Questo non è un manifesto politico,
è un invito all’Umanità.
È una preghiera gridata
a un cielo impazzito.
Menti incapaci di conoscere il confronto,
di comprendere l’alterità.
Corpi adagiati sopra materassi di convenzione
corpi crogiolati sotto il sole nero dell’odio.
Architetti di confini,
muratori di superfici,
operai di contorni:
lavoratori del male
dentro case blindate.
Ma devo
devi
dobbiamo
bussare alle porte di quelle fragili abitazioni,
chiedere con educazione: posso entrare?
Se è necessario, sfondare la soglia.
Varcare la frontiera coatta
posta tra noi e gli altri,
e poi aprire le finestre
per trasformarle in varchi infiniti.
Costruire un intento condiviso, una destinazione comune.
Ridere e urlare che:
l’alterità è l’alternativa!
ai sommersi e ai salvati,
alle minoranze oppresse
ai pellegrini di terra e di mare
ai demoliti, scappati e poi, nuovamente distrutti
alle anime belle anime itineranti
frantumate
dal Turismo della Morte.
C’è bisogno di luce di un briciolo di luce – di uno squarcio di cielo non impazzito,
ma limpido e candido come certi occhi la mattina.
E c’è bisogno di campi coltivati, con cura dolce e maniacale
non più terra incarcerata / strozzata / soffocata: le radici devono crescere libere!
espandersi verso l’Altro!
E c’è bisogno di un nuovo consumismo, quello delle piccole cose
e di scogliere l’acido – farlo diventare miele
e di immagini sacre ma non sante – cucite addosso ai nostri organi.
E c’è bisogno di ribellarsi a questa lenta agonia,
di opporsi al crepuscolo dell’Umanità.
E c’è bisogno di ridere e urlare che:
l’alterità è l’alternativa!
Io ancora credo nella diversità che stravolge,
nell’incanto irruento dell’incontro.
Non dare per scontata la bellezza sottile delle mani che s’incrociano.
Io voglio un luogo di matasse di dita, di nodi di corpi
perché ci vogliono compromessi e mani pronte anche se son rotte:
è un orario di lavoro costante, quello dell’Empatia.
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Delle strade del vento
non c’è più traccia.
I fumi tossici hanno deviato il percorso,
sentieri sotterrati
da voci di anidride carbonica.
Abbiamo smarrito
la lingua del frumento
le parole delle onde
le frasi della torba
gli aggettivi delle conchiglie.
<< il tempo delle case di terra
è ormai lontano,
l’ultima casa costruita con questa tecnica
risale al 1920, poi
travolta dal mattone e dal cemento.>>
E io, io
che non ho mai conosciuto
questo sacro codice antico
conservo soltanto
la nostalgia delle cose perdute.
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Migro da me stessa
per farmi giudice spietato,
ergermi dio intransigente.
Guido le mie ginocchia
a terra
lì dove le induco a strisciare
su pietre minuscole e roventi.
Smembrare la carne – così ridotta
a osso sfatto.
[ pupille dilatate – bulbi strabuzzati
risata isterica – parole di scherno ]
Sono io,
sono io il grottesco giullare
della mia corte decadente.
Presa di coscienza:
abbracciare il danno
la colpa
la beffa
dimenticare la pena
il processo
l’ergastolo.
Come è dolce poi,
quel lento
riconfluire
dentro me stessa.
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Sul ginocchio sinistro avevo una crosta,
una ferita spalancata
dalla mia indole di bisturi.
Mi bruciava, eppure
non riuscivo a non volerle bene:
era il mio male abortito,
dovevo prendermene cura
secondo una delicata teoria del flagello.
E sono andata nella città dei gatti
gli inquilini del porto
e ho visto enormi pance grasse
fare saluti ai pesci
e c’erano strette strade di selva
per scivolare giù,
in rantoli contenti.
Poi, il mare – quel dio sconosciuto
ha amplificato il respiro,
sciolto il sangue e il pensiero.
Sul ginocchio sinistro avevo una crosta,
si è rammollita la scorza.
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da dove vieni,
da dove vieni Inquietudine?
mi trascini via,
mi conduci sconcentrata
concentrata nel luogo dei morti / nel giorno dei morti.
nostalgia di ceri funebri.
l’eco di un inno solenne
mi riempie il volto;
lumi cattolici,
preghiere di solitudini altrui,
chissà che assolvano la mia colpa / la vostra colpa.
mento ai miei vortici interni
accarezzandomi – sussurrandomi
che il canto degli altri basti a redimermi.
cielo catturato da oscurità liquida,
bambini di maschere maschere di bambini
inciampano nella notte dei morti-viventi,
un tossico
mi scruta
si avvicina
mi parla
non mi spaventa
ma mi grida scusa!
dal centro della piazza.
riflessi gialli di fanali impazienti
rossi di occhi disattenti / deviati / nevrotici.
r u u m O o o O O r e E E E E E e e .
tocco l’assenza,
di sottofondo un coro
sacro come le cose strazianti.
Foto nell’articolo di Viviana Annio
Nota biografica:
Eleonora Negrisoli ha 23 anni e proviene da un paesino sperduto nella pianura padana. Da ormai tre anni è trapiantata in quella che considera la sua vera terra, Bologna. Qui studia lettere moderne, da sempre infatti la letteratura è la sua più grande passione. Soffre di un particolare debole per la Poesia. Leggerla e scriverla è il suo modo di sconnettersi / connettersi a sé e al mondo. Si dedica con anima e corpo al lavoro di squadra all’interno del collettivo Muri di Versi per la realizzazione degli eventi poetici e di strada che si stanno caratterizzando per qualità e coinvolgimento di tanti giovani e … meno giovani.