INTERVISTA A ENRIQUE WINTER SUL CILE D’OGGI: DOVE C’È CRISI CI SONO POSSIBILITÀ (a cura di Lucia Cupertino)

Perro Matapacos

CRISI E POSSIBILITÀ: L’ESPLOSIONE SOCIALE IN CILE – Intervista a Enrique Winter, scrittore e avvocato cileno (a cura di Lucia Cupertino)

LC: Dove possiamo collocare le origini dell’esplosione sociale in Cile, cercando di fare, più che una cronologia degli eventi dell’ultimo mese, un’analisi delle dinamiche e dei fenomeni profondi che l’hanno prodotta?


EW:
Le origini sono molteplici, dal lento genocidio dei popoli originari perpetuato dell’impero spagnolo tra il XVI e il XIX secolo ai maldestri interventi dei ministri e del presidente nelle settimane che precedono l’esplosione di ottobre. Sono stati gli studenti delle superiori a eludere il pagamento della metro e hanno iniziato a moltiplicare gli scenari di disobbedienza civile in cui ci troviamo. Sono particolarmente interessato alle origini legate all’economica, che ci portiamo dietro dall’indipendenza nazionale. Pur avendo potuto generare ricchezza, i primi sovrani promossero l’estrattivismo da parte del capitale straniero. Duecento anni dopo, rimaniamo intrappolati in quella logica, dipendenti del prezzo del rame e della frutta. Ci sono stati tentativi di industrializzazione da parte dei governi radicali della metà del XX secolo, che avrebbero ingrandito la porzione di torta da spartire, e poi anche da parte del governo di Salvador Allende volti a rendere più partecipe il popolo. Quel progresso nei diritti dei lavoratori che richiese un secolo di lotta è stato interrotto dal golpe finanziato dagli Stati Uniti, nel quadro della guerra fredda. I militari responsabili del golpe erano nazionalisti e solo pochi anni dopo l’inizio della dittatura furono convinti a trasformare il Cile nel laboratorio del neoliberismo. Hanno quindi imposto i sistemi sanitario, educativo e pensionistico che sono ancora in vigore e che garantiscono il guadagno degli enti che li gestiscono privatamente senza, però, rispettare i diritti sociali per i quali sono stati creati. Nove cileni su dieci ritengono urgente cambiare questi sistemi e il governo, democraticamente eletto e rappresentativo a questo punto di poche famiglie privilegiate, è disposto a uccidere e lasciare in fiamme interi quartieri prima di toccarli.

LC: Una buona parte dei cileni ha ben presto definito la situazione in Cile come una nuova dittatura, condividi questa visione? Considerando la complessità di mettere a confronto tempi senza dubbio diversi, potresti indicare somiglianze e divergenze tra il presente e gli anni della dittatura?


EW: È un confronto che
tra i cileni è iniziato in modo irresponsabile ma che ora capisco, oltre il mero simbolo. Durante la dittatura fu imposto coercitivamente un modello che l’attuale governo difende con la stessa forza. Fino ad ora, nel post-dittatura, abbiamo avuto una democrazia che aveva permesso anche l’alternanza al potere e in cui credevamo che mancassero i voti per le riforme strutturali. Oggi, tuttavia, e quasi tutti i cittadini sono d’accordo su questo punto, ci troviamo non solo con un governo il cui sostegno è solo del 4,6%, ma con un parlamento che consente loro di continuare a imporre la propria volontà.

La sinistra ha appena votato, dicono per errore, a favore di una legge che criminalizza le manifestazioni in strada, e parte del centrosinistra ha votato a favore dell’ annullamento della proposta di “acusación constitucional”, processo costituzionale contemplato dal sistema giuridico cileno che avrebbe potuto valutare la responsabilità politica del presidente Piñera circa le flagranti violazioni dei diritti umani occorse negli ultimi due mesi.
Anche la dittatura operava sotto questa facciata democratica. La Costituzione del 1980 fu approvata per mezzo del voto e otto anni dopo Pinochet la seguì alla lettera e
accettò di sottoporsi al plebiscito che a malapena perse (ricevendo il 44% delle preferenze, NdT). Il Cile è un paese altamente legalista e non è un caso che sia l’unico in cui un marxista è arrivato alla presidenza col voto o dove le leggi sono ampiamente accessibili in fascicoli acquistabili nelle edicole, per strada. Il libro più venduto dall’esplosione sociale ad oggi è stato la Costituzione. Pertanto, l’argomento della legalità non sembra così forte da fare la differenza tra i due scenari. Lo è, ovviamente, il grado di impunità. Durante la dittatura era assoluto, ma ora è reso difficile dai bollettini di Amnesty, Human Rights Watch, Nazioni Unite e molti altri che si uniscono alle stesse agenzie statali come l’Instituto Nacional de Derechos Humanos e il registro permanente di telefoni cellulari e social network.

Antofagasta

LC: Sulla stampa internazionale la violenza della polizia, i saccheggi e il vandalismo sono stati al centro della narrazione degli eventi. Non vi è dubbio che la vita quotidiana di coloro che vivono in Cile ha subito un drastico cambiamento, scossa da molto caos nei sistemi di trasporto, salute, lavoro, servizi, agenda di eventi, ecc. Tuttavia, le manifestazioni pacifiche, la creatività risvegliata da azioni artistiche e civili, la necessità di generare spazi di dialogo per un vero cambiamento, ecc. sono anche un’altra faccia di ciò che sta accadendo. Se fossi un reporter, quale narrativa costruiresti e quali aspetti metteresti in evidenza?


EW: Senza dubbio, l’epica del recupero dell’empatia e della fiducia. Oggi, la più
banale delle chiacchere di cortesia diventa una profonda conversazione sul tipo di società che vogliamo e sui modi per raggiungerla. Esco nel mio quartiere e all’angolo ci sono grandi e piccini che parlano di questo o quell’articolo della Costituzione. È sorprendente, visto che solo pochi mesi fa sembrava che il neoliberismo fosse l’unico orizzonte di senso comune per ogni azione umana. La violenza si limitava alle relazioni interpersonali della vita quotidiana, dal momento che si agiva permanentemente come clienti e non cittadini, esigendo dagli altri sempre il massimo beneficio. Uno dei primi successi dell’esplosione sociale è stato di modificare la nostra relazione con il tempo, smettendo di esserne schiavi anche se, a volte, è sembrato che in fondo non stesse accadendo nulla, tutto invece accadeva. Contrariamente a ciò che si può immaginare e a causa del carattere dei nostri popoli nativi, quello delle specifiche migrazioni successive e del clima, forse, la nostra idiosincrasia è lungi dal manifestarsi con l’emotività che assegniamo ai latinos, ma dall’esplosione si è espansa considerevolmente la gamma di sentimenti esprimibili.
La creatività trova canali in circostanze come questa e richiede tempo. In due mesi siamo passati dalla musica di protesta degli anni sessanta a quella degli anni ottanta e oggi la colonna sonora è femminista, così come le proposte di queste lotte specifiche. Molti hanno iniziato a offrire le loro conoscenze, laddove necessarie. Ho dovuto rispolverare i miei anni come avvocato nella Camera dei deputati, spiegando l’accordo per la nuova Costituzione nelle riunioni della comunità e persino in video. L’urgenza con cui ero solito scrivere le mie poesie si è manifestata di nuovo nelle colonne d’opinione perché sentivo che alcune riflessioni cruciali non venivano fatte. La prima, non appena tutto è cominciato, ha avuto a che fare proprio con i saccheggi che citavi. Siamo in un sistema che insegna a saccheggiare come mai prima, dal momento che il presidente e i suoi ministri sono stati accusati o sanzionati per innumerevoli crimini economici
da cui hanno ricavato i benefici che li mantengono nei posti privilegiati in cui sono. Nel corso delle settimane, ciò che abbiamo sperimentato a Valparaíso o in altre città più piccole è stato evidente a livello nazionale: la polizia non ha impedito i saccheggi degli esercizi commerciali, anzi li ha incoraggiati. Allo stesso tempo in cui reprime i manifestanti pacifici di giorno, lascia i negozi del centro in balia degli assalitori di notte. La città saccheggiata genera i disagi che metti in evidenza, ma è curioso e incoraggiante notare come ciò non incida sull’opinione pubblica, che ha ben chiaro chi sono le vittime e chi gli aguzzini tra Stato e manifestanti. Ma, naturalmente, con relativa rapidità sono apparsi tutti gli editorialisti, un tempo ragionevoli, a ristabilire l’ordine pubblico a qualsiasi prezzo. E questo prezzo è stato quello della violazione sistematica dei diritti umani. Ciò è risultato efficace per il governo, perché non ha cambiato nulla dei sistemi messi in discussione e non siamo più milioni di persone a marciare per strada, solo perché la polizia lancia gas lacrimogeni prima che ci riuniamo. E perché non vogliamo perdere la vista o la vita.

LC: Secondo te, quali sono i punti da modificare dell’attuale costituzione e quali sono i passi che i cittadini cileni dovrebbero adottare per far sì che le richieste sociali non rimangano inascoltate e possano essere presenti nel processo della nuova costituzione che si è appena aperto?

EW: L’accordo per una nuova Costituzione cerca di abrogare quella attuale che ha molti aspetti negativi a partire, curiosamente, da uno di forma. I diritti sociali, che sono alla base delle manifestazioni, secondo il sistema attuale, richiedono tra i due terzi e i quattro settimi dei voti delle camere legislative per essere modificati. La prima cosa sarebbe quindi stabilire questi diritti nella Costituzione: istruzione gratuita e di qualità dall’asilo all’università, salute pubblica per tutti e pensioni che, ad esempio, in base al costo della vita, coprano le spese. I punti su cui non si raggiunge un accordo nell’assemblea costituente cui spetta discuterne, saranno disponibili, con l’abrogazione dell’attuale Costituzione, ad essere discussi come semplici leggi e ricadranno nella logica della maggioranza semplice. È inoltre fondamentale istituire un nuovo servizio pubblico per i minori a rischio. Oggi abbiamo un’organizzazione praticamente criminale che mette insieme le vittime di genitori assenti, con dipendenze o violenti, con coloro i quali già delinquono, senza essere stati sottoposti ad indagini, riabilitazione nè tantomeno processi educativi. Le morti all’interno dell’attuale servizio o una volta al di fuori lo confermano. L’attuale Costituzione limita fortemente l’azione dello Stato anche in materia culturale. Sarebbe necessario specificare spazi più ampi per la sua azione, protezione ambientale reale ed efficale, nazionalizzazione dell’acqua e stabilire il carattere plurinazionale del paese che porti a una maggiore autonomia dei popoli al suo interno. Ma anche l’eliminazione di enclave autoritarie come il Consiglio di sicurezza nazionale o il Tribunale costituzionale che, nonostante la loro buona reputazione in alcuni paesi europei, in Cile ha agito come terza camera legislativa e non democratica, impedendo l’approvazione di leggi urgenti che non sono anticostituzionali secondo l’attuale Costituzione dell’80. Credo che nel nostro paese non sia giustificato neppure avere due camere legislative che svolgono praticamente le stesse funzioni. Farei piuttosto un congresso unicamerale e rappresentativo del numero di voti per territorio che garantisca la partecipazione di donne, popoli indigeni e indipendenti. Limiterei, infine, gli stati di eccezione costituzionale.
Noi cittadini cileni dobbiamo comprendere che, per la prima volta nella storia del paese, abbiamo la possibilità di redigere la nostra Costituzione. Per questo è fondamentale votare ad aprile a favore di una nuova e che venga
redatta da un’apposita assemblea costitutente. L’altra opzione offerta dal voto è che vi partecipino parlamentari attualmente in carica, il che sarebbe un errore, perché il costituente decide su questioni che lo riguardano direttamente. Dopo queste due votazioni, è importante restare informati sui programmi dei candidati che saranno membri della costituente, al fine di vedere garantita la rappresentazione delle loro idee nel dibattito e poi nella Costituzione. Anche la pressione pubblica è fondamentale durante questo processo, senza di essa non staremmo parlando nemmeno di questo problema. Infine, il voto plebiscitario di ratifica è obbligatorio e poiché, a causa d’una decisione inaccettabile della commissione tecnica, in caso di sconfitta, continuerebbe ad essere in vigore la Costituzione del 1980, deve essere approvata ad ogni costo, poiché qualunque cosa sia concordata in sede d’Assemblea sarà migliore di ciò che abbiamo, poiché ci permetterà di realizzare le riforme che non possiamo fare oggi.

Inti

LC: La questione dell’inclusione è fondamentale per generare un cambiamento politico in cui vi sia spazio per i movimenti di cittadini, donne, indigeni e plurinazionalità, migranti e tutti i gruppi che oggi sono meno visibili. Quali pensi possano essere le azioni che potrebbero favorire questo, all’interno del processo che vive attualmente Cile?


EW: La prima azione
toccherebbe alla commissione tecnica per la nuova Costituzione. Sono state ventilate formule per garantire la partecipazione attiva al processo costituzionale, come le quote riservate all’interno della costituente per i popoli indigeni, che si rispetti un criterio di genere nell’ordine in cui sono presentati i candidati di lista nelle schede elettorali e che cittadini e movimenti indipendenti possano formare liste con le stesse condizioni dei partiti politici. Spetta all’opposizione al governo, che è la maggioranza in entrambe le camere, approvarlo per via legislativa e a ciascuno dei gruppi organizzarsi per raggiungere i voti all’interno delle comunità di interessi che rappresentano. Questo per quanto concerne la Costituzione. Tutte le altre forme di lotta sono aperte e la letteratura, che è quella attraverso cui opero essendo uno scrittore, è l’ideale per dare voce a soggettività diverse da quelle egemoniche.

LC: Dal locale al globale…il rompicapo di molti oggi è capire quali sono le connessioni tra il Cile e il resto delle manifestazioni e dei cambiamenti politici che scuotono l’America Latina …Cosa oseresti dire?


EW: Conosco bene altre realtà latinoamericane, come quella della Colombia, da cui sono tornato solo pochi mesi fa, dopo due anni di residenza. Condividiamo, a livello di continente, l’accumulo di potere e ricchezza nelle mani di poche famiglie che sono state disposte a innumerevoli crimini pur di mantenere i loro privilegi. Tutti i nostri paesi estraggono la loro misera ricchezza dalla terra senza produrre il valore aggiunto che migliorerebbe la nostra qualità della vita, in assenza di leggi sul lavoro che ci proteggano efficacemente. È evidente, inoltre, che le manifestazioni di oggi provengono da giovani che non hanno vissuto le fasi di maggior violenza di stato in America Latina, il che aiuta a renderli più coraggiosi e temerari degli adulti. Oltre alle caratteristiche proprie dei cosiddetti
millennials, esiste una convinzione appassionata riguardo la giustizia delle istanze che la realtà insiste nel confermare tali.
Il Cile
possiede alcune caratteristiche particolari all’interno del funzionamento dell’economia negli ultimi decenni che consolidarono una classe media, che nel resto dell’America Latina era patrimonio quasi esclusivo dell’Argentina e dell’Uruguay. Anche i disprezzati enti gestori di fondi pensionistici (AFP) sono obbligati a investire nel paese, motivo per cui la grande ricchezza non fugge da qui, come invece accade nel resto del continente. Tuttavia, ciò non è stato accompagnato da una rete di protezione sociale che potesse rendere i cittadini meno vulnerabili e, di fronte all’eccessiva avidità di alcuni uomini d’affari che a malapena pagano le tasse e danno salari insufficienti a sopravvivere, mi rendo conto che la quotidianità cilena resta dominata dall’informalità e assomiglia sempre più alla vulnerabilità di altri paesi del continente, con un’economia globale per le aziende e un’altra parallela e precaria, di nuovo in strada, per la sua gente. La polizia funge da guardia privata dei più ricchi e non protegge le grandi masse contro la criminalità comune o i narcotrafficanti, così presenti in altri paesi della regione; e il congresso e i tribunali, timorosi, offrono un alto nivello d’impunità ai responsabili politici.

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LC: Nell’ultimo decennio, le nuove tecnologie hanno giocato un ruolo rilevante e innovativo nella sfera sociopolitica, qual è stato nel caso dell’esplosione sociale in Cile?


EW: In quanto
strumento di testimonianza, hanno posto un limite agli abusi di potere e sono stati un mezzo per smantellare i montaggi del governo e della polizia. Sono serviti anche per diffondere false notizie ed entrare in discussioni estenuanti. Sfortunatamente, anche l’apparato istituzionale inizia ad agire in funzione dei seguaci nei social network e non delle necessità dei cittadini, banalizzando terribilmente il dibattito. Seguendo la stessa logica delle televisioni e dei social network, gestiti da privati ​​con i propri interessi e anche legati alla vendita dei nostri dati personali, cercano di tenerci il più a lungo possibile al loro interno e per questo ci offrono contenuti con cui siamo d’accordo in anticipo. Ciò tende a rendere completa la realtà parziale su cui concordiamo, aumentando il divario tra le posizioni a favore e contro su ogni tema, radicalizzando così le visioni e rendendo ancora più difficile, il già complesso dibattito. Nonostante tutto, giudico il loro ruolo estremamente necessario nella ricerca della giustizia in un paese in cui la stampa è così cooptata dal potere.

LC: Abbiamo già parlato dell’inclusione, ma da una prospettiva antropocentrica… A novembre, Eduardo Gudynas del CLAE (Centro latinoamericano per l’ecologia sociale), recentemente inserito nell’elenco dei principali pensatori sullo sviluppo del prestigioso Key Thinkers on Development, ha visitato gli studenti universitari cileni e ha presentato il suo libro Derechos de la naturaleza. La sua visione è che, di fronte all’attuale dissesto ecologico, non vi è alcuna trasformazione sociale duratura senza l’inclusione dei diritti della natura. Come lo vedi? Sarà possibile incorporare questa visione a livello costituzionale, delle pratiche statali, aziendale e cittadine? Come costruire un nuovo Cile economicamente produttivo, ma non dipendente dall’estrattivismo selvaggio?


EW: Sono d’accordo con Gudynas. Ed è per questo che la teoria del flusso neoliberista, secondo cui fino a quando i ricchi saranno più ricchi, i più poveri avranno di più, ha un limite. In un paese estrattivista come le élites hanno deciso fosse Cile sin dalla sua indipendenza, il limite è fissato dalla quantità di risorse naturali disponibili. Ecco perché le lotte sono, in primo luogo, per distribuire le risorse che ci sono senza distruggere il pianeta e che sono sufficienti per far studiare ogni bambino e far mangiare ogni anziano, anche se oggi i loro diritti sono limitati per garantire, invece, determinati profitti dei gruppi economici.
Gli stimoli dovrebbero essere rivolti ai cittadini, col fine di promuovere il riciclaggio e un consumo minore, locale e consapevole, ad esempio, e gli investimenti sostenibili dal punto di vista ambientale. Che gli
enti che gestiscono i fondi pensionistici siano obbligati ad investire una parte dei loro fondi in questi settori, si aumenti l’onere fiscale di coloro che inquinano e così via. Ma la chiave è trovare, quanto prima, il modo di produrre valore aggiunto o, meglio, ricchezza senza estrarla. Esempi ce ne sono a bizzeffe, dall’energia eolica al turismo naturalistico e, soprattutto, l’innovazione tecnologica e la produzione artistica e di pensiero.

Enrique Winter_foto


ENRIQUE WINTER (Cile, 1982) ha pubblicato in undici paesi e quattro lingue le poesie Atar las naves, Rascacielos, Guía de despacho e Lengua de señas, oltre al disco Agua en polvo e il romanzo Las bolsas de basura. Traduttore in spagnolo di Dickinson, Chesterton, Larkin, Howe e Bernstein, ha ricevuto, tra gli altri, i premi: Víctor Jara, Nacional de poesía y cuento joven, il Pablo de Rokha e il Goodmorning Menagerie e le residenze di narrativa della Sylt Foundation in Germania e dell’Universidad de los Andes in Colombia. Avvocato e master in scrittura creativa della New York University, dirige l’omonimo diploma del PUCV.

Foto di copertina: Negro Matapacos, di Häda Kösmica
Opera muraliste di: Antofagasta, Brigada Gladys Marín / Primavera insurrecta, Inti Castro.

Riguardo il macchinista

Lucia Cupertino

LUCIA CUPERTINO (1986, Polignano a Mare). Scrittrice, antropologa culturale e traduttrice. Laureata in Antropologia culturale ed etnologia (Università di Bologna), ha conseguito un Master in Antropologia delle Americhe (Università Complutense di Madrid) con tesi sulla traduzione di fonti letterarie nahuatl. Vive da tempo tra America latina e Italia, con soggiorni più brevi in Australia, Germania e Spagna, legati a progetti di ricerca, educativi e di agroecologia. Scrive in italiano e spagnolo e ha pubblicato: Mar di Tasman (Isola, Bologna, 2014); Non ha tetto la mia casa - No tiene techo mi casa (Casa de poesía, San José, 2016, in italiano e spagnolo, Premio comunitarismo di Versante Ripido); il libro-origami Cinco poemas de Lucia Cupertino (Los ablucionistas, Città del Messico, 2017). Suoi lavori poetici e di narrativa sono apparsi in riviste e antologie italiane e internazionali. Parte della sua opera è stata tradotta in inglese, cinese, spagnolo, bengali e albanese. È curatrice di 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos (Arcoiris, Salerno, 2016, menzione critica nel Premio di traduzione letteraria Lilec – Università di Bologna); Muovimenti. Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi, Lecce, 2016) e Canodromo di Bárbara Belloc (Fili d’Aquilone, Roma, 2018). Membro della giuria del Premio Trilce 2018, Sydney, in collaborazione con l’Instituto Cervantes. Cofondatrice della web di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com, con la quale promuove iniziative letterarie e culturali in Italia e all’estero.

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