Ilya Kaminsky sull’ucraino, il russo e il linguaggio della guerra
“Come si può parlare, scrivere di guerra?” (2017)
Nota del redattore: questo saggio del 2017 è tratto dal libro di Kaminsky Words for War: New Poems from Ukraine
Estratto da Words for War: New Poems from Ukraine , a cura di Oksana Maksymchuk e Max Rosochinsky e pubblicato da Academic Studies Press il 28 febbraio 2022. Traduzione italiana di Pina Piccolo, in attesa della gentile concessione di pubblicazione dalla Academic Studies Press.
1.
Rannicchiata vicino allo stipite della porta alle quattro del mattino, la mia famiglia discuteva se aprire o meno la porta allo sconosciuto che indossava solo i pantaloni del pigiama e che bussava alla porta da almeno cinque minuti, svegliando l’intero complesso di appartamenti. Vedendo accendersi la luce, iniziò a gridare attraverso la porta.
“Vi ricordate di me? Vi ho aiutato a trasportare il vostro frigorifero da Pridnestrovie. Ricordate? Abbiamo parlato di Pasternak durante il viaggio. Due ore! Stanotte hanno bombardato l’ospedale. Mia sorella è infermiera lì. Ho rubato un camion a caso e ho attraversato il confine. Non conosco nessun altro. Posso fare una telefonata?”
Quindi la guerra ha messo piede nella mia infanzia due decenni fa, sotto le spoglie di un uomo seminudo che singhiozzava al telefono, vittima di una prima campagna di “aiuto umanitario” post-sovietica.
2.
Durante una recente visita in Ucraina, io e il mio amico poeta Boris Khersonsky abbiamo concordato di incontrarci al mattino in un caffè del quartiere per parlare di Pasternak (sempre al centro di qualsiasi discussione letteraria, nella nostra parte del mondo). Ma quando mi sono diretto là camminando sul marciapiede alle nove del mattino, i tavolini esterni erano ribaltati e le macerie dell’edificio bombardato sparse per la strada.
Una folla, compresi i media locali, si è radunata attorno a Boris che parlava contro gli attentati, contro l’ennesima finta campagna di aiuti umanitari di Putin. Alcuni applaudivano; altri scuotevano la testa in segno di disapprovazione. Pochi mesi dopo, le porte, i pavimenti e le finestre dell’appartamento di Boris erano tutti saltati in aria.
Ci sono molte storie come questa. Sono spesso condivise in frasi brevi e frettolose, e poi si cambia bruscamente argomento.
“I libri di guerra veritieri”, scriveva Orwell, ” per i non combattenti non sono mai accettabili”.
Quando gli americani chiedono dei recenti eventi in Ucraina, penso a questi versi della poesia di Boris:
la gente gira per la città portando esplosivi
in borse della spesa di plastica e valigette.
3.
Negli ultimi vent’anni, l’Ucraina è stata governata sia da politici dell’est di lingua russa che dell’ovest di lingua ucraina. Il governo usa periodicamente “la questione della lingua” per incitare al conflitto e alla violenza, una distrazione efficace dai problemi reali a portata di mano. Il conflitto più recente è sorto in risposta alle politiche inadeguate del presidente Yanukovich, che da allora è fuggito in Russia. Yanukovich era universalmente riconosciuto come il presidente più corrotto che il paese avesse mai conosciuto (accusato tra l’altro di stupro e aggressione, fin dall’epoca sovietica). Tuttavia, ad oggi, il nuovo governo ucraino continua a includere oligarchi e politici professionisti con pedigree scaltri e motivazioni discutibili.
Quando nel 2013 è iniziata la situazione di stallo tra il governo Yanukovich e la folla di manifestanti, e poco dopo il presidente assediato ha lasciato il paese, Putin ha inviato le sue truppe in Crimea, un territorio ucraino, con l’appassionato pretesto di proteggere la popolazione di lingua russa. Ben presto quel territorio è stato annesso. Pochi mesi dopo, con il pretesto degli aiuti umanitari, altre forze militari russe sono state inviate in un altro territorio ucraino, il Donbas, dove è iniziata una guerra per procura.
Per tutto il tempo la protezione della lingua russa è stata continuamente citata come l’unica ragione dell’annessione e delle ostilità.
La lingua russa in Ucraina ha bisogno di questa protezione? In risposta all’occupazione di Putin, molti ucraini di lingua russa hanno scelto di stare con i loro vicini di lingua ucraina, piuttosto che contro di loro. Quando il conflitto ha iniziato a montare, ho ricevuto questa e-mail:
Io, Boris Khersonsky, lavoro all’Università Nazionale di Odessa dove dirigo il dipartimento di psicologia clinica dal 1996. Per tutto questo tempo ho insegnato in russo e nessuno mi ha mai rimproverato di “ignorare” la lingua ucraina, quella ufficiale dello stato. Sono più o meno fluente nella lingua ucraina, ma la maggior parte dei miei studenti preferisce le lezioni in russo, quindi io faccio lezione in quella lingua.
Sono un poeta di lingua russa; i miei libri sono stati pubblicati principalmente a Mosca e San Pietroburgo. Anche il mio lavoro accademico è stato pubblicato lì.
Mai (e ribadisco, MAI!) nessuno mi ha perseguitato per essere un poeta russo e per aver insegnato russo in Ucraina. Ovunque ho letto le mie poesie in RUSSO e non ho mai incontrato complicazioni.
Tuttavia, domani farò le mie lezioni nella lingua di stato: l’ucraino. Questa non sarà solo una conferenza, bensì un’azione di protesta in solidarietà con lo stato ucraino. Invito i miei colleghi a unirsi a me in questa azione.
Un poeta di lingua russa si rifiuta di tenere conferenze in russo come gesto di solidarietà verso l’Ucraina occupata. Col passare del tempo, iniziarono ad arrivare altre email simili da poeti e amici. Mio cugino Peter scrisse da Odessa:
Le nostre anime sono fortemente preoccupate e abbiamo paura, ma la città è sicura. Di tanto in tanto si alzano degli idioti e annunciano che sono per la Russia. Ma noi di Odessa non abbiamo mai detto a nessuno che siamo contro la Russia. Lascia che i russi facciano quello che vogliono nella loro Mosca e che amino la nostra Odessa quanto vogliono, ma non con questo baraccone di soldati e carri armati!
Un’altra amica, la poeta di lingua russa Anastasia Afanasieva, ha scritto dalla città ucraina di Kharkiv sulla campagna di “aiuto umanitario” di Putin per proteggere la sua lingua:
Negli ultimi cinque anni ho visitato sei volte l’Ucraina occidentale, di lingua ucraina. Non mi sono mai sentita discriminata perché parlavo la lingua russa. Questo non è altro che un mito. In tutte le città dell’Ucraina occidentale che ho visitato ho parlato con tutti in russo: nei negozi, nei treni, nei caffè. Ho trovato nuovi amici. Lungi dal provare aggressività, tutti invece mi trattavano con rispetto. Vi prego, non ascoltate la propaganda. Ha l’obiettivo di separarci. Siamo già molto diversi, evitiamo le contrapposizioni, non creiamo una guerra sul territorio in cui viviamo tutti insieme. L’invasione militare che sta avvenendo in questo momento è una catastrofe per tutti noi. Non perdiamo la testa, non temiamo minacce inesistenti, quando c’è una minaccia reale: l’invasione dell’esercito russo.
Leggendo lettera dopo lettera non riuscivo a smettere di pensare al rifiuto di Boris di parlare la propria lingua come atto di protesta contro l’invasione militare. Cosa significa per un poeta rifiutarsi di parlare la propria lingua?
La lingua è un luogo dal quale puoi andartene? La lingua è un muro che puoi attraversare? Cosa c’è dall’altra parte di quel muro?
4.
Ogni poeta rifiuta l’assalto del linguaggio. Questo rifiuto si manifesta come silenzio illuminato dai significati del lessico poetico: i significati non di ciò che la parola dice, ma di ciò che nasconde. Come ha scritto Maurice Blanchot, “Scrivere è essere assolutamente diffidenti nei confronti della scrittura, affidandosi interamente ad essa”.
L’Ucraina oggi è un luogo in cui affermazioni come questa vengono messe alla prova. Un altro scrittore, John Berger, dice questo sulla relazione di una persona con la propria lingua:
“[…]Il linguaggio è potenzialmente l’unica casa dell’uomo, l’unica dimora che non potrà mai essere ostile all’uomo. […] Qualsiasi cosa può essere detta con il linguaggio. Questo perché esso è un ascoltatore che sta molto vicino a noi che qualsiasi silenzio o qualsiasi dio.” (tratto da “Lettera Internazionale” anno 1, numero 2, autunno 1984, pp. 7-8)
Ma cosa succede quando un poeta rifiuta la sua lingua come forma di protesta?
O meglio, per porre questa domanda in termini più ampi: cosa succede al linguaggio in tempo di guerra? Le astrazioni assumono molto rapidamente attributi fisici. È così che la poetessa ucraina Lyudmyla Khersonska vede il proprio corpo mentre osserva la guerra intorno a lei: Sepolto in un collo umano, un proiettile sembra un occhio, cucito dentro. Anche la guerra della poeta Kateryna Kalytko presenta un corpo fisico: la guerra spesso arriva e si sdraia tra di voi come un bambino/che ha paura di essere lasciato solo.
Il linguaggio della poesia può cambiarci o meno, eppure rivela i cambiamenti dentro di noi: la poetessa Anastasia Afanasieva scrive usando la prima persona plurale, cioè il “noi”, mostrandoci come l’occupazione di un paese influisca su tutti i suoi cittadini, a prescindere da quale lingua essi parlino:
quando un fuoristrada con un mortaio
è passato per la strada
non abbiamo chiesto chi sei
da che parte stai,
ci siamo buttati a terra e ci siamo sdraiati.
5.
Durante un’altra visita in Ucraina, ho visto un mio ex vicino di casa, ora mutilato di guerra, tendere la mano per strada. Non indossava scarpe. Mentre gli passavo accanto rapidamente, sperando che non mi riconoscesse, mi sono improvvisamente bloccato, come colto di sorpresa dalla sua mano vuota. Come se mi stesse consegnando la sua guerra.
Mentre mi allontanavo da lui, ho provato una strana sensazione di riconoscimento. Com’è simile la sua voce, le voci dei poeti ucraini con cui ho parlato, alle voci delle persone in Afghanistan e in Iraq, le cui case sono state distrutte dalle tasse che io stesso ho pagato.
6.
Alla fine del XX secolo, il poeta ebreo Paul Celan divenne il santo patrono della scrittura in tempo di crisi. Scrivendo in lingua tedesca, ha infranto la continuità del discorso per riflettere l’esperienza di un mondo nuovo e violato. Questo effetto sta accadendo di nuovo, questa volta in Ucraina, davanti ai nostri occhi.
È il caso della poeta Lyuba Yakimchuk, la cui famiglia è composta da profughi di Pervomaisk, la città che è uno dei principali obiettivi del più recente sforzo di “aiuto umanitario” di Putin. Rispondendo alle mie domande sul suo passato, Lyuba ha risposto:
Sono nata e cresciuta nella regione di Luhansk devastata dalla guerra e la mia città natale di Pervomaisk è ora occupata. Nel maggio 2014 ho assistito all’inizio della guerra. . . Nel febbraio 2015 i miei genitori e mia nonna, sopravvissuti a una terribile guerra, hanno deciso di lasciare il territorio occupato. Sono partiti sotto il fuoco dei bombardamenti, con qualche sacco pieno di vestiti. Un mio amico, un soldato [ucraino], ha quasi sparato a mia nonna mentre fuggivano.
Discutendo di letteratura in tempo di guerra, Yakimchuk scrive: “La letteratura rivaleggia con la guerra, forse perde anche in creatività contro la guerra, quindi essa è cambiata dalla guerra”. Nelle sue poesie, si vede come, sotto l’effetto della guerra, le sue parole subiscano una frammentazione “non parlarmi di Luhansk“, scrive, “è da tempo trasformata in hansk / Lu era stata rasa al suolo / sul pavimento cremisi“. La città bombardata e ridotta in macerie di Pervomaisk “è stata divisa in pervo e maisk ” e il guscio di Debaltsevo è ora il suo ” deb , als , evo “. Attraverso il prisma di questo linguaggio frammentato, la poetessa vede se stessa:
Fisso l’orizzonte
. . . sono invecchiata così tanto
Non sono più Lyuba
è rimasta solo la – ba .
Proprio come il poeta di lingua russa Khersonsky si rifiuta di parlare la sua lingua quando la Russia occupa l’Ucraina, Yakimchuk, un poeta di lingua ucraina, si rifiuta di parlare una lingua non frammentata poiché il paese è frammentato davanti ai suoi occhi. Mentre cambia le parole, scomponendole e contrapponendo i suoni dall’interno delle parole, i suoni testimoniano una conoscenza che non possiedono. Non più lessicale ma ancora leggibile per noi, la parola distrutta si confronta muta con il lettore, sia dentro che fuori il linguaggio.
Leggendo questa poesia di testimonianza, ci viene rammentato il fatto che la poesia non è semplicemente la descrizione di un evento; è un evento.
7.
Qual è esattamente la testimonianza della poesia? Il linguaggio della poesia può cambiarci o meno, eppure rivela i mutamenti dentro di noi. Come un sismografo, registra eventi violenti. Miłosz ha intitolato il suo testo seminale The Witness of Poetry “non perché ne siamo testimoni, ma perché essa ci testimonia”. Vivendo dall’altra parte della cortina di ferro, Zbigniew Herbert disse qualcosa di simile: il poeta è un barometro per la psiche di una nazione. Non può cambiare il tempo. Ma ci rivela com’è il tempo.
8.
Esaminando l’opera di una poeta o di un poeta lirico possiamo davvero aspettarci che ci riveli qualcosa di condiviso da una moltitudine di persone: la psiche di una nazione? la musica di un tempo?
Come può essere che la spina dorsale di un poeta lirico oscilli come l’ago di un barometro? Forse perché la poeta o il poeta lirico è una persona molto riservata: nella sua privacy questo individuo crea un linguaggio – sufficientemente evocativo, sufficientemente strano – che gli consente di parlare, in privato, a molte persone contemporaneamente.
9.
Visto che vivo a molte centinaia di miglia dall’Ucraina, lontano da questa guerra, nel mio comodo giardino americano, che diritto potrei avere io a scrivere di questa guerra? – e tuttavia non riesco a smettere di scriverne: non riesco a smettere di rimuginare le parole dei poeti del mio Paese in inglese, questa lingua che essi non parlano. Perché questa ossessione? Tra le frasi c’è il silenzio che non controllo. Anche se è una lingua diversa, il silenzio tra le frasi è sempre lo stesso: è lo spazio in cui vedo una famiglia ancora rannicchiata accanto allo stipite della porta alle quattro del mattino, che discute se aprire o meno la porta allo sconosciuto che indossa solo i pantaloni del pigiama, e che urla attraverso la porta.
Foto scattata nel 2018 da Slowking4 durante la lettura del poeta all’evento annuale Split This Rock.
Ilya Kaminsky è autore dell’acclamata raccolta di poesia Deaf Republic (2019) definita un’opera di “profonda immaginazione” dal New Yorker ed è stato finalista per il National Book Award nel 2019, nella categoria Poesia. È anche autore di Dancing In Odessa (2004) e Musica Humana 2002). Una sua prima raccolta, La città benedetta, e stata pubblicata in russo quando era ancora adolescente e viveva in Ucraina. Le sue poesie sono state tradotte in numerose lingue e i suoi libri sono stati pubblicati in Turchia, Olanda, Russia, Francia, Messico, Macedonia, Romania, Spagna e Cina.
Kaminsky ha perso gran parte dell’udito all’età di quattro anni dopo che la parotite gli era stata erroneamente diagnosticata come raffreddore. Nato nel 1977 a Odessa in Ucraina in una famiglia ebrea è emigrato con la sua famiglia negli USA nei primi anni anni novanta. Alla fine degli anni ’90, Kaminsky ha co-fondato Poets For Peace, un’organizzazione che sponsorizza letture di poesie negli Stati Uniti e all’estero. Nel corso degli anni, Kaminsky è diventato noto anche per la sua appassionata difesa della traduzione di letteratura internazionale negli Stati Uniti. A lungo editore di poesie presso Words Without Borders e Poetry International ha anche curato diverse antologie di poesie da tutto il mondo, tra cui Ecco Anthology of International Poetry (Harper Collins), ampiamente utilizzato nelle scuole di tutti gli Stati Uniti. Ha anche fondato e curato Poets in the World, una serie di libri dedicata alla pubblicazione di raccolte di poesie da tutto il mondo, compresi Paesi come Iraq, Cina, Europa orientale, Sud America e altrove.
Kaminsky ha anche lavorato come assistente legale per il San Francisco Legal Aid e il National Immigration Law Center. Più recentemente, ha lavorato pro-bono come Avvocato speciale nominato dal tribunale per i bambini orfani nel sud della California. Attualmente detiene la Bourne Chair in Poetry presso il Georgia Institute of Technology e vive ad Atlanta. Nel 2021 Kaminsky è stato un giudice del prestigioso Griffin Poetry Prize.
19 Aprile 2018 | |
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Autore | Slowking4 |
Immagine di copertina: Opera di Giacomo Cuttone con poesia della poeta ucraina Iya Kiva.