In un ordine che del cosmos nulla più rammenta – Sei poesie di Mihaela Šuman

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Etimologia slava

 

Ventimila coltelli

appesi al soffitto

lame taglienti

a sfidare il suolo

 

Ventimila teste

tagliate

ventimila

vite troncate

 

Solo poesia

scritta sulle lame

a testimoniare

le anime schiave

 

 

Mosaico, farfalle

 

L’accaduto divenuto ricordo,

– il baco, la farfalla –

roccia frammentata ricomposta a casaccio

in un ordine che del cosmos nulla più rammenta;

vite lunghe un giorno infilzate sugli aghi

nella casa di Parla, ricordo,

abiotici i luoghi dell’infanzia,

ma ancora gravidi i loro vocabolari:

titolo di una poesia scritta sul foglietto, a matita – la tua voce, Il Richiamo –

proiettili nel cassetto ricoperto di decoupage

da una bambina lontana nel tempo,

tracce di polvere di colore,

rovinismi d’interno.

 

 

Pronaos

 

Cadrai.

Cadrai tutte le volte innanzi all’innocenza,

tutte le volte, il capo chino, nudo collo

offrirai alla spada della fragilità;

null’altro, come la tenerezza, inciderà le tue carni,

null’altro, ferite più brucianti lascerà;

cicatrici saranno i tremori,

le indecisioni,

innanzi alla porta che al tempio introduce:

e forse vivrai sempre a metà

– una volta scarnificato –

inabile a reggere il peso della luce.

 

 

Ho visto gli occhi di Ariadna Efron

 

Caro,

Ieri mi sono svegliata con dei versi che mi chiamavano e aspettavano come una buona madre, librati in aria all’altezza della finestra, oltre il vetro e prima della veglia, qualcuno li pronunciava con una voce tiepida e profonda: so che era l’anima.

C’era anche il fiore del trifoglio, rotondo, perfetto, dolce in bocca come il ricordo,

per tutto il giorno mi ha accompagnata come un segnale non di ingresso – di entrata.

Anche oggi mi parlava al risveglio, qualcosa sulla metafora tra le cicatrici sulla gamba

e la scrittura cuneiforme

Cicatrici-trattini e scrittura-trattini

Origine

Trauma

Identità

Atto-scatto: documento

Poi su google ho cercato la figlia di Marina, ma non ho visto una foto – ho visto gli occhi di Ariadna Efron.

Cercali, caro.

Vedrai quell’azzurro che non sa stare al mondo, né trovare nascondiglio,

che va errando fustigato dalle intemperie e sadicamente amato dal sole, dalle gambe incerte e spalle ricurve,

io non so dirti oltre quella trasparenza che mette in fuga, occhi che non specchiano il mondo – ne sono abisso e finestra.

 

Fuori dalla mia, è iniziata la tempesta.

Devo portare a riparare la macchina da scrivere, magari andremo insieme.

Ti aspetto

M.

 

 

 

Quando vai

lasci scie come meduse

che bruciano dopo che sono passate

Non so se resto alga

o algos

 

Come conchiglia nella pietra

rispolverata dalle dita – tue parole

– la prossima volta andiamo a est –

il primo raggio di luce sorge

Nostos

 

 

Paradiso marcio

 

Attendo la fine della sigaretta

nell’ingresso della casa che mai verrà ultimata,

nudi i mattoni, al posto dei vetri alle finestre

– i teloni,

l’orologio che batte sempre le otto e quaranta,

un gatto cieco cui lavavi gli occhi con la camomilla,

e poi tu, ombra di te stessa e quel trucco sbavato

mentre tagli il pollo per gli esuli d’un tempo,

odore di sarma, kuruza e patate

a un passo dal paradiso in cui la corruzione

plasma e liscia,

d’un sorriso incrinato e debole, non solo il tuo,

si ritrova modellato ogni viso.

 

E ti vorrei stringere al petto anch’io,

per ogni macchia sulle mani non più giovani,

per ogni centimetro del fegato corroso,

per ogni figlio perso,

per ogni sguardo reclinato al suolo

innanzi ai cosiddetti vincenti.

 

Tutt’uno siete

te e il candore invernale

d’un remoto stato che al mondo appartenne,

tutt’uno, l’accettazione e la ribellione

che non sai scagliare all’infuori di te stessa,

donna che già all’oblio appartieni.

 

(A Zlatka)

 

 

 

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Mihaela Šuman nasce nell’ex Jugoslavia nel 1980 e trascorre i primi anni tra la Bosnia e la Croazia. Nel 1993, a seguito dello scoppio della guerra tra le repubbliche, si trasferisce in Trentino. In seguito a problemi di inserimento, interrompe gli studi superiori e torna in Bosnia, ma dopo un anno fa ritorno in Italia. Firenze diviene la sua città adottiva per 15 anni, dal 2004 al 2019, dove da autodidatta realizza maschere in cartapesta e organizza mostre, ultima gli studi artistici al corso serale e apprende la LIS, lingua dei segni italiana, e forse un po’ si sente anche a casa.  Ma poi riparte. Nel 2019 vince al concorso nazionale di letteratura italiana contemporanea, sezione poesia e grafica, per Laura Capone Editore, dove dieci poesie vengono pubblicate in antologia MIG – 21 AA.VV. Al momento vive a Torino.

 

Immagine di copertina: Opera di Mihaela Šuman.

 

 

 

 

 

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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