“Il Quarantenne”: Un viaggio nell’immaginario dei giovani (Parte II) – di Paola Rizzo

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La prima parte dell’articolo, uscita nel numero 16, la trovate qui

 

Quello che i poteri forti non dicono: GOMBLOTTO!!111

Una fake news che diventa virale, che si radica profondamente in un immaginario, in fondo non è qualcosa di molto distante da una teoria del complotto: la tendenza, antica come il mondo, ad aggrapparsi acriticamente a fanaticamente a una “verità alternativa” (ovviamente non sostenuta da alcuna prova, spesso risultato di macchinosissime interpretazioni di eventi) che verrebbe taciuta dai mass-media, occultata da forze malvagie che tramano nell’ombra. Le teorie del complotto non possono che trovare sul web, anarchico e aperto (purtroppo o per fortuna) a qualsiasi contributo, un grande amplificatore.

Tante pagine militanti sembrano dimostrare come il terreno su cui determinate teorie del complotto trovano modo di prosperare sia, ancora, proprio quello che stiamo esplorando: il continente dei quarantenni. Molte di queste teorie suscitano, agli occhi di una mente “sana”, una sincera risata che, però, si trasforma presto in un ghigno amaro quando emerge – in tutta la sua triste evidenza – un fatto deprimente: anche la teoria del complotto più strampalata (proprio come le strampalate notizie di “Non cielo dicono”) ha un seguito di devoti proseliti.

Passiamo a una pagina dal nome ribelle “La Piaga dei Cinquantenni sul Web” (link: https://www.facebook.com/50enniSulWeb/), particolarmente attiva sul fronte teorie del complotto e che, sovente, si ritrova a dover segnalare proprio quei profili di quarantenni (pardon, cinquantenni) che, armati di tastiera, illuminano il mondo con le loro sconvolgenti rivelazioni. Tra le varie segnalazioni, ecco la più divertente e – al tempo stesso – preoccupante:

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Un vaneggiamento che mescola un topos tradizionale dei complottisti: l’esistenza dei malvagi alieni rettiliani, desiderosi di assoggettare al loro potere la specie umana, e il sospetto (anzi, l’incrollabile certezza) che Greta Thunberg sia una di loro. Il tutto accompagnato da primi piani del viso di Greta, in modo da evidenziare una “fisionomia rettiliana”.

Un social frequentato da giovani e giovanissimi e in cui la presenza di fauna quarantenne è ancora piuttosto esigua è Instagram. Anche in questa “riserva naturale” per ragazzi, tuttavia, la polemica dei giovani verso gli adulti non manca. “Il Superuovo” –  inizialmente nato su Facebook e tuttora presente anche su quella piattaforma  – costituisce un punto d’incontro per pubblico giovane (si tratta specialmente di studenti che frequentano le scuole superiori) e porta avanti una missione: divulgare la cultura in forme dissacranti (già nel suo nome, trasforma il superuomo di Nietzsche in un uovo). Questo spazio di e per ragazzi, su Instagram, pubblica un’immagine che fa dell’ironia su un ipotetico gruppo di complottisti in caduta libera, intenti a mettere in discussione la scienza ufficiale e a contrastare qualche oscura “truffa dei paracadute”.

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L’immagine è corredata da una didascalia che nomina esplicitamente i soggetti verso i quali sono rivolti gli strali della polemica:

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@pigreco (che, tra l’altro, è il fondatore de “Il Superuovo”) prega, attraverso l’immagine irriverente, i «cinquantenni “informati”, i terrapiattisti e gli anti vax di “fare un po’ meno i complottari matterelli”». Quel “cinquantenni informati”, posto come primo termine della lista, dimostra bene che – nella percezione di un ragazzo come @pigreco – una certa categoria di individui è particolarmente proclive ai deliri complottisti. I commenti al di sotto dell’immagine, proseguono nell’ironia:

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Per arrivare a un commento che pone una fatidica domanda, cui viene data una risposta che vuole offrire un immediato conforto*:

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*[A proposito del fatto che “i cinquantenni non sono ancora approdati su Instagram” potete trovare, al link seguente, una serie di percentuali di gradimento – raccolte su un campione di intervistati suddivisi per età – conquistate dai social media più famosi. Emergono piattaforme più apprezzate dai Millennials, e piattaforme più apprezzate dalla Generazione X: https://thenexttech.startupitalia.eu/65128-20180418-social-network-millennials-preferiscono-instagram-facebook)].

 

La vignetta de “Il Superuovo” chiama esplicitamente in causa anche i No Vax che, non di rado, sono anche dei cospirazionisti. Questa correlazione tra antivaccinismo e cospirazionismo è stata oggetto di un interessante studio pubblicato nel 2018 dalla American Psychological Association  (i cui risultati complessivi potete trovare esposti a questo link: http://www.psychiatryonline.it/node/7923) che ha messo in luce come L’attitudine e la posizione fortemente anti-vaccinista era più alta tanto quanto erano più alti i pensieri conspirazionisti”.

Anche la scelta de “Il Superuovo” di polemizzare contro gli anti-vax e, contestualmente, contro i cinquantenni è motivata. Su Facebook, un ragazzo condivide il contenuto di un articolo de “Il Fatto Quotidiano” del 27 luglio 2017 (link: https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07/27/no-vax-brava-gente/3755506/). Nel pezzo, viene fornito uno stralcio tratto da libro “Chi ha paura dei vaccini?” di Andrea Grignolio, docente di storia della medicina alla Sapienza di Roma.

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Il prof. Grigolo individua una specifica fascia sociale particolarmente attiva sul fronte anti-vax (“genitori quarantenni di livello culturale medio-alto ed economicamente benestanti”) e, soprattutto, spiega la cause del fenomeno: la tendenza ad affidarsi completamente alle risorse informative della rete senza saper e poter discernere tra fonti. Queste le sue parole: “I genitori che hanno paura dei vaccini sono dei quarantenni che hanno un livello culturale medio alto e sono economicamente benestanti. Le ricerche neuropsicologiche ci dicono che questo genere di persone ha un’alta percezione del rischio perché ha gli strumenti cognitivi per andare su internet e leggere tutte le informazioni, per lo più sbagliate, che la rete riporta e quindi sono le uniche che si espongono paradossalmente al carico informativo eccessivo, contraddittorio e carico di rischi che la rete riporta sul tema dei vaccini”.

E – al di là dei dati forniti dal prof. Grigolo – l’impressione che proprio i quarantenni, nell’intento di essere cittadini informati, facciano un uso scriteriato della rete rischiando di cadere nella disinformazione, è particolarmente avvertita da questa utente.

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Sul web – a proposito del fenomeno “complottisti” – hanno trovato dilaganti condivisioni le meravigliose esibizioni di Maurizio Crozza nei panni di Napalm 51 (nickname decisamente efficace), uno dei più spassosi personaggi del bestiario di Crozza. Maurizio Crozza interpreta un tipo umano che, nella fauna dell’ecosistema virtuale, trova sempre il modo di creare scompiglio: l’hater. Si tratta di soggetti che si distinguono per le loro compulsive manifestazioni di odio, per la loro inclinazione verso l’insulto, la calunnia, l’inaugurazione di campagne virali di disprezzo combattute a colpi di hashtag. Quello che più colpisce del personaggio creato da Crozza è la scelta di dare all’hater una precisa e inconfondibile caratterizzazione: Napalm 51 ha le stesse fattezze, lo stesso abbigliamento, lo stesso modo di esprimersi dell’indimenticabile Walter Sobchak, l’amico scomodo di Drugo nel film capolavoro dei fratelli Coen, “The Big Lebowski”.

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Walter era il prodotto del (riuscitissimo) tentativo dei fratelli Coen di portare al cinema un’immagine caricaturale e divertente (ma con un retrogusto amaro, come sempre accade nei film dei Coen) del veterano del Vietnam. Walter diventava – con il suo culto per l’autorità, i suoi accessi d’ira incontenibili, la sua presunzione e granitica certezza di avere sempre ragione – il simbolo di un’intera generazione segnata irrimediabilmente da un’esperienza capace di trasformare persino una semplice partita di bowling in uno scontro cruento. Quella generazione – nel tempo in cui è ambientato il film dei Coen – era una generazione oscillante tra i 40 e i 50 anni. Walter è nato nel 1945: nel 1991 (l’anno in cui avvengono le avventure del Drugo) ha 46 anni. Il ritratto che i Coen fornivano di una precisa e consistente fetta di statunitensi era, insomma, spassosissimo anche se (o, proprio perché)  impietoso: persone cariche di rabbia, perennemente insoddisfatte, ansiose di riversare il loro livore su qualche bersaglio esterno, incapaci di comprendere le ragioni storiche del loro malessere. Walter trascina la sua esistenza entro le mura di una pista da bowling, una sorta di terra di nessuno fuori dal tempo e dalla storia in cui dare sfogo alla propria frustrazione sfidando, in accanite partite, i propri avversari.

Crozza prende quella figura di quarantaseienne incattivito e la ricontestualizza, le conferisce le sfaccettature di un moderno hater. Come i quaranta-cinquantenni reduci del Vietnam, anche Napalm 51 prova un continuo malumore e, se Walter riversava quel malumore nello spazio rassicurante di una pista da bowling, Napalm lo riversa online, uno spazio egualmente rassicurante dove ognuno può dire la propria. Napalm – che viene ancora in casa della povera madre/serva – è continuamente connesso, si impegna a condividere notizie false (che, ovviamente, ritiene attendibili), scrive commenti velenosi, si abbandona a deliri e manie di persecuzione. Anche Napalm, come Walter, è incapace di coltivare la razionalità, non comprende i fatti e la storia perché si alimenta abitualmente di arzigogolate dietrologie, crede ciecamente nelle “verità” dispensate dal suo idolo: il divulgatore John Gambardine (una specie di parodia di personaggi come Adam Kadmon), impegnato a rivelare grandi complotti mondiali (link al video in cui Napalm illustra alcune scioccanti inchieste di Gambardine: https://www.youtube.com/watch?v=Aw88IdYwU_k). Non solo Napalm è un complottista, ma i complotti in cui crede – in qualche modo – gli servono a sopravvivere, ad autoscagiornarsi dai propri fallimenti e dalla propria inerzia: non dona il sangue perché glielo impedisce la lobby del BigPharma; non riesce ad aiutare gli “angeli del fango” quando Genova è colpita da un’alluvione per colpa della lobby dei tabaccai (link al video: https://www.youtube.com/watch?v=fweUzAkFi9E). Crozza, con la sua consueta genialità, trova una sorta di punto di tangenza tra i quarantenni-cinquantenni degli anni ‘90 e i quarantenni-cinquantenni dell’era iper-tecnologica, avvicina quelle due generazioni, descrive i nuovi quarantenni servendosi di una figura iconica dei vecchi quarantenni.

 

Culto acritico della personalità: la ciurma e il suo capitano

L’inclinazione a sospendere il ragionamento critico, la mancanza di equilibrio e onestà intellettuale che sono i maggiori difetti di Napalm 51 (così come accadeva per Walter Sobchak), sono punti critici della fenomenologia quarantenne che trovano modo di manifestarsi, nelle loro forme più palesi, su un fronte verso il quale i giovani hanno ingaggiato una scontro senza esclusione di colpi: il culto delle personalità.

Spesso gli eroi da innalzare sono i politici super-star del momento, verso cui il “quarantenne medio” nutre una devozione assoluta che si palesa in forme di smaccata adulazione. Per capire come – nel concreto – questa tendenza si esplichi, partiamo da due un video, ricavati entrambi da una pagina Facebook rivolta a un pubblico quarantenne. Intorno a questi video, cercheremo di mettere in luce due dati:

 

1) il tipo di utenza che li ha accolti entusiasticamente (che, vedremo, risponde all’identikit del quarantenne)

2) la reazione che questi stessi prodotti hanno suscitato al di fuori dell’ambiente quarantenne, in un contesto frequentato da un altro tipo di utenza (per lo più composta di giovani).

Questi video, innanzitutto – come detto nella premessa – sono stati realizzati da una pagina che sembra proporre contenuti a orientamento fortemente quarantenne. Si tratta di “Un fiore per te” (link: https://www.facebook.com/pg/unfioreperteofficial/posts/?ref=page_internal), un ricettacolo di buongiornissimi, creazioni grafiche discutibili, tazzine di caffè, figurine di santi.

Ma andiamo subito al nostro primo oggetto di studio (link:

https://www.facebook.com/unfioreperteofficial/videos/1352518321547326/?v=1352518321547326) Un video realizzato all’indomani del costituirsi dell’esecutivo Lega-Movimento 5 Stelle, che – nell’ottica dell’abile cineasta – diventa una specie di coalizione di supereroi chiamata a salvare l’Italia.  Un patriottismo facile permea questo panegirico audiovisivo che – sulle note di Mameli – celebra i campioni del nuovo governo, passati il rassegna in una sequenza iniziale di santini ex-voto. Segue una sferzata rivolta al PD rosicone, il cui logo è – con audace umorismo – accompagnato dall’immagine di un castoro che rosicchia un ceppo e da emoji beffarde.  Se la critica agli avversari – lungi dall’essere sostenuta da un ragionamento solido e da argomentazioni meditate – si risolve in una specie di banale battutina, altrettanto superficiale si rivela la lode dei vincitori. I vincitori sono mostrati sorridenti e in pose trionfanti, le loro immagini scorrono sullo schermo, circondate di cuoricini,  e – per la foto di Di Maio e di Di Battista – ai cuoricini, in sovrimpressione, si aggiunge – con una scelta registica sagace – anche uno stuolo di stelline.  Un viale alberato – che si tinge degli stessi della bandiera italiana: verde, bianco, rosso – chiude l’apologia dell’invincibile Justice League. Davvero un video del genere può suscitare una sincera commozione? Davvero i quarantenni accolgono con serietà contenuti del genere? Scopriamolo esplorando i commenti sottostanti. I profili da cui partono questi commenti, ci immettono subito in un range d’età significativo.

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Ma, quando questo stesso video approda a un’altra pagina che ha una base di followers completamente diversa, costituita tendenzialmente di giovani, le reazioni cambiano: non solo il video diventa oggetto di incontenibile ironia, ma viene anche ricondotto ai gusti di un pubblico quarantenne.

Il video viene condiviso da “IntrashTtenimento 2.0” (link: https://www.facebook.com/IntrashTtenimento2.0/videos/2226369384264756/) che – in maniera piuttosto disimpegnata, per il semplice desiderio di ridere e far ridere – segnala e divulga i capolavori trash del ventunesimo secolo: video, post, immagini, personaggi, fenomeni mediatici che si distinguono per il cattivo gusto di cui sono depositari. Un video trash come quello di “Un fiore per te” non poteva sfuggire al radar superpreciso della pagina che, infatti, segnala ai suoi seguaci il grande pezzo registico e le reazioni sono immediate. Specialmente i giovani – dinnanzi a un così smaccato atto cortigiano e al cattivo gusto con cui è stato confezionato – non possono fare a meno di sganasciarsi dalle ristate e soprattutto di notare l’alta quarantennite del video. In molti di questi commenti, per altro, troviamo anche quell’immancabile slang parodistico della comunicazione quarantenne che ormai conosciamo.

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L’altro smodato omaggio che “Un fiore per te” offre, in proscinesi, è – più nello specifico – indirizzato a Matteo Salvini che, per il suo genetliaco, riceve dei calorosi auguri (link: https://www.facebook.com/watch/?v=1347795928686232)

Sulle note di “Ci sarà” di Al Bano e Romina, la nostra pagina quarantenne – mentre scorrono le immagini di un capitano sorridente travolto dagli immancabili cuoricini – sogna una storia d’amore e un mondo migliore, un azzurro più intenso e un cielo più immenso, la tua ombra al mio fianco vestita di bianco, anche un modo più umano per dirsi ti amo di più”. Di nuovo, torna la domanda: può questa perla trash suscitare applausi ed approvazioni e da parte di chi? Consueta ricognizione dei commenti, e consueti risultati (con, in più, la constatazione del fatto che – sotto questo capolavoro – si sono accalcate, per lasciare i loro complimenti, quasi esclusivamente delle estatiche signore)

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È spassosissimo notare che, per questo video, tra i commenti si notano alcune incursioni di ragazzi oscillanti tra l’imbarazzo e il desiderio di ridere a crepapelle:

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E, in cavalleria, arriva a dare man forte a questa gioventù un signore (in tutti i sensi) che sembra voler redimere un’intera generazione:

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Lo stesso video approda, di nuovo, su “IntrashTtenimento 2.0” e leggere i commenti che è riuscito a scatenare presso dei giovani spettatori, non ha prezzo (link: https://www.facebook.com/watch/?v=2248705758697785)

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Un altro ritrovo virtuale in cui è all’ordine del giorno la riflessione relativa alle abitudini dei quarantenni online anzi – in prospettiva più ambiziosa – “degli anziani online” è una pagina che non potrebbe portare un nome più esplicativo: “gruppo nel quale facciamo finta di essere anziani” (link:  https://www.facebook.com/groups/2387310758015821/).

Si tratta di giovani internauti che praticamente usano uno spazio comune per mettere in piedi una grande mascherata: partecipano a uno speciale carnevale, e si comportano come si comporterebbe “un anziano” alle prese con internet. Le parole con cui il gruppo si presenta meritano di essere incorniciate:

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Una delle gag che i giullari della pagina amano più spesso mettere in scena è proprio quella dell’anziano che manifesta tutta la propria stima verso il proprio idolo. Inutile dire che – negli ultimi tempi – Matteo Salvini pare essere costantemente presente negli encomi degli anziani (o, almeno, degli anziani così come se li immaginano i giovani del “gruppo nel quale facciamo finta di essere anziani”)

Vediamo, per portare un esempio concreto, una gag da manuale. Una ragazza scrive per Salvini un bell’elogio e lo scrive come lo scriverebbe un’ipotetica anziana. Troviamo, per l’ennesima volta, il linguaggio da iniziati cui ormai siamo abituati: segni di interpunzione usati in maniera “creativa”, grafie deformate (“ke”, “kani”), parole straniere spregiativamente alterate “kepap”, “susci”.  Il contenuto del post parodistico più che una deformazione della realtà, pare (ahimè!) lo specchio fedele di una certa realtà e di un certo fan club di Salvini: sciovinismo (anche culinario), denigrazione dell’avversario basata su debolissime argomentazioni (“PD che vanno ai kepap e susci e mangiano i kani”).

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Sotto il post, gli altri giullari del gruppo (che sono, ripetiamo, ragazzi) si divertono “a fare gli anziani” e reggono il gioco della loro amica.  Seleziono solo alcuni commenti gustosi:

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Ma la domanda è d’uopo: questi giovani scapestrati stanno parodiando qualcosa che nella realtà esiste? Cioè, davvero “gli anziani” sono una fan-base tipica di Matteo Salvini? Una mera ricerca empirica non può dare una risposta definitiva alla domanda ma, se non altro, può suggerire una linea tendenza. Se andiamo sulla pagina ufficiale di Salvini e, precisamente, al post da cui la nostra “anziana” ha estrapolato la foto su cui ha costruito la sua parodia (link: https://www.facebook.com/salviniofficial/photos/a.10151670912208155/10156736305553155/?type=3&theater), possiamo esaminare i commenti e vedere se – effettivamente – tra i supporters, la presenza di profili indubitabilmente riconducibili alla fascia d’età che ci interessa è tale da non poter passare inosservata. Un buon numero di profili, effettivamente, sembra riferibile a una quella fascia d’età critica. Eccone alcuni:

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Come è possibile rilevare immediatamente, a un politico che incentiva forme di comunicazione superficiali e non impegnative, rispondono utenti che comunicano in modo superficiale e non impegnativo: una sfilza di saluti, abbracci, buon appetito, attento a non mangiare troppo.

Pensandoci bene, Salvini – tra i politici del Bel Paese – è forse quello che più ha basato la sua comunicazione online su un repertorio “da quarantenne”. Una incredibile quantità dei suoi post non sfigurerebbe affatto su “Il proliferare delle immagini di merda sulle bacheche dei quarantenni” o su qualunque altra pagina volta a fare ironia sul tema “quarantenni e internet”. Salvini è davvero un quarantenne, conosce ciò che piace a un certo pubblico e si muove agilmente nell’abito di quei contenuti (che sono gli stessi contenuti intorno a cui sono nate le prime accezioni connotative del temine “quarantenne”). La comunicazione social di Matteo Salvini è, in larga misura, costituita di buongiornissimi; bacioni; foto di colazioni/pranzi/merende/cene; auguri per tale festa; stasera cosa vedete in tv?; foto con simpatici animaletti…

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Ma non crediate che Salvini sia il solo ad aver “quarantennizzato” la propria immagine sui social. Piuttosto, questo stile pare essere un filo rosso che avvince e accomuna molti politici del bel Paese, di ogni orientamento: si registra l’intenzione di ricercare con l’elettorato un dialogo che spesso mira a toccarne le corde emotive, a ispirare un’immediata simpatia e che, inoltre, risulta persino svuotato di contenuti politici, verte tutto su una non-comunicazione che non crea contraddittorio perché, semplicemente, non propone argomenti. Uno potrebbe fare una battuta del tipo: meglio che si dedichino ai buongiornissimi, perché quando si dedicano alla politica è peggio.

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Per chiarire, forse nella maniera più incisiva come, presso le nuove generazioni, risultino risibili tanto le celebrazioni altisonanti di qualche eroe redentore quanto le forme ci comunicazioni semplificatorie, fatte di luoghi comuni, di assenza di contraddittorio, vogliamo  – a conclusione di questa sezione – proporre un caso attualissimo che ha suscitato, nel mondo dei ragazzi, un’ondata travolgente di bocciature, completamente impreviste da chi ha messo in moto quello che doveva essere il fenomeno televisivo dell’anno (e, per molti versi, lo è stato). Una campagna promozionale pressante ha accompagnato l’approdo di “Adrian” su Canale 5, rete ammiraglia di Mediaset. Intorno a quella che è stata presentata come, “la serie evento” si è consumato un vero e proprio scontro generazionale che ha assunto due forme strettamente interdipendenti: 1) La crisi degli eroi del passato; 2) La crisi dei media del passato.

A precipitare dal trono è stato Adriano Celentano (classe 1938) che – probabilmente senza neanche accorgersene – con il suo “Adrian” è diventato simbolo di una generazione ormai incapace di dialogare con i giovani e destinata a sprofondare nel ridicolo quanto cerca di farlo. “Adrian” voleva chiaramente stabilire un contatto con le nuove generazioni, realizzare il miracolo di un idolo delle folle senza tempo e ancora in grado di fare presa sui ragazzi. La confezione stessa di “Adrian” era allettante e anche piuttosto insolita, se rapportata ai contenuti tipici della tv generalista: una serie che strizzava l’occhio agli anime giapponesi e – fin dalle prime pubblicità – esibiva indiavolate scene d’azione immerse in atmosfere distopiche. È evidente come, nella mente di Adriano Celentano, un prodotto del genere fosse concepito per essere fruito, più che dai fan fedeli dei tempi d’oro, da un pubblico moderno che ormai trova nelle nella serialità una delle sue forme d’intrattenimento preferite. E lo stesso Celentano, nel corso della terza puntata del suo show, dinnanzi al problema dei dati auditel sempre più deludenti, fece un esplicito riferimento allo spettatore prescelto come speciale destinatario sua serie messianica, quello spettatore sarebbe dovuto essere “un ragazzo ribelle”: “Padre, confesso i miei peccati: voglio sabotare l’audience per altre sei volte, fino a quando dei 6 milioni della prima puntata non ne sarà rimasto uno soltanto, è lui quello che cerco, perché non gliene importa se canto o ballo. È lui che salverà il mondo”.

Indubbiamente, quello che si autoproclamava “il re degli ignoranti” è stato abilissimo a captare un orientamento e ha tentato di cavalcare la cresta dell’onda, ma l’esecuzione del proposito, più che suscitare l’apprezzamento di quel “ragazzo ribelle” rimasto davanti alla televisione, lo ha fatto ridere di cuore. E, tra l’altro, quel ragazzo non è sempre rimasto incollato alla televisione: mentre guardava “Adrian”, aveva sottomano il suo smartphone o il suo tablet per poter seguire, contemporaneamente, lo stillicidio di parodie e di memes, di post e hashtag spiritosi che su internet hanno accompagnato, praticamente per ogni secondo, la messa in onda di “Adrian”.  Sempre sul web, dunque, i ragazzi hanno imbracciato le loro armi.

Due giovani youtubers “Victorlaszlo88” (appassionato di cinema e seralità: https://www.youtube.com/user/victorlaszlo88) e “DarkAndross” (consumato videogiocatore: https://www.youtube.com/channel/UCoRqn-0VCLk7ZtFHmZnoV8A), hanno seguito in diretta su “Twitch” – una piattaforma di livestreaming in velocissima espansione – puntata dopo puntata, lo show di Celentano. Ed è stato bellissimo assistere al cortocircuito che, proprio in quelle dirette, si è innescato tra il (confuso) contenuto ideologico che “Adrian” avrebbe voluto veicolare e le reazioni dei suoi giovani spettatori. La chat di Twitch è stata in continua effervescenza: impossibile trattenere le risate e l’imbarazzo (“cringe” è stata la parola d’ordine) dinanzi al tripudio di e(/o)rrori in cui è sprofondata la serie di Celentano: frames grotteschi; animazioni legnose; Napoli futuristiche dominate dalla “Mafia International”; cattivi che si chiamano “Dranghenstein”; svizzeri che fabbricano orologi e che parlano con un accento francese stereotipato; forme di sessimo e di razzismo involontario; figure femminili costantemente bisognose della protezione dell’uomo forte; colpevolizzazione delle vittime di stupro che dovrebbero fare attenzione a non ubriacarsi e a non andare in giro da sole nel cuore della notte; uomini di origini africane che parlano in un italiano stentato e goffo. La smaccata autoreferenzialità di “Adrian”, i suoi preconcetti travestiti da (e sinceramente sentiti come) grandi conquiste valoriali di un uomo fuori dal comune sono stati gli ingredienti di un disastro diventato subito virale. Su Facebook, ha seguito “Adrian” – commentandone, scena esilarante dopo scena esilarante, le puntate – “MightyPirate88” (il temibile recensore: https://www.facebook.com/MightyPirateProject/) che, in uno dei suoi tanti post, nel momento in cui Adriano Celentano finalmente entra in scena, riesce a scorgere le reazioni della fan-base media del molleggiato mentre un follower riporta le parole realmente pronunciate, nel corso dello spettacolo, da un attempato signore che, alla vista del suo eroe, ha proprio urlato: “ti amo più di mia moglie”.

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Egualmente incontenibile la pioggia di memes che si è scatenata fin dalla prima puntata di “Adrian”. Sempre sul pezzo il maestro “Il Cirox” (https://www.facebook.com/pages/category/Video-Creator/IlCirox-831783793584191/): tra le sue creazioni, ne segnaliamo una delle più amate: prendendo in giro le animazioni scadenti della serie evento, “Il Cirox” suggerisce che siano state disegnate con Paint.

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 “Adrian Shitposting” (link: https://www.facebook.com/adriantheshitposting/) – tra le pagine più stakanoviste sul fronte della diffusione di meme su “Adrian” – immagina un pensieroso Wolverine che osserva la foto di un eroe più grande di lui: proprio Adrian, colto in uno dei frame più buffi della serie

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I nerd di “DR COMMODORE” (link: https://www.facebook.com/drcommodore/) hanno realizzato un crossover in cui Adrian, sempre col suo sorriso contagioso, sostituisce Marty McFly e, dinnanzi alla platea perplessa, profetizza un futuro ancora più roseo per la sua serie evento.

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Su Twitter, c’è chi si perde nelle scatole cinesi dell’autoesaltazione che Celentano costruisce su se stesso…

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… e chi resta allibito davanti ai messaggi che coglie nel corso della visione.

 

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Insomma, un fenomeno tutto da studiare che ha dimostrato tante cose. Quei contenuti che hanno consentito ad un “influencer ante litteram” (così si esprime un magnifico Wesa, il filosofo di Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=CLAN9md8doc) come Adriano Celentano di trascinare intere generazioni di appassionati, ormai non funzionano più e vengono recepiti come trash dai ragazzi. “Adrian”, sostanzialmente, ha riproposto le fumose velleità su cui “il molleggiato” ha fondato un’intera carriera: generiche invettive contro dei poteri forti non meglio identificati, la fantasia del ritorno al passato felice di una mitica “via Gluck”, lo spazio verde sommerso dal reticolato della città in cui si vive male e – parole di Celentano – “nascon i bimbi che han già le rughe”,  già invecchiati dalla realtà cupa in cui sono intrappolati.

Ma “Adrian” ha dimostrato non solo il tramonto del Celentano “ideologo”, ha contestualmente rivelato anche una certa obsolescenza della TV generalista, che pare ormai un media sclerotizzato, incapace di intercettare le istanze del pubblico attuale (un po’ di dati della stagione televisiva 2016 che testimoniano la fuga dei giovani dai canali televisivi “tradizionali”: https://www.ilmiogiornale.net/ascolti-tv-ragazzi-fuggono/). Un colosso come Mediaset ha ritenuto una buona idea mandare in onda in prima serata – sulla sua rete principale – un prodotto come “Adrian”, immaginando che avrebbe potuto catturare tanti spettatori. Sarebbe bastato valutare le reazioni infastidite e canzonatorie che anche solo le pubblicità casiniste di “Adrian” avevano suscitato, per prevedere un disastro annunciato. Invece, non solo gli ascolti sono calati a picco, ma la cosa più esilarante di “Adrian” è che, se non è stato affatto un successo televisivo, è stato sicuramente un successo (trash) su internet e questo, la televisione, non solo non lo ha riconosciuto, ma si è persino servita di internet per fare pubblicità alla serie.

Su “Sport Mediaset” – il 23 gennaio di quest’anno – Italia 1 manda in onda una carrellata di reazioni (opportunamente ritagliate) dei vari youtubers che hanno visto “Adrian” in modo tale da farle sembrare recensioni positive e, per di più, lo fa in maniera del tutto ineducata, senza riconoscere alcun diritto di copyright a tutti quei creatori di contenuti originali che hanno trovato il loro lavoro snaturato e piegato a una pubblicità senza mai aver espresso alcun consenso. Sulla vicenda, ecco un articolo: https://youtubebites.altervista.org/%EF%BB%BFgli-youtubers-amano-adrian-la-grande-bugia-della-televisione/?doing_wp_cron=1568311107.7908248901367187500000 e, tra tutte le reazioni degli youtubers, proponiamo quella sconvolta e sopra le righe del sempre sopra le righe GioPizzi: https://www.youtube.com/watch?v=YEahCZceB9Y.

 

Conclusioni provvisorie: il quarantenne che c’è in ogni ventenne, il ventenne che c’è stato in ogni quarantenne

Ormai, arrivati a questo punto, abbiamo capito meglio cosa significhi – nella prospettiva dei giovani – essere un quarantenne o, almeno, essere un quarantenne online. E lo abbiamo fatto imbattendoci ora nell’ironia, ora nella serietà, ora nel sarcasmo, ora nella polemica risentita. Ma – alla fine di questo viaggio – è giusto lasciare spazio a qualcos’altro è giusto trovare posto, tra le pieghe della critica, anche per una sincera indulgenza. Bisogna capire che quella GenX, spesso fustigata dai giovani come me, ha comunque portato le sue croci e le sue rabbie, le sue delusioni inguaribili e – anche se questo groviglio di sentimenti amari, in certi contesti, può disciogliersi in comportamenti discriminatori, irrazionali, prepotenti – forse i quaranta/cinquantenni meritano un po’ del nostro perdono o, se non altro, del nostro sforzo di capirli.

In un articolo proposto da “Il Fatto Quotidiano” (link: https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/11/22/quarantenni-la-generazione-incompiuta/3991765/) Enrica Vecchione tenta di esprimere i dispiaceri della propria generazione, parla con la tristezza di una donna che sente di far parte di un’umanità “incompiuta”. La Vecchione ripercorre – brevemente ma in maniera incisiva – la parabola di una generazione ritrovatasi priva di certezze e di punti di riferimento. La GenX ha vissuto il trauma di una frattura insanabile tra un’età giovanile ancora impregnata di uno “spirito identitario” che è andato sfarinandosi nel momento dell’impatto con una realtà che “ha lasciato un vuoto politico oltre a un senso di incompiutezza e abulia”. La GenX non è solo quella realtà che sul web tende a mostrarsi un po’ sguaiata, un po’ ingenua, un po’ caciarona e che diverte e imbarazza i ragazzi è anche una realtà che ha conosciuto una crisi: non ha trovato più forze politiche in cui rispecchiarsi, si è vista affogare nel gorgo di un precariato senza fine, si è affannata ad acquisire competenze ed esperienze solo per poi dover constatare che  “ai vertici, gli stessi ultra settantenni, conservano con ingordigia e ostinazione gli incarichi che avevano promesso a noi.” Insomma, anche  i quarantenni sono stati giovani e anche i quarantenni hanno dovuto gestire l’eredità di una precedente generazione colpevole.

In tempo di incertezze, forse, dobbiamo sforzarci di tenere presente un’unica cosa certa: che i quarantenni di oggi sono stati giovani e hanno provato rancore, frustrazione, sentimenti d’impotenza dinanzi agli adulti e che noi, giovani di oggi, che adesso proviamo rancore, frustrazione, sentimenti d’impotenza dinanzi agli adulti, saremo dei quarantenni. I quarantenni devono capire che il mondo che stiamo ricevendo da loro non ci piace, è ancora saturo di ingiustizie, diseguaglianze, una crisi climatica e umanitaria immane (e le due cose sono strettamente intrecciate) pende come un’ipoteca spaventosa sul futuro con cui noi ragazzi dovremo fare i conti. E, quindi, la gioventù ha tutto il diritto di prendersela con quelli che le stanno consegnando un disastro terribile da dover gestire.

Noi giovani, però, dobbiamo superare la rabbia, dobbiamo tentare di muoverci in due direzioni: 1) tentare, per quanto possibile, di accostarci alla generazione dei nostri padri e delle nostre madri non solo in modo critico, ma anche in modo comprensivo; 2) cercare di capire per quali motivi la nostra visione del mondo sembra spesso così incompatibile con quella dei grandi. E – dopo aver capito, o almeno intuito, i motivi di quella discrepanza – dobbiamo evitare di cadere nell’errore più grande commesso dai nostri padri e dalle nostre madri: rassegnarci alla bruttura. Ogni nostro sforzo, piccolo o grande, proteso verso il mondo che vorremmo sarà un motivo in più per cui, quando saremo noi i quarantenni, i nostri figli ci potranno accordare una qualche indulgenza. E chissà come saremo noi, ma soprattutto chissà come saranno i giovani quando noi Millennials saremo adulti, chissà cosa diranno di noi e come ci vedranno.

Con alcune amiche, ho spesso  tentato di immaginarmelo quel futuro. In una commentata su Facebook che, a un certo punto, aveva preso la piega di una chat privata, ho subito percepito un rischio di “quarantennite” in agguato e, subito dopo, mi sono immaginata un mondo in cui i noi – Millennials ormai cresciuti – verremo presi in giro per la moda dei memes allo stesso modo in cui noi oggi noi ridiamo delle “immagini dei Kafféé, mugsy e corto maltese” degli attuali quarantenni.

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E, in un’altra occasione, quando la mia amica Giorgia esprimeva nostalgia per MSN – che, ai tempi della nostra preadolescenza, era un baluardo di messaggistica online – io già vagheggiavo una nuova frontiera di quarantennite in cui il “buongiornissimo” sarebbe diventato “buon trillo”. E, immediatamente, la mia amica Jessica – lasciandosi trasportare da quel po’ di spirito quarantenne che c’è in ogni ventenne – riportava alla luce il ricordo dell’LG Tribe, il primo cellulare dotato di tastiera qwerty.

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In fondo, c’è un germe di quarantennite anche in noi ventenni: ricordiamo con sentimenti agrodolci la nostra infanzia, la nostra preadolescenza ed adolescenza. Erano i tempi di MSN; dei primi smartphones; di “Twilight” che usciva al cinema (e forse sarebbe meglio dimenticarlo); dei libri di Federico Moccia che venivano riscoperti e diventavano successi al botteghino (e sarebbe meglio dimenticare anche questo); del Festivalbar; del successo di “Diddle” e di “Onyx”; di “Encarta”; delle prime forme di linguaggio breve, adatto alla stringatezza dei messaggi inviati via cellulare; della nascita di Youtube, di Facebook, di Twitter; dei mondiali del 2006; delle serie televisive che iniziavano a diventare fenomeni di costume capaci di favorire forme di comunicazione profonde e intime tra appassionati.

Noi ventenni pensiamo a quel passato mitico come se fosse lontanissimo e magico e quando, ad esempio, vediamo che oggi quelli ancora più giovani di noi possono facilmente accedere alle loro serie preferite e finire un’intera stagione in un’unica giornata (perché lo streaming è veloce e un elevatissimo di siti e piattaforme lo rendono disponibile) pensiamo a quanto fosse frustrante (e al tempo stesso bellissimo) quel periodo – che noi abbiamo conosciuto nella nostra preadolescenza – in cui ancora lo streaming era lento, i siti per usufruirne pochi e, per vedere online un solo episodio della tua serie preferita, dovevi aspettare tempi biblici.

E sì, lo vedo già quel futuro in cui noi ventenni saremo quaranta/cinquantenni e dovremo pazientemente accettare quello che la gioventù, sempre polemica nei confronti i grandi, ci rimprovererà. Intanto, io cercherò di fare la mia parte, di non lasciare che i miei sogni si rattrappiscano e di credere che noi ventenni, spaventati dall’instabilità di un futuro ancora completamente informe e imprevedibile, ma anche innamorati della varietà del mondo che ha mille identità e mille anime, delle tecnologie, della condivisione, della comunicazione aperta e trasversale, della dinamicità, dell’intrattenimento intelligente, dell’ironia, dei diritti per tutti, riusciremo a combinare qualcosa di buono e a vincere lo spavento.

 

Post scriptum: il guanto di sfida

Sicuramente molti quarantenni, leggendo questo pezzo, avranno la sensazione di aver subito una profonda ingiustizia: non si riconoscono nella tipologia di quarantenni sferzati dagli irriverenti ventenni. È bene precisare che, per forza di cose, il pezzo doveva vertere su un fenomeno generale, sul modo in cui una generazione percepisce e si rapporta ad un’altra, su una macro-tendenza. Ovviamente, tanti quarantenni hanno tutto il diritto di rivendicare tutta la loro differenza rispetto ai tipi umani tratteggiati in questo excursus. Anzi, qualunque esponente della GenX può prendere per le mani questo pezzo e, perché no, replicarvi con un excursus relativo ai modi in cui invece i quarantenni vedono e interpretano i Millennials.

Questo, più che un invito, è un guanto di sfida… noi giovani siamo pronti. Un meme vi seppellirà.

 

NESSUN QUARANTENNE È STATO MALTRATTATO DURANTE LA STESURA DI QUESTO PEZZO

 

 

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Paola Rizzo. Sono nata nel 1997, studio Lettere Moderne presso l’Università degli studi di Messina. Ho la certezza che le discipline umanistiche possano svolgere una fondamentale funzione civilizzatrice anche (e soprattutto) oggi, in un tempo che spesso si rivela disumano. Mi piace ragionare intorno alle lettere e alle arti e andare in cerca dell’uomo attraverso ciò che leggo, osservo, ascolto. Scrivo tenendo sempre a mente le parole di Franco Fortini – “Nulla è sicuro, ma scrivi.” – nella speranza che qualcosa, in questo ombroso ventunesimo secolo, torni ad essere sicuro: almeno la nostra umanità.

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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