Si hubiera sido el amo
Julia de Burgos
II.
Che mio nonno sia stato lo schiavo
che il suo corpo sia rotto, ancora abitato
da un grumo nero di dolore e di fatica:
fino alla provinciale a piedi, l’autobus,
nove ore in fonderia,
questa è la mia pena più grande
e vorrei mostrare agli altri le bombole di ossigeno
da ricaricare, la distesa di antidolorifici,
i nostri rispettivi apprendistati infermieristici
l’amicizia telefonica con l’operatrice
Anna, del centralino di un ospedale.
Oggi scrivo su un foglio
fra il latte e il lievito da comprare domattina
tutti i nomi dei responsabili.
Che anche mia nonna sia stata la schiava
e schiava anche sua madre, e così la madre di suo padre,
che questa schiavitù venga chiamata
mezzadria o latifondo,
fabbrica o stanza d’ospedale,
che siano le botte che si sono presi tutti,
dalle squadracce e poi ancora da Scelba,
poi dal Partito
tradìti dalla sola cosa che non tradisce,
questa è un’altra pena difficile da sopportare
e allora scrivo su nuove grandi pagine
i nomi di tutti i colpevoli.
Che io ti possa amare sempre
ma più forte ancora nel momento prima
del sonno pensando al padre di tua nonna
agli archivi ordinati
che ne consegnano il ricordo
la sua esistenza luminosa di ladro
sui treni delle Ferrovie Appulo Lucane
questa non è una pena né una vergogna
ma è la sola forma di vita
che voglio salvare.
Oggi ho capito che nessuno di loro
e nessuno di noi
mai è stato è sarà un giorno
padrone.
Nantes, 17 settembre 2019.