In memoriam Gianni Celati: Silenzio, spazio, movimento e sollievo in Narratori delle pianure – Pina Piccolo

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Per  ricordare lo scrittore Gianni Celati che tanto ha contribuito alla letteratura, critica e arti visive in Italia, La Macchina Sognante propone la traduzione italiana di “Silence,  Space, Movement and Relief in Gianni Celati” un saggio di Pina Piccolo pubblicato originariamente nella rivista letteraria statunitense Gradiva , 1988, vol. IV, N. 2.

 

Alfredo Giuliani, recensendo Narratori delle pianure (Milano: Feltrinelli, 1985), ha evidenziato che uno dei vantaggi ad ambientare i racconti in pianura è quello di avere uno spazio senza limiti: “I confini della pianura s’inventano strada facendo”. (La Repubblica, 13 agosto 1985). L’autore stesso ha sottolineato la libertà offerta da tale ambientazione trasferendola poi a un piano soggettivo: “La pianura non è tanto una zona geografica, ma un luogo mentale sul quale sforzarsi di riconoscerne i confini che sono poi quelli della nostra capacità d ‘immaginare storie”. (La Stampa, 15 giugno 1985). Analizzando i trenta racconti si possono individuare tre principali relazioni tra movimento e spazio: 1) l’esotico visita il familiare, cioè qualche elemento esterno entra nella pianura; 2) il familiare visita l’esotico, cioè le peregrinazioni della gente di pianura  che si spingono nel mondo esterno; 3) il familiare diventa esotico – o si scoprono spazi resi invisibili dalla nostra quotidiana immersione in essi. Questi accostamenti sono significativi in ​​quanto esemplificano una delle tendenze del grottesco a mettere in relazione cose che la logica tradizionale ritiene lontane.

La materia prima delle diverse narrazioni consiste solitamente di situazioni alienate, la maggior parte delle quali ha come sfondo pianure desolate, sia che si tratti di città vuote, di campi o sobborghi sovraffollati. La gamma dell’esperienza umana rivela il passaggio da un’organizzazione tradizionale basata su rapporti rurali a un’altra basata su rapporti sociali amorfi e alienati in un ambiente industrializzato. Così, nuovi “esemplari” della specie umana vengono a popolare il paesaggio, spaziando dai figli pendolari di genitori separati, ai ragazzi di estrazione operaia che diventano proprietà di  sponsor che li allevano come futuri calciatori professionisti, agli psichiatri, fino ai nottambuli delle discoteche.  In tal modo, questo contemporaneo Novellino (come l’autore stesso definisce la sua raccolta di racconti), pur attingendo alla tradizione letteraria italiana subisce cambiamenti strutturali che rispecchiano i tempi che vi vengono rappresentati.

Una quarta variabile quasi sempre associata allo spazio, alla distanza e al movimento è la comunicazione, e molto spesso la sua mancanza, che si traduce in silenzio. Questa quarta variabile è della massima importanza nell’alterare notevolmente lo stile e il ritmo di Celati rispetto alle sue opere precedenti.

Nel primo racconto “L’isola in mezzo all’Atlantico” vengono messe in atto molte delle strategie narrative dell’autore, quindi potrebbe essere utile procedere ad una sua dettagliata analisi. Come nella maggior parte delle storie, Celati avverte il lettore che la sua è una storia di seconda mano, che gli è arrivata all’orecchio tramite un  non meglio identificato abitante della pianura. In questa storia uno studente liceale di Gallarate (la pianura) entra in contatto con una persona che vive su un’isola dell’Atlantico (lo spazio esotico), attraverso una radio a onde corte. È così che i confini vengono annullati dai moderni progressi tecnologici che consentono di accostare elementi lontani e vicini. Tuttavia, l’interlocutore che si fa portavoce della distanza presenta alcuni tratti peculiari: non è affatto interessato allo scambio di informazioni tecniche o a notizie su altri operatori di radio a onde corte, ma desidera semplicemente descrivere, nei minimi dettagli, l’isola su cui vive. Per questo motivo, il ragazzo scopre solo il nome dell’uomo, Archie, e nemmeno la sua esatta posizione. Così, la “presenza” resa possibile dalla radio, diventa una “assenza” di informazioni rilevanti per una delle parti. Invece di dati personali, il ragazzo riceve una mole di informazioni dettagliate sui luoghi in cui Archie e sua moglie fanno passeggiate, dettagli che all’inizio trova peculiari e inutili. Scoraggiato dalla reticenza dell’interlocutore rispetto a questioni personali, il ragazzo inizia a registrare su nastro le comunicazioni, partecipando in questo modo e paradossalmente a una vera e propria escalation di non-comunicazione, mediata – ironia della sorte – da un mezzo progettato in realtà per mettere in contatto, le persone in maniera bidirezionale.

Un bel giorno, dopo aver riascoltato i nastri, il ragazzo coglie l’ esclamazione piena di emozione di Archie “Questi posti non li vedrò mai più”, ma tutte le sue congetture sul significato di tale frase rimangono senza risposta. Infine, in un’ ultima registrazione l’uomo lo ringrazia per l’ascolto e si congeda. Quindi i contatti si interrompono.  Archie sopperisce al fallimento di voce dialogante con il proprio successo di voce narrante. Infatti, spronato dalla descrizione che Archie ha fatto della sua isola, il ragazzo di Gallarate e la sua ragazza decidono di andarci. Una volta sull’isola, entrambi riconoscono facilmente i luoghi descritti nei messaggi ascoltati alla radio e ricordano tutti gli episodi ad essi associati nella narrazione di Archie. Riluttanti a rivelare la loro identità, il ragazzo e la sua ragazza arrivano a casa di Archie chiedendo una stanza in affitto. Anche se il proprietario della casa si chiama Archie, i due scopriranno in seguito che non si tratta del loro ex interlocutore.

Infatti, Archie n. 2 (un possibile doppio che può essere visto come un preludio all’inganno e alla doppiezza) racconta loro la storia di un suo amico – l’Archie n. l – un poliziotto di Glasgow che per negligenza e disprezzo verso gli abitanti del ghetto aveva sparato e ucciso un giovane . Archie n. 2 risultò essere l’unico testimone del misfatto e concordò con il poliziotto Archie n. 1 e la moglie di questi di sparire, per un po’ di tempo dalla circolazione.

Cosi l’uomo era venuto ad abitare su quell’isola. Erano trascorsi cinque anni, durante i quali egli aveva imparato a osservare ciò che gli stava attorno per rendere attenti i propri gesti e pensieri, ed era tornato a Glasgow a farsi arrestare. (Narratori pag. 14)

Quello che quindi il ragazzo di Gallarate aveva interpretato come reticenza, era stato solo un uso “su misura” della radio a onde corte, uno strumento che permette all’utente di acquisire una serie di ascoltatori per la sua migliorata capacità di osservazione.  Si può interpretare questo uso a senso unico della radio come un’analogia della narrazione, il suo fine conclamato, cioè “imparare a osservare ciò che lo circondava in modo da rendere i suoi pensieri e i gesti più attenti” si può collegare direttamente al procedimento della narrazione, come vedremo nelle affermazioni dello stesso Celati sullo scopo di raccontare storie.

I personaggi di Celati non si muovono alla velocità della luce attraversando reparti ospedalieri,  e non volano addirittura in aria con la massima facilità solo per atterrare su camion dell’immondizia, come poteva capitare in Le Avventure di Guizzardi  in cui il tempo velocizzato a imitazione del ritmo dei cartoni animati, trova il suo omologo nell’eloquio inceppato del protagonista. Qui, invece, la narrazione minuziosa scandita dal silenzio e dalla reticenza sembra esprimere la volontà di dare ordine a una realtà caotica. Ciò che all’inizio potrebbe apparire come un’«ottusità di senso» (come nell’uso distorto e incompreso della radio a onde corte) si rivela più avanti nella narrazione carico di significato. Nel processo della narrazione, il narratore sembra voler infondere una disciplina di ascolto nel suo pubblico. Un indizio sulle ragioni di questo cambiamento può essere ravvisato in una dichiarazione fatta da Celati a proposito dello scopo del narrare:

Noi crediamo sia possibile ricucire le apparenze disperse negli spazi vuoti, attraverso un racconto che organizzi l’esperienza, e che perciò dia sollievo…

Ci sono mondi di racconto in ogni punto dello spazio, apparenze che cambiano a ogni apertura d’occhi, disorientamenti infiniti che  richiedono sempre nuovi racconti: richiedono soprattutto un pensare-immaginare che non si paralizzi nel disprezzo di ciò che sta attorno. Narratori, Copertina)

Nel corso di tale “ricucitura” delle apparenze disseminate in spazi vuoti, Celati sembra organizzare l’esperienza in modo da obbedire ai ritmi dettati da questi interstizi, che possono essere costituiti da incomprensioni, pura indifferenza, ignoranza, opacità.  Il tutto sfocia in due fenomeni di segno in apparenza opposti: da un lato un rallentamento del ritmo della narrazione, e dall’altro la proliferazione di moto caotico che porta invece ad un’accelerazione del tempo. Spesso, queste due modalità di apprendimento della realtà sono collocate in una posizione contigua,  mettendo notevolmente in rilievo il senso del grottesco.

Una delle storie presenta una situazione che potrebbe essere collocata all’interno della categoria di satira menippea dei giorni nostri. Il suo affabile protagonista è un tipografo in pensione, che può finalmente mettersi a scrivere un trattato su “ciò che fa andare avanti il ​​mondo.  Da uomo abituato a essere circondato dalla parola stampata, pensa che attraverso la lettura si potrebbero trovare le risposte. A poco a poco si rende conto che la proliferazione della parola scritta non è necessariamente carica di significato e ne è alquanto sconcertato (paralizzato).

Questa sua ‘realizzazione’ appartiene alla serie “la scoperta dell’esotico nel familiare”, ma il processo non si rivela produttivo:

Col tempo però s’è accorto di non poter più mettere gli occhi quasi da nessuna parte senza trovare delle parole stampate da leggere. Pubblicità, insegne, scritte nelle vetrine, muri tappezzati di manifesti facevano si che lui, dopo una mezza giornata fuori casa, avesse già letto migliaia e migliaia di parole stampate. Così tornando a casa non aveva più voglia di leggere libri, né di scrivere, aveva solo voglia di guardare delle partite di calcio alla televisione. (Narratori, p. 50)

Egli espone il problema a chiunque sia disposto ad ascoltare e infine riesce a trovare alcuni degni collaboratori – la nipote e il suo giovane insegnante di scienze, un inventore dai capelli lunghi. Sotto l’incantesimo della scienza, optano per un metodo empirico di indagine e dal momento che il mondo va avanti perché le persone “pensano  a farlo andare avanti”, si inventano una macchina artigianale in grado di misurare le  frequenze del pensiero della gente facendole rimbalzare dagli alberi. Quando questo metodo fallisce, il vecchio si rivolge ai leader civici locali, che nella migliore delle tradizioni burocratiche organizzano una conferenza pubblica di un autorevole esponente del settore di fama mondiale. L’oratore esaurisce l’argomento con una conferenza della durata di un’ora e mezza con un grande applauso dal pubblico, ma lascia il nostro trio pensieroso con le stesse domande e una proliferazione ancora maggiore di carta stampata.

Con la sua conclusione aperta, al limite del pessimismo, Celati offre comunque sollievo: la narrazione stessa ha strutturato l’esperienza del vecchio tipografo in maniera dialogica. La sua apertura mentale e la sua tenacia non possono essere sconfitte dalle risme di carta stampata o da scritture “autorevoli” che spuntano sul suo cammino, chi legge rimane lì ad  immaginare che il trio continui a perseguire la loro ricerca.

La forma mentis opposta, il razionalismo tedesco stereotipato o “monologismo” se vogliamo usare la terminologia di Bachtin, governa il racconto dell’inventore della macchina del moto perpetuo. L’ironia della sorte sembra all’opera quando l’operatore Rudiger Fiess investito dalla  gru su cui lavora acquisisce una disabilità nel centro corporeo del moto (le gambe), e finalmente può lavorare sulla sua macchina, un progetto meritevole che aveva ricevuto anche il riconoscimento di Adenauer, ma che, ahimè!, non era stato possibile realizzare per mancanza di finanziamenti.

Una volta disabile, Fiess si trasferisce in pianura, nella zona in cui si trova la città natale della moglie. Lì, trasportando l’esotico nel familiare, riprende i suoi studi e la costruzione della macchina dal moto perpetuo. La macchina, espressione suprema della ricerca della creazione di movimento ed energia con il minimo dispendio di potenza è descritta da Celati in modo quasi antropomorfo. Recuperando il suo talento per le descrizioni che mimano gli stili dei cartoni animati, Celati abbina il familiare e l’inquietante nella migliore tradizione del grottesco.

In certi punti degli snodi aerei c’erano saliscendi con tiranti rigidi e contrappesi in fondo, a forma di maglio. Quando la macchina era in moto quei magli piombavano sulle predelle innestate in certi punti delle ruote minori o delle quattro ruote maggiori: il maglio dava un gran pugno alla predella mettendo in moto la ruota e le ruote collegate, e ritornando poi in alto per pugno a un’altra predella a tempo debito. (Narratori, p. 120)

La grandiosità dello schema è resa dalla minuziosa denominazione di parti meccaniche che si incastrano l’una nell’altra. La malvagità del suo scopo è resa bene dalla parola “pugni” che non può riferirsi ad altro che ad una deliberata energia umana concentrata attraverso il pugno per ferire un avversario. Anche gli oggetti della massima purezza infantile, “Quei palloni di gomma col manico con cui i bambini fanno i salti a rana,” sono inghiottiti dalla macchina feroce per ottenere il risultato più razionalizzato; tuttavia, nonostante tutti i suoi sforzi, Fiess può far funzionare la macchina solo per 50 secondi. Si deduce che Fiess attribuisce la fonte del suo specifico fallimento ad una più generale mancanza di ordine cosmico quando il narratore ci dice:

Secondo Feiss il mondo andava male perché Dio l’ha abbandonato al suo destino, nelle mani di terroristi rossi e asiatici. Ad esempio in Germania ci sono in giro troppi turchi, con facce preoccupanti secondo lui, che alla domenica vanno a ballare come se niente fosse. (Narratori)

La sensazione di disagio creata dalla macchina è esorcizzata dall’immagine finale dei turchi danzanti, per ricordare che sfidare l’ autorità è ancora all’ordine del giorno.

 

 

Immagine di copertina: Foto di Gianni Celati, per gentile concessione di Doppiozero, dal ricordo di Enrico Palandri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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