Per la sua attualità, riprendiamo questa intervista realizzata e pubblicata nel 2017 in LMS.
Sana Darghmouni: Grazie di aver accettato questa intervista e per il tempo dedicato.
Come prima domanda, credi nella scrittura femminile e come ti consideri in quanto scrittrice impegnata a scrivere di donne e della loro causa come è evidente dalle protagoniste e dai personaggi dei tuoi romanzi?
Sahar Khalifa: Certo, credo nella scrittura femminile. La scrittura femminile mette in evidenza la situazione della donna, l’ingiustizia, la prevaricazione della sua dignità umana, la visione inferiore che hanno le società, i comportamenti anti femministi e i limiti dei diritti civili e legislativi delle donne. La letteratura femminista non è necessariamente ciò che scrivono le donne, ma la scrivono anche uomini progressisti come ha fatto ad esempio Ibsen nel suo testo teatrale Casa di bambola o come ha fatto Bernard Shaw nella sua commedia famosa Major Barbara oppure come ha scritto Nagib Mahfuz in Tra i due palazzi sul personaggio di Amina in contrapposizione alla figura fortemente maschilista di suo marito Abdeljawad e quello che ha scritto sul personaggio di Nafissa in Inizio e fine. Oltre a quello che hanno scritto le donne femministe, e sono una di loro, e trovate un esempio chiaro di questo mio orientamento nel mio romanzo Memorie di una donna non realista[1] in modo particolare e in tutti i miei romanzi in modo generale.
SD: C’è una protagonista in particolare dei tuoi romanzi che rappresenta Sahar Khalifa, la persona?
SK: Sì, Afaf in La svergognata mi assomiglia nella fase prima del divorzio, dell’avvio e della liberazione, poi ci sono somiglianze con la maggior parte delle mie protagoniste ma sono somiglianze non complete perché di solito mischio tra realtà e fantasia. Nel senso che prendo dalla mia personalità e dai miei sentimenti alcuni elementi poi li mischio con sentimenti e qualità presi da altre donne. Così i miei personaggi femminili diventano più forti e completi e rappresentano una gamma femminile più ampia.
SD: Come scrivevi in passato e come scrivi adesso alla luce di quello che succede nel mondo arabo?
SK: Tecnicamente scrivo con lo stesso stile, nel modo di rappresentare e sviluppare i personaggi, nell’uso del dialogo e nella cura di dipingere il reale e i suoi particolari, nell’analizzarlo per poterlo capire e criticare. Per quanto riguarda invece il lato psicologico sono diventata meno ottimista. Essendo parte di questa realtà difficile, sono influenzata dai suoi mali e dalle sue tragedie. Ma voglio continuare a seguire la realtà con realismo e adottare essenzialmente l’analisi.
SD:Il nome di Sahar Khalifa è associato alla donna come anche alla Palestina. Come difendi entrambe le cause? E Nablus, la tua città natale, è sempre presente nelle tue opere?
SK: Difendo entrambe le cause perché sono simili per quanto riguarda l’ingiustizia, lo sfruttamento e la perdita della dignità umana. Per me la questione non è solo culturale, nel senso che come scrittrice intellettuale sono consapevole della contraddizione della nostra situazione, sia come donne che come palestinesi, con i principi essenziali dei diritti dell’uomo. La questione come la vedo e come la avverto è completamente personale, sono una donna in una società che ancora emargina la donna, la sfrutta e la reprime. E come palestinese Israele mi occupa, mi schiaccia, mi sfrutta e mi ruba, ruba la mia terra, la mia acqua e la mia libertà e incarcera i miei uomini e le mie donne. Quindi io e le mie simili soffriamo di una doppia persecuzione, una persecuzione sociale e una politica. E queste due persecuzioni sono l’incubo della mia vita che io combatto come posso.
SD: Credi che la traduzione delle tue opere verso le lingue occidentali contribuisca ad aprire gli orizzonti e a far arrivare la realtà storica nella sua vera versione al mondo esterno?
SK: In realtà la traduzione dei miei romanzi mi ha sorpreso. Io intendevo arrivare alla mia gente e alla mia società in Palestina e al resto dei paesi arabi. Ho una causa, anzi due cause: una causa nazionale e una femminista. E queste due cause contengono dettagli sconosciuti o trascurati e volevo evidenziarle per contribuire a illuminare e rivoluzionare la mia società. Poi sono stata sorpresa da case editrici straniere che chiedevano il permesso per tradurre le mie opere, e questo mi ha fatto piacere perché vuol dire che c’è chi si occupa di noi e delle nostre cause, e anche della mia scrittura.
SD: In conclusione ti chiedo di rivolgere un messaggio aperto alle donne occidentali che leggeranno quest’intervista. E grazie per la collaborazione.
SK: Voglio ringraziare le donne italiane in particolare perché sono state le prime ad interessarsi di noi come palestinesi e come femministe arabe. E non dimentico la loro solidarietà con noi nelle crisi, nella prima intifada e nel pieno del conflitto e nei momenti di tortura, nella seconda intifada fino ad ora. Le ringrazio e le apprezzo. Hanno la mia gratitudine e il mio amore.
[1] In italiano porta il titolo de La svergognata, diario di una donna palestinese.
Immagine in evidenza: Foto di Melina Piccolo.