Intervista a Mazen Maarouf (Monia Zairi)

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Monia Zairi: Buongiorno, Mazen Maarouf, e grazie mille per aver accettato il mio invito. Parleremo soprattutto di Barzellette per miliziani, visto che è uno dei lavori su cui sto lavorando per la mia tesi.

Mazen Maarouf: Grazie mille a te.

 

MZ: La mia prima domanda è: cosa ha voluto esprimere nei quattordici racconti che compongono questa raccolta?

MM: Prima di tutto, questa raccolta rispecchia i piccoli dettagli che ho vissuto durante la guerra in Libano. Vivendo in Islanda, questa distanza degli eventi, che è Beirut, ha risvegliato in me questi ricordi.

 

MZ: Perché scegliere Beirut e non la Palestina?

MM: Perché volevo essere fedele alla memoria originale dei luoghi della mia vita. Ho vissuto a Beirut negli anni ‘80, ed era un periodo di guerra. Quando una persona vive in una città piena di tensione, il suo modo di pensare funziona solo secondo le condizioni di questa tensione, e alla fine la tensione diventa sociale. Rabbia, fastidio e disagio quotidiano diventano una condizione sociale e psicologica che influenza la creatività, quindi non si può pensare, immaginare o scrivere in questo clima teso. Quando sono arrivato in Islanda, questa tensione ha smesso di avere ragione di esistere, perché l’Islanda è un paese molto calmo e pacifico. Probabilmente avevo bisogno di scrivere per liberarmi di questa tensione psicologica, così ho iniziato a ricordare, in modo involontario. Questi ricordi sono riemersi, dunque, e ho voluto affrontarli, ma in un modo che mi permettesse di non dover affrontare la realtà così com’è. Quindi ho fatto ricorso a questo stile di scrittura, che è lo stile dell’immaginazione, dove ogni storia include alcuni dettagli che ho sperimentato personalmente, ma questi dettagli non compaiono mai come eventi principali.

 

MZ: Perché ha scelto di adottare uno stile di scrittura fantastico?

MM: Non lo so, forse perché non sono più parte della realtà reale che ho vissuto durante la guerra. Inoltre, la scrittura realistica è molto difficile: richiede un confronto con se stessi, con le cose, con i dettagli, con la famiglia, con le persone più vicine al cuore umano, e anche un confronto con gli errori umani. Io non ho il coraggio di scrivere in questo modo.

 

MZ: Lei pratica la scrittura come professione? Come è diventato uno scrittore?

MM: Non sono ancora uno scrittore, sto ancora lavorando. Scrivere per me non è affatto facile, perché è un vero impegno. Richiede grande fatica e tempo e un molto lavoro sulle idee, sul linguaggio, sulla narrazione, sulla lettura e molto altro. Perché sono diventato uno scrittore? Non lo so. È una domanda che mi lascia davvero perplesso.

 

MZ: In che modo la tragedia affrontata dal popolo palestinese ha influenzato la sua scrittura?

MM: Tutte queste piccole lotte che ho vissuto a Beirut durante la mia infanzia sono legate alla mia identità di palestinese, alla mia identità di rifugiato, alla mia classificazione come rifugiato palestinese in Libano. Tutti questi piccoli conflitti hanno avuto un grande impatto e lo hanno tuttora. Vivevamo in un quartiere popolare povero che conteneva gruppi sociali fuggiti da varie guerre in Libano, da conflitti e massacri, quindi vivevamo in un ambiente violento, teso e impaziente, in uno scontro continuo di identità e appartenenze. Venivano praticate violenze sociali, verbali e fisiche; tutte queste forme di violenza, di disagio sociale e di soffocamento in un quartiere affollato hanno lasciato una forte impressione su di me. Non ho mai trovato il mio posto in quel quartiere, non mi interessava essere parte di quella violenza , così fin da adolescente mi sono ritrovato solo a scrivere e leggere.

 

MZ: Forse è per questo che è ricorso alla creazione mondi fantastici nei suoi scritti?

MM: Forse, perché tutti i personaggi che creo sono ispirati a persone reali, che ho conosciuto e con cui ho vissuto di persona. Non ricreo una copia esatta di queste persone nei miei personaggi, ma prendo in prestito alcune loro caratteristiche; allo stesso tempo, apprezzo molto in questi personaggi violenti e arrabbiati la loro onestà e sincerità, il loro essere diretti. Vivevamo in un quartiere in cui se qualcuno ti odiava per qualche motivo, veniva e ti cacciava; queste azioni così dirette ora non esistono più, viviamo in un mondo governato dalla diplomazia, ma in quel periodo la situazione in quel quartiere era così brutale, sul piano sociale. Alla fine, voglio comunque dire grazie a tutte queste persone.

 

MZ: Cosa ne pensa del valore della scrittura nel nostro mondo oggi?

MM: Abbiamo certamente bisogno di scrivere, di narrare, insomma delle storie. Le storie sono un mezzo di comunicazione sociale. Quando comunichiamo tra di noi come esseri umani, ci poniamo piccole domande, per esempio: come stai oggi? E questa domanda richiede una breve storia su di te, «Sto bene, mi sono svegliato alle 7:00, ecc.». Quindi comunichiamo con le storie e con la narrazione. L’uomo per natura non può separarsi dalla sua immaginazione, cioè non può vivere senza immaginazione. Il pianeta sta vivendo crisi, guerre, epidemie, prevaricazioni economiche, aumento di disparità tra le classi sociali. Il numero dei poveri è ulteriormente aumentato con la pandemia, quindi usiamo l’immaginazione, con cui siamo liberi, per fuggire, per ricreare la realtà. Attraverso l’immaginazione possiamo capire questa realtà, capire noi stessi e gli altri e immaginare un’altra realtà più inclusiva.

 

MZ: Lei ha iniziato la sua carriera come poeta: qual è la differenza tra scrivere poesie e scrivere racconti? È stata facile questa trasformazione?

MM: Sì, penso di essere indubbiamente passato alla prosa, perché non scrivo più poesie. Già quando scrivevo poesie, ad ogni modo, notavo che c’erano in esse delle caratteristiche narrative, quindi tendevo a scrivere versi come se stessi scrivendo un racconto; mi chiedevo allora se un giorno ne avrei davvero scritto uno. Allo stesso tempo, ritenevo che scrivere racconti breve fosse un fallimento o una cosa da falliti.

 

MZ: Ma il suo libro ha vinto il premio Al-Multaqa Prize per la narrativa breve, quindi l’opposto di un fallimento

MM: Questa era la mia impressione prima di iniziare la mia carriera da autore di racconti.

 

MZ: Era quindi un’impressione sbagliata?

MM: Sì, senza dubbio, perché il racconto è una delle arti più difficili. È sicuramente più difficile del romanzo; non so se sia più o meno difficile della poesia. Ad ogni modo è un’arte molto difficile: richiede molta capacità di concentrazione, di controllo e ideazione. Penso inoltre di aver portato alcuni trattati della mia scrittura poetica nei racconti, poiché ci sono idee che sento come “più poetiche” di altre.

 

MZ: L’ispirazione che la guida quando scrive poesie è la stessa di quando scrive un racconto?

MM: Credo che l’ispirazione della poesia sia diversa. Devo ammettere che il sentimento della nascita di una poesia in me è diverso da quello della nascita di un racconto. Quest’ultimo per me è un vero e proprio laboratorio di scrittura e raramente sono riuscito a scrivere un racconto in poco tempo. I racconti richiedono molto impegno: devo controllare le idee, le relazione dei personaggi tra loro e molte altre cose. La poesia è invece per me l’espressione in poche parole di uno stato emotivo, di una scena quotidiana, di un sentimento o di un’impressione. Questo mi lascia anche più spazio per comunicare con me stesso. Secondo me, la poesia è un lavoro più personale rispetto al racconto.

 

MZ: Come è stata accolto Barzellette per miliziani nel mondo arabo? Ha notato una differenza tra la reazione dei lettori arabi e di quelli europei?

MM: Il mondo arabo purtroppo soffre in generale di un certo ritardo a livello linguistico, nel senso che la nostra lingua non si è sviluppata molto tra XVIII secolo e oggi. Ci sono ad esempio circa trentamila voci in chimica, medicina, fisica, filosofia, biologia, ecc., che non hanno ancora una traduzione e che prendiamo in prestito dalle lingue neolatine senza adattarle. In quest’opera, volevo usare una lingua vicina al parlato quotidiano. Per alcuni lettori nel mondo arabo si tratta di una cosa strana, per non dire riprovevole, quindi non hanno accettato questa scelta. Altri lettori invece hanno espresso opinioni positive. Penso che dobbiamo continuare a sfidare i nostri idoli linguistici, perché la libertà linguistica è anche la prima via verso la libertà politica e sociale.

 

MZ: Visto che parla della lingua, perché ha scelto di scrivere in arabo mentre viveva in ​​Islanda? Perché non ha scritto in inglese, per esempio?

MM: A volte scrivo in inglese, ma ritengo che la mia bravura risieda nella mia lingua, perché mi esprimo meglio; insomma scrivo e continuerò a scrivere in arabo, e se qualcuno sarà interessato a tradurre qualche opera, sarà sicuramente un piacere.

 

MZ: Vede nell’uso dell’arabo una forma di identità linguistica?

MM: Sì. Parlo arabo e l’ho studiato, ed e quindi il repertorio a partire dal quale volevo rivelare il mondo. La lingua, come dice Walter Benjamin, è un riflesso della conoscenza con cui vediamo il mondo. Ogni lingua riflette una certa logica e una certa maniera di vedere il mondo. La lingua araba ha stabilito in me una certa logica nel vedere il mondo, quindi mi vedo intriso di essa come mezzo di espressione.

 

MZ: Lei ha aderito alla lingua araba ma non ai luoghi in cui l’ha parlata. Perché non ci sono caratteristiche geografiche  precise nella sua scrittura, soprattutto in Barzellette?

MM: Non lo so, per me questa assenza del luogo è una grande crisi. Faccio ancora fatica a riconoscere i luoghi degli eventi mentre scrivo, forse perché sono nato palestinese espatriato. Noi profughi, cioè la generazione che è nata nella diaspora, siamo nati lontani dalla nostra terra, e siamo rimasti collegati politicamente e socialmente con questo luogo attraverso le narrazioni. La Palestina si è trasformata così a in un luogo immaginario, almeno prima dei social media. Mentre vivevo fisicamente in un luogo—che è Beirut—mi veniva in mente ogni giorno che Beirut non era il mio posto, ma un posto il quale appartiene a un sistema sociale, politico e mediatico che mi ricorda tutto il tempo che rimarrò un palestinese perseguitato. Beirut non tratta i palestinesi in modo giusto. Siamo palestinesi e la nostra terra è sicuramente la Palestina, ma si verifica una frammentazione tra due luoghi: un luogo dove ci sono i miei ricordi come individuo, con i miei errori, le mie passioni e tutto il resto; e un altro luogo immaginario a cui devo tornare un giorno ma che non ho mai visto. Questa divisione tra un luogo legato alla mente e un altro legato al corpo mi dà la sensazione di non riconoscermi in nessun luogo a volte. Di conseguenza, ricorro all’immaginazione per rimediare all’assenza di un luogo. Cerco anche di rendere più dinamici i personaggi e gli eventi in modo che i luoghi non giochino un ruolo importante, cosa che invece fanno i personaggi e gli eventi.

 

MZ: La mancanza di senso di appartenenza rispetto al luogo in cui è cresciuto è dovuta al fatto che Beirut tratta ingiustamente i rifugiati palestinesi?

MM: A Beirut o in Libano in generale c’è un cattivo trattamento dei rifugiati palestinesi. Io, come palestinese, posso andare a scuola, studiare, finire la mia formazione accademica e universitaria e così via, ma non ho il diritto di lavorare come medico, ingegnere, avvocato, giornalista o professore. Tutte queste professioni sono vietate ai palestinesi. Io lavoravo illegalmente come insegnante nella scuola, perché l’attenzione delle autorità su questi aspetti non è altissima. Quello che vorrei dire è che la vita dei palestinesi in Libano è, in generale, miserabile. I campi profughi sono in una situazione di miseria. Quindi viviamo in Libano, i nostri figli ci crescono, ogni giorno cerchiamo di trovare cibo, ma questo posto per noi rimane sempre qualcosa a cui pensare come un luogo temporaneo.

 

MZ: C’è una dimensione politica nella Sua scrittura?

MM: Indubbiamente, ma non cerco di riflettere alcuna dimensione politica nelle mie opere. Alla fine quello che come palestinesi viviamo ogni giorno e nei piccoli dettagli è il risultato di uno dei maggiori conflitti politici nel mondo. Quando si parla di Beirut negli anni ottanta, ad esempio, si possono elencare tanti eserciti, tanti servizi segreti, tanti partiti e tante milizie che prendevano parte a questo conflitto. C’erano regimi arabi e stranieri che sostenevano queste milizie e questi partiti. Noi da bambini non sapevamo nulla di questo sistema politico, militare e poliziesco intorno a noi; ne vivevamo gli effetti su di noi senza saperlo. La povertà, la privazione, la rabbia, il disagio sociale, il soffocamento e il dolore quotidiano sono tutti stati psicologici che rappresentano un risultato di queste lotte politiche. Pertanto, i nostri sogni più semplici possono essere stati il risultato di queste lotte politiche.

 

MZ: In che modo questi conflitti politici l’hanno influenzata come scrittore?

MM: Non so come abbiano influito, forse lo scopriremo andando avanti. Il bello della scrittura è che non esistono definizioni univoche per quanto riguarda lo stile, la logica o le idee, quindi ogni scrittore scrive a partire dalla sua personale esperienza e da quello che ha vissuto. Ogni scrittore scrive col proprio stile. L’immaginazione è una cosa molto personale, ognuno immagina in modo diverso dall’altro. Quello che voglio dire qui è che, come palestinese, quando ho letto della guerra che ho vissuto in Libano, non potevo accettare l’idea che i palestinesi avessero giocato un ruolo attivo in essa e commesso errori come tutti gli altri. Ho quindi sviluppato una tendenza a volte critica verso la storia.

 

MZ: Ci sono forme di critica politica diretta o indiretta nelle sue opere?

MM: Ho scritto delle critiche politiche dirette in articoli per il giornale An-Nahar, quando lavoravo lì, ma nello scrivere racconti cerco di non coinvolgere direttamente la politica. Ovviamente l’aspetto politico è sempre presente attraverso la rappresentazione dei militari e di una certa situazione sociale, può immaginare cosa ci sia laggiù.

 

MZ: La mancanza di un luogo preciso di ambientazione nelle opere è una critica a questa situazione di conflitto?

MM: Sì, è possibile. Sta anche a sottolineare la natura individuale e personale degli eventi che accadono in questi luoghi. A seguito del sollevarsi di grandi questioni nel mondo arabo, come la questione palestinese dagli anni Sessanta, è stato proibito al poeta e allo scrittore di scrivere della sua individualità, nel senso che gli si chiedeva di affrontare solo grandi temi come il nazionalismo arabo, la questione palestinese, le lotte imperialistiche, le libertà e il conflitto arabo-israeliano. Agli scrittori si chiedeva di essere impegnati in questioni che riguardavano la società e non l’individuo. L’attenzione all’individuo era vista come qualcosa di egoistico e ambiguo, ma penso che sia più corretto scrivere dei nostri problemi partendo dalla nostra individualità.

 

MZ: È per questo che le dimensioni simboliche dei luoghi per lei sono spesso assenti?

MM: Francamente, sto cercando di costruire un rapporto più solido i luoghi. Sogno di poter scrivere di luoghi, ma penso che questa esclusione dei luoghi dalla mia scrittura sia qualcosa che non posso controllare. È qualcosa che non scelgo volontariamente, ma si presenta in modo normale, il che mi fa pensare al rapporto con i luoghi in cui ho vissuto.

 

MZ: Questa esclusione di luoghi specifici può essere considerata come una volontà di trascendere la sua propria esperienza in determinati luoghi?

MM: Sì, indubbiamente. Quando scrivo non voglio essere egoista, nel senso che nel mondo ci sono molti conflitti, quindi quello che stiamo vivendo oggi può essere vissuto in modo molto simile da un’altra persona in un altro paese, in un’altra cultura o in un altro conflitto. Le cause potranno essere diverse, ma i risultati saranno simili. Volevo comunicare con il maggior numero possibile di persone e lettori escludendo luoghi precisi e dando priorità agli eventi e alle interazioni tra i personaggi. In questo modo il racconto può assumere così una dimensione umana e cosmica più ampia, fuggendo dalla sua specificità locale, dalla sua “palestinesità” e “libanesità”, verso un mondo più ampio che possa connetterci come esseri umani.

 

MZ: Può dirci chi ha influenzato la sua scrittura?

MM: Leggo libri, memorie, racconti, fantascienza, romanzi, fumetti, racconti illustrati, sia in arabo che in inglese. All’inizio mi interessava soprattutto leggere poesie e durante la mia adolescenza ho letto intensamente due poeti, Mahmoud Darwish e Nizar Qabbani. Darwish viene da una città vicino alla mia città di Jenin (Palestina), ha vissuto in esilio, ha vissuto per un periodo a Beirut, è stato membro dell’Organizzazione di Liberazione della Palestina, ha vissuto la guerra libanese e ne ha scritto. Dovevo leggere le opere di Darwish per capire il periodo prima della mia nascita, di cui ha scritto in modo epico, realistico, emotivo ed esistenziale allo stesso tempo. Mahmoud Darwish non ha legato la sua scrittura a luoghi particolari o alla descrizione di eventi quotidiani, anzi, ha elevato questa realtà a un livello letterario molto alto, a un livello epico. Quindi penso di aver imparato da lui, e non c’è dubbio che io abbia preso alcuni tratti dalla sua scrittura.

 

– Ma penso che, a differenza di Mazen Maarouf, Mahmoud Darwish non avesse instaurato una relazione polemica con determinati luoghi.

– No, per niente. Durante la guerra del Libano, allo scopo di conquistare una città, un quartiere o a volte una strada, i palestinesi venivano massacrati e quelli che rimanevano in vita erano senzatetto. Il loro rapporto con i luoghi, in questi continui spostamenti da un luogo all’altro all’interno di Beirut o all’interno del Libano è stato molto doloroso e Mahmoud Darwish è stato in grado di restituire questo rapporto.

 

MZ: Come influenza, può citare un nome di un altro scrittore o poeta—arabo o straniero—che ha escluso luoghi precisi dai suoi scritti?

MM: Possiamo citare, ad esempio, Bernard Shaw, Kafka e Maupassant. Ci sono molti scrittori che non hanno scritto di un luogo in modo specifico, ma non ricordo di aver letto uno scrittore che non menzionasse proprio nessun luogo preciso. Da adolescente, ho letto Milanco è un venditore, per esempio, e mi sono appassionato ai luoghi di cui scriveva negli anni Sessanta durante l’era comunista, perché l’autore era in grado di inventare un luogo per se stesso, anche se era un esiliato. Anche Le Clézio, quando scrive nei suoi racconti di luoghi che visita tra gli anni Sessanta a quando ha vinto il Premio Nobel, riesce a costruire un rapporto con certi luoghi, ma si concentra maggiormente sui personaggi.

 

MZ: È possibile ritenere che il suo escludere luoghi precisi dalla narrazione rappresenti una sorta di rinnovamento nel racconto?

MM: Non lo so, questo non dipende da me. Penso che a livello di sperimentazione e ideazione cerco sempre di scrivere in modo diverso, ma penso che questa sia la preoccupazione di ogni scrittore. Tutti gli scrittori vogliono scrivere in un modo e uno stile unici, che li distingua dagli altri.

 

MZ: Siccome ci avviciniamo alla fine di questa intervista, vorrei tornare alle prime pagine di Barzellette. Qual è per lei il rapporto tra il bambino protagonista e la pianta del peperone? Che simbolismo riveste per lei questa pianta? Siamo abituati a poeti e scrittori arabi che parlano di piante di olivo, di gelsomino o di limone. Perché ha scelto la pianta di peperone?

MM: A questa domanda non so rispondere. Ricordo però che nel quartiere in cui abitavamo si coltivavano piante di ogni genere, compresi peperoni, menta, basilico e pomodori. La gente si interessava a piccole piante che potessero soddisfare i bisogni quotidiani e con cui si potesse costruire una relazione che controbilanciasse la presenza della morte dappertutto. Ecco quindi che nasce il rapporto tra un persona e una pianta di peperone o di timo. Vedendola sente di aver ottenuto una vittoria sulla morte, sugli incendi, sulla distruzione e sulla disperazione. C’è sicuramente un simbolismo relativo ai boccioli della pianta—belli, piccoli e lontani tra loro—che vediamo spuntare e brillare. Forse nella distanza tra le gemme c’è un rapporto simbolico legato ai dettagli che ho vissuto a livello fisico e personale.

 

Monia Zairi

 

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Originaria di Kasserine, in Tunisia, Monia Zairi si è laureata in Lingua e letteratura inglese all’Università di Kairouan nel 2008. Nel 2017 si è laureata a Bologna in Letterature moderne, comparate e postcoloniali con una tesi su Zola e l’impressionismo. Sta per laurearsi, sempre a Bologna, in Lingua e cultura italiana per stranieri con una tesi su Mazen Maarouf e Muin Masri. Ha lavorato in Francia e in Italia come insegnante di francese (L1 e L2), inglese L2 e italiano L2. È esaminatrice per le certificazioni di lingua CILS, PLIDA, CELI e CERT.IT ROMA TRE.

Riguardo il macchinista

Sana Darghmouni

Sana Darghmouni, Dottore di ricerca in Letterature Comparate presso l'Università di Bologna, dove ha conseguito anche una laurea in lingue e letterature straniere. E' stata docente di lingua araba presso l'Università per Stranieri di Perugia ed è attualmente tutor didattico presso la scuola di Lingue e letterature, Traduzione e Interpretazione all'Università di Bologna.

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