Intervista allo scrittore siriano Tareq Aljabr a cura di Mariem Sallami

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MARIEM SALLAMI: Quando hai deciso di partire, era qui che volevi venire, e come te la immaginavi prima di arrivare?

TAREQ ALJABR: Io sono partito da Damasco nel 2012, a quei tempi frequentavo l’università e per un maschio, in Siria, chi finiva di studiare doveva intraprendere il servizio militare. Quindi non avevo scelta, o dovevo andare lì o dovevo lasciare il paese. Dato che ho studiato traduzione e avevo compiuto i miei studi, mi è stato offerto un lavoro in una casa editrice svedese a Milano, grazie ad un mio amico, che stava lavorando lì. Era la fase in cui c’era una nuova apertura di un altro ufficio e mi ha proposto di lavorare con loro, visto che esigevano avere un traduttore di libri dall’inglese all’arabo. All’epoca avevo, inoltre, la ragazza italiana, quindi mi sono diretto verso il Libano, ho fatto richiesta per il visto e subito dopo sono venuto qui. Ho scelto quindi l’Italia, non per piacere, ma perché era l’unica opportunità che mi sono trovato davanti in quel periodo.

MS: Tornando indietro lo rifaresti questo viaggio?

TA: Si certo, perché comunque per una persona come me, che crede nelle parole, nelle poesie, nel cambiamento del mondo tramite lo scrivere, la traduzione, non mi vedo nell’esercito, non mi vedo con un’arma a fare la guerra. Quindi sicuramente dopo essermi laureato, avere l’opportunità di lavorare in una casa editrice, tradurre dei libri, fare delle scritture, era una conquista per me e non potevo non accettare subito.

MS: Cosa diresti a chi arriva oggi in Italia scappando dalla guerra? Un consiglio

TA: Io, come persona ordinaria, non saprei cosa dire ad un altro individuo che, forse, ha perso una dimora, una vita, “la sua vita”, e che ne sta cercando un’altra altrove. Non consiglio l’Italia a coloro che hanno perso molte cose a causa della guerra e soprattutto a chi arriva con a carico una famiglia: dei figli e una moglie, e cerca appoggio. L’Italia non offre questo tipo di aiuto come invece farebbe la Germania, la Svezia etc. che forniscono i primi mezzi per l’integrazione. Per chi arriva individualmente, con grandi ambizioni, grandi sogni, come forse me, l’Italia ha grandi possibilità, anche più di altri stati, ma è necessaria la forza e la volontà di creare nuove idee. “Se vuoi puoi” e ciò non si applica solo per l’Italia.

 

MS: Lasciare la propria famiglia, la propria terra non è facile. Ma adesso che sei lontano dalla Siria, se non ci fosse la guerra, penseresti mai di tornare a vivere là?

TA: Bella domanda questa! Allora in realtà, lasciando da parte il paese, la famiglia con tutte le persone importanti nella tua vita e tutti luoghi dove ho vissuto, non è una questione semplice soprattutto se è presente una guerra. È molto facile lasciare il proprio paese in una situazione tranquilla. Lasciandolo in mezzo alla guerra è come se si stesse lasciando alle spalle tutto, la famiglia, gli amici, tutta la vita come si ha sempre vissuto. Adesso, come sono diventato, la persona che sono oggi; come ho vissuto negli ultimi sei anni fuori dalla Siria, in Italia, un anno in Grecia, un anno in Libano, con il lavoro che ho eseguito qua e là, posso affermare che sarebbe difficile per me tornare a vivere in un unico luogo. Non dico solo di Damasco, in Siria, ma anche a Milano. Nel senso sono molto abituato a muovermi, a cercare e a trovare la mia vita in tutti i posti possibili e in tutti i modi possibili. Quindi posso rispondere a questa domanda! Durante gli ultimi sei anni, sono sempre stato in movimento, non solo fisico ma anche sentimentale, che in qualche modo ha influenzato la persona che sono e attualmente non credo di essere in grado di tornare in Siria. Un altro elemento da sottolineare è che il mio spostamento da un luogo all’altro, non è compiuto per piacere ma per obbligo, soprattutto perché è l’unica scelta che ho. Quindi così ho cominciato a percepire questo sentimento, quello di non riuscire ad adattarmi alla vita in un posto fisso. Ecco sono molto abituato a muovermi soprattutto perché la mia vita mi ha portato a questo punto.

MS: Quali sono i tuoi futuri progetti o iniziative per cambiare la situazione siriana?

TA: Ehm…Bella domanda! Dato che sono fuori dalla Siria da circa sei anni adesso, e sono uscito subito dopo aver compiuto l’università, la mia vita era quella di un comune universitario, non ho eseguito dei grandi progetti. Da quando ho lasciato Damasco, le iniziative, le idee che io ho generato, esempio il film Io sto con la sposa, oppure il libro che ho scritto, o anche i libri che ho tradotto dall’inglese, dallo spagnolo, dall’inglese all’arabo, sono tutte iniziative che ho realizzato in Italia. Probabilmente in Siria ero ancora un ragazzino. Anche le azioni che desidero intraprendere per cambiare la Siria sono legate alla mia vita, alla mia esperienza al di fuori della Siria. Attualmente, per esempio, sono nella fase iniziale della realizzazione di un altro libro. Un mese fa, mentre stavo imparando la lingua francese, avevo la necessità di leggere un libro e ne ho trovato uno intitolato Sages Arabes. Mi è piaciuto particolarmente, perché al suo interno erano presenti delle frasi in arabo che trattano della lingua e della cultura araba in tutta la storia; è stato un qualcuno a scegliere tutte queste frasi, tutti questi detti della lingua e della cultura araba che possono essere una finestra, una porta che conduce a capire come è fatta la cultura o la lingua araba; è realizzato in francese e in arabo. Quindi personalmente ho avuto l’ispirazione di compiere lo stesso progetto in italiano; sto scegliendo le frasi, i detti, le caratteristiche, che, secondo me, possono essere una finestrina, una porta che aiutano un po’ ad accedere alla cultura o alla lingua araba. Quindi anche questo proposito, potrebbe essere un’altra iniziativa che sto svolgendo, non per aiutare la Siria, non per migliorarla, ma per essere una parte del cambiamento in generale; non mi riferisco solo al mio paese, ma anche all’Italia, a tutto il mondo. Al momento non penso solo alla Siria chiusa, o all’Italia chiusa, mi sento molto a metà, non riesco a fare le cose sola da una parte, da un solo estremo.

MS: Hai perso qualche persona cara?

TA: Allora, non so se hai notato, nel mio libro, nella prima pagina è collocata una dedica, Ad Aghyad Alya senza nessun’altra spiegazione. Aghyad Alya è un amico mio, anche lui scriveva poesia, era il mio migliore amico all’università, eravamo sempre uniti. Compievamo gli “evening poetry” contemporaneamente, leggevamo le poesie insieme, insomma era l’amico con cui ho scoperto la poesia. Lui è stato obbligato a dirigersi verso l’esercito quando ha finito l’università perché non aveva la possibilità di uscire dalla Siria e quindi non aveva alternative. Dopo due anni è stato ucciso, quindi… è la persona che ho perso in questa guerra, se possiamo definirla così. Ti rivelo un altro segreto, questo libro di poesia…Vedi io, come sono personalmente, non credo così tanto nei libri, parlando di poesie. Per me i testi poetici sono noiosi, ma una delle ragioni che mi hanno spinto a conseguire questo libro era Aghyad, il mio amico, che aveva sempre sognato di avere un suo libro di poesia. Ora, avendo pubblicato questo libro, ho la sensazione di aver realizzato il sogno del mio amico. Non riuscendo a spiegare tutto ciò che ti ho rivelato in questa intervista, l’ho lasciato…come si dire “flat”, solo Ad Aghyad Alya senza chiarimenti. Un po’ mi rispecchia, visto che cerco di non rivelare subito tutto, è come se cercassi di nascondere qualcosa, che non so precisamente.

 

MS: Mi dispiace per il tuo amico, ma credo che sia davvero una bella cosa quella che hai compiuto. Come ci si sente a vivere in mezzo alla guerra, agli spari, alle macerie etc…?

TA: Si, in realtà non so se al momento riuscirei a spiegare tutto, perché da sei anni che non sono in guerra. Ecco, la seconda parte del libro, che intitolata La Rivoluzione dentro, contiene le poesie che ho scritto mentre ero in guerra, mente ero a Damasco.  Quindi provare a recuperare questi sentimenti che avevo scrivendo queste poesie mi render una persona… forse la parola giusta non è debole, ci si sente debole però la parola giusta è che… vedi la guerra mostra la vita in maniera più chiara. Secondo il mio punto di vista attuale chi non ha vissuto in una guerra non è tanto consapevole di cos’è la vita. Non perché lui/lei non è colto/a o che la loro vita non è molto completa, ma quando la situazione è estremamente difficile, quando si vive in momenti molto complessi, questi dettagli spingono a vivere di più. Quello che ho sentito dentro la guerra! Ci si sente tanto…, ci si vede tanto…, si vive la vita al massimo, ma a volte ci si sente come questo “bird”, questo uccello descritto all’interno di una delle poesie. Si ha la sensazione di avere una vita così grande davanti però non ci si può muovere.

 

MS: Visto che l’argomento principale della mia tesi è l’esilio forzato, secondo te che cos’è l’esilio?

TA: Domanda difficile perché è aperta ed è molto polemica. Provo a rispondere nella maniera che più credo sia adeguata. L’esilio per me cosa vuol dire!? Io personalmente, da bambino ho viaggiato tanto a causa del lavoro di mio padre, visto che lavorava qua e là nel mondo. Viaggiare, per me, non era una novità, sono abituato a muovermi, però quando ho compiuto questo spostamento verso l’Italia dopo l’università, è stato completamente diverso dalle volte precedenti. Per questo fatto, quando si viaggia… allora per esempio, se adesso si lascia l’Italia e ci si dirige verso il Brasile per cinque anni, volendo si potrebbe rimanere lì per tutta la durata che si decide, sicuramente si avranno dei momenti “ups and downs”, delle esperienze positive ed altre negative, insomma una vita normale; si convive però sempre con un sentimento interiore ed è quello di poter tornare in Italia quando lo si desidera. Anche senza tornarci concretamente, questa sensazione che ci tranquillizza è necessaria. Avere la possibilità di far ritorno a casa anche solo qualche volta: esempio ogni anno per Natale, per le feste, durante le quali si resta anche solo una settimana, o per qualche giorno, con l’obiettivo di vedere la propria madre, è un fatto molto normale, no!? Ecco il fatto di poter decidere, cambia tutti questi cinque anni in cui ci si trova in Brasile. Se non c’è questa opportunità, come quindi per me in questi anni in Italia, diventa tutto più complesso. La cosa difficile non è rimanere in un determinato paese, perché sono giovane quindi posso lavorare, potrei permettermi di viaggiare, posso fare qualsiasi cosa: sono come tutti e di conseguenza posso fare tutto, ma è l’impossibilità del ritorno a casa in Siria anche quando lo desidero molto. Spesso questa negazione si fa più sentire soprattutto in un periodo di tristezza, di grande debolezza e di bisogno di qualche giorno per tornare là, per vedere mia mamma e stare tra la mia famiglia per riprendermi. Ecco io non posso. L’esilio, per me, è quindi perdere la possibilità di rientrare a casa o di vedere la propria mamma anche solo per un po’ quando si sente il bisogno di farlo. L’esilio per me è sapere che non si può tornare anche se si vuole. Ecco vedi, io posso rimanere anche dieci anni qui, in Italia senza tornare, però il non avere questa possibilità di decidere cambia tutto. Non so se è chiaro!

 

MS: Ultima domanda e ti ringrazio. Se potessi cambiare il mondo quale sarebbe il tuo desiderio?

TA: Io già sto cambiando il mondo. In questi anni, quello che sto facendo in realtà è già cambiare il mondo. Perché ho lasciato la casa editrice a Milano, perché ho realizzato questo film con i miei amici, perché abbiamo viaggiato da Milano fino a Stoccolma per fare Io sto con la sposa!? Perché ho lasciato tutto qui in Italia e sono tornato in Libano per svolgere questo lavoro al confine libanese – israeliano?! La risposta è proprio perché sto cambiando il mondo. Quindi tutte le cose che ho compiuto, il film, il libro, il lavoro al confine libanese – israeliano, lavorare al sud Italia, lasciare qui per andare a lavorare nei campi con i bambini in Grecia scrivendo questo libro, il provare a scrivere un altro libro, servono per cambiare il mondo. Quindi non desidero cambiare il mondo perché lo sto già facendo.

 

 

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Mariem Sallami, 24 anni, nata il 5 ottobre 1994 a Siliana – Tunisia. Arrivata in italia all’età di 10 anni,  senza conoscere  la lingua italiana, ha frequentato le scuole medie, superiori e in fine università qui. Inizialmente ha scelto il liceo linguistico a Montepulciano, per poi intraprendere la carriera universitaria a Siena, laureandosi alla triennale in ” Comunicazione, lingue e culture”. Successivamente, il 26 marzo 2019, ha concluso la laurea specialistica in “Lingua e cultura italiana per stranieri” con voto 110.  Inoltre, tra un arco di tempo limitato inizierà un dottorato di ricerca.  Pertanto grazie agli studi compiuti parla 5 lingue, l’arabo ( madrelingua), italiano, come lingua nativa, inglese, francese e tedesco. Ha lavorato in diversi ambiti, tra cui educatrice in lingua inglese alle scuole elementari, addetta al back-front office etc.

 

Immagine di copertina; Disegno di Giacomo Cuttone.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Riguardo il macchinista

Sana Darghmouni

Sana Darghmouni, Dottore di ricerca in Letterature Comparate presso l'Università di Bologna, dove ha conseguito anche una laurea in lingue e letterature straniere. E' stata docente di lingua araba presso l'Università per Stranieri di Perugia ed è attualmente tutor didattico presso la scuola di Lingue e letterature, Traduzione e Interpretazione all'Università di Bologna.

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