Il nome di Ghassan Kanafani è senz’altro legato alla letteratura della resistenza e alla lotta del popolo palestinese per la propria libertà e indipendenza. In questa letteratura il suo nome è tra quelli più rilevanti sia per la produzione letteraria che per l’impegno politico che lo ha visto coinvolto in prima persona; infatti Kanafani muore in un attentato organizzato dal Mossad israeliano insieme alla giovane nipote proprio per il suo ardore e amore per la causa. Nel breve arco di vita dello scrittore palestinese, egli ha potuto scrivere 18 libri, tra romanzi, saggi e teatro. Kanafani sosteneva con fervore la necessità di una soluzione collettiva al problema dei palestinesi e non accettava i campi profughi come sistemazione alla tragedia che ha colpito il suo popolo.
Tra i romanzi più famosi Uomini sotto il Sole (1963) narra la drammatica storia di tre rifugiati palestinesi appartenenti a tre generazioni diverse ma uniti dallo stesso destino e dallo stesso sogno. I tre personaggi, il maturo Abu Qais, il giovane Asad e il ragazzo Marwan scelgono di emigrare clandestinamente verso il Kuwait per migliorare la propria vita e trovare lavoro nel paese del petrolio. Il libro tratta quindi un tema tragicamente e terribilmente attuale: il viaggio disperato dei migranti clandestini verso l’ignoto. Kanafani lo fa descrivendo dal vivo le persone, i loro desideri e sogni e traendo dalla sua esperienza diretta nei campi profughi storie vere. Il viaggio dei tre uomini si compie in condizioni disumane nel retro di un camion e quando si fermano in un posto di blocco per passare un confine, si nascondono in una cisterna d’acqua vuota mentre l’autista presenta i documenti.
Il povero piccolo mondo si apriva la strada attraverso il deserto come una goccia d’olio pesante su una lamiera di stagno infuocato. Il sole era alto sopra le loro teste, rotondo, fiammeggiante e spendente. Nessuno di loro si curava più di asciugarsi il sudore. Asad si mise la camicia sopra la testa, raggomitolò le gambe e lasciò che il sole lo arrostisse, senza opporre resistenza; Marwàn, invece, appoggiò la testa sulla spalla di Abu Qais e chiuse gli occhi… Abu Qais fissava la strada, stringendo con la forza le labbra sotto gli spessi baffi grigi.[1]
Al confine iracheno, sotto un sole infernale, quando giungono quindi all’ultimo posto di controllo, l’autista si intrattiene un po’ di più a parlare con i funzionari ma quando si ricorda dei tre uomini a bordo e apre la cisterna li trova morti soffocati. Tra continui flash back e ricordi durante il viaggio, tecnica narrativa usata dallo scrittore, la storia dei tre uomini si avvia ad una triste conclusione sotto il sole e finisce con la voce del deserto che fa eco alla frase dell’autista:
Perché non avete battuto sulle pareti della cisterna? Perché non avete battuto sulle pareti della cisterna? Perché? Perché? Perché?[2]
I tre rifugiati attratti dal miraggio della ricchezza cercano un sostituto alla patria e alle opportunità perdute, ma pagano con la vita questo sogno impossibile. Non battono sulle pareti della cisterna e subiscono passivamente la morte durante il viaggio clandestino. E come se Kanafani volesse ribadire che non ci sono soluzioni individuali ad un problema collettivo: chi cerca la soluzione individuale non la trova.
[1] Ghassan Kanafani, Uomini sotto il sole, a cura di Isabella Camera d’Afflitto, Sellerio Editore, Palermo, 1991, p.84.
[2] Ibidem, p.101.
Immagine in evidenza: foto di Melina Piccolo.