzazione che mirava a incoraggiare, promuovere e favorire la pace e la riconciliazione; in quel periodo eravamo l’unica organizzazione di questo tipo.4 Sono anche un poeta e molte delle mie poesie hanno come soggetto il mio vissuto durante i Troubles.

Che cosa sono i Troubles?

Il conflitto nordirlandese è conosciuto in inglese come “The Troubles”. E con questo nome si indica un periodo di instabilità e digitazione sociale che ha avuto luogo soprattutto in Irlanda del Nord, ma che si poi è propagato nel resto del Regno Unito. Gli anni Sessanta sono considerati la data d’inizio del conflitto e gli anni Novanta, con il “Good Friday Agreement”, la data delle sua fine.

Che cosa non sono i “Troubles”?

Questa è una domanda difficile, poiché c’è molto che non fa parte dei Troubles e che non viene messo in evidenza dai media, che hanno la tendenza a sottolineare tutto ciò che è negativo. Qui di seguito schematizzo tutto ciò che è positivo e di cui ho sufficienti nozioni per poterne parlare.

  1. Ho lavorato con “An Crann/The Three”, una delle prime organizzazioni che si è 
posta come obiettivo quello di far terminare la violenza. Ann Crann era diversa dalle altre associazioni poiché noi siamo stati una delle prime organizzazioni a facilitare il dialogo tra le due diverse comunità (Cross community facilitation). Abbiamo lavorato in tutta l’Irlanda con le vittime e con gli ex-combattenti (i media locali hanno quasi del tutto ignorato la maggior parte di questo lavoro”).
  2. Molte comunità locali hanno lavorato insieme per trasformare i loro quartieri (incluso East Belfast) in posti sicuri dove vivere. Anche se Belfast Estè stata una delle aeree in cui le dimostrazioni per la questione della bandiera sono state più acute.
  3. La Community Arts Partnership ha lavorato per incoraggiare il dialogo e questo impegno ha visto la riuscita di molti progetti che funzionano da ponte tra le varie comunità. Fra questi progetti ricordiamo “The Wedding Community Play”, “Il matrimonio”, un pezzo teatrale scritto e recitato da attori non professionisti provenienti dalle comunità protestanti e cattoliche coinvolte. “Il matrimonio” affronta la questione del matrimonio misto (a livello religioso), un argomento di notevole importanza e spesso oggetto di lite, che riguarda varie famiglie, molte di più di quanto i media ci vogliano far credere, nel senso che è un tema poco trattato nei media.
  4. Molte società che sono nella fase di post conflitto utilizzano l’Irlanda del Nord come esempio del modo in cui una società divisa possa crescere e svilupparsi come un tutt’uno. Molto di più deve essere indubbiamente fatto per trasformare l’Irlanda del Nord in un posto migliore in cui vivere, ma il lavoro di base è stato già portato a termine. Ho lavorato con varie comunità, incluse Ardoyne, The Falls, Shankill e altre ancora, per cercare di fare di questa regione un posto mi- gliore in cui vivere. 
4 Le strutture che mirano a favorire il dialogo si identificano con il termine “cross-community”.

 

La questione della bandiera: quando è iniziata e di cosa si tratta?

Si potrebbe affermare che “la questione della bandiera” sia iniziata a dicembre dell’anno scorso, quando alcuni consiglieri del municipio hanno deciso di far sventolare la bandiera (la Union Jack) solo determinati giorni. A dire il vero, però, la questione della bandiera ci è sempre stata. Le bandiere hanno sempre scatenato disaccordo non solo qui ma in tutte le società dove il conflitto fra due fazioni, etnie o gruppi religiosi esista. Qui la divisione è fra i nazionalisti da una parte e i lealisti dall’altra. La bandiera è stata esposta costantemente fuori dal municipio, da quando Ian Paisley guidò una dimostrazione protestante, di dimensioni enormi, contro l’accordo anglo-irlandese del 1985. Infatti, tornando indietro nel tempo, tre giorni di sommossa definirono negativamente il 1964, quando Ian Pasley chiese di deporre la bandiera Irlandese dagli uffici dello Sinn Fein. Le bandiere sono un tema controverso in Irlanda del Nord. Le proteste di dicembre sono durate più a lungo del previsto. L’EDL e il BNP hanno espresso il loro supporto ai dimostranti e molti sostenitori dei due partiti non si sono trovati d’accordo con la posizione presa.

Il futuro dell’Irlanda del Nord

Mi piace pensare che nel futuro dell’Irlanda del Nord non ci siano più queste divisioni. Mi rendo conto che molta strada debba ancora essere fatta in questa dire- zione. Credo che l’arte sia uno strumento fondamentale per sviluppare la pace e il dialogo, ma sono cauto nel giudicare positivamente tutti i progetti e le iniziative “cross community” che vengono portati avanti al momento. Le scuole sono ancora o protestanti o cattoliche, ma si può notare come la classe media abbia iniziato a mandare i bambini nelle scuole cattoliche presenti nel quartiere in cui abitano quando l’insegnamento risulti di ottima qualità. Dal mio punto di vista l’esistenza delle scuole integrate è un elemento fondamentale per la riconciliazione; purtroppo recenti discussioni con le persone protestanti apparenti al proletariato e sottoprole- tariato suggeriscono che le scuole integrate sono viste come elementi di erosione dell’identità protestante. Saint Columbanus nella cittadina di Bangor ha il 50% di alunni protestanti e il 50% di alunni cattolici ed è una scuola cattolica.

 

Per gentile concessione di Barbara Gabriella Renzi, dal suo libro o ” I Volti e le Voci del Conflitto: “Sorry for yer Troubles”, Ledizioni, 2017.

 

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Barbara Gabriella Renzi, dottore di ricerca sia in filosofia (Queen’s University Belfast) sia in pedagogia (Roma 3), ha pubblicato articoli su riviste internazionali di linguistica e filosofia. Sulla questione nord-irlandese ha scritto un previo volume: Letteratura nei Troubles: sopravvivere il conflitto (2012). Ha inoltre diretto due brevi documentari: “Women: not a single story”, Belfast (2015) e “Belfast: you never know. Documentary film on foreign women living in Belfast” (2011), entrambi in collaborazione con Northern Vision TV.

 

 

 

 

 

 

Immagine in evidenza: foto di Micaela Contoli

 

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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