IL MONDO COME UN DADO: LAS ENCANTADAS DI DANIEL SAMOILOVICH

Tortugas

I primi scopritori spagnoli chiamarono Encantadas le Galapagos, un arcipelago di origine vulcanica perso nell’Oceano Pacifico a 1000 chilometri dalle coste dell’Ecuador: un luogo ai confini del mondo che non sembrava appartenere a nessuna geografia se non alla propria, incomparabile. Si dice che quelle isole fossero apparse loro avvolte, in lontananza, in uno sfarfallio nebuloso: così da far dubitare della loro stessa natura, confuse come erano nell’aura di un miraggio. E si dice che fu appunto per questo che le chiamarono Encantadas”. Così esordisce Francesco Tarquini, curatore de Las encantadas (Edizioni Fili d’Aquilone, 2019), lungo poema in cinque parti del poeta argentino Daniel Samoilovich.

Lo sguardo esplorativo, scientifico, filosofico di Darwin si intreccia con le futili vicende di una coppia d’oggi, dai nomi onomatopeici Oh e Ah, che nella capitale ecuadoriana ha la fortuna di sbancare alla roulette e pagarsi un biglietto per le mitiche isole. Intreccio bislacco, si direbbe, benchè in ambo i viaggi l’approdo sia carico dapprima di sorpresa e successivamente di domande che, da una parte affondano le radici nell’origine della vita e della sua evoluzione e, dall’altra, nel senso dell’amare.

Il gioco delle casualità è il vero abitante delle isole Galapagos: i tempi e le narrazioni del poema si rotolano e srotolano come le onde del mare, in modo imprevedibile e caotico ma costante. Le stesse vicende sono dettate da un lancio di dadi: lo è ad esempio il viaggio vinto dalla logora coppia (tutto comincia con una fiche, dieci ridicoli/ miserabili centesimi in La roulette che è un flashback dell’Epilogo della terza parte che già annunciava: In fin dei conti/ cosa ci ha qui condotti se non l’otto uscito/ ridicolmente otto volte/ sulla misera roulette d’uno squallido/ hotel di Quito?); sembra esserlo anche la stessa dinamica dell’evoluzione che Darwin cerca di penetrare (Un lancio di dadi: la scimmia; un altro lancio:/ salta in mente alla scimmia farsi uomo;/ un lancio ancora e questa/ stravaganza prende piede) e, in un impressionante crescendo, l’intera esistenza, come si evince leggendo Il mondo è un dado.

La poesia accompagna questo slittamento dal contigente al metafisico e lo fa per mezzo di un’ironia acuta, talvolta a fior di pelle, talaltra più sottile e densa di riferimenti colti, come pure di una tessitura formale oscillante tra caos e riordinamento delle parti, delle voci e dei ritmi. “Un intenso dinamismo – sostiene Tarquini percorre tutto il poema, in un continuo movimento di metamorfosi: che riguarda la primitiva formazione delle isole e gli esseri viventi nel processo dell’evoluzione, ma investe altresì il moto temporale nel suo sfociare da un tempo nell’altro, nel sovrapporsi dell’uno all’altro e nel loro farsi contemporanei. Sottoposto allo stesso dinamismo, lo spazio delle isole si allarga a comprendere lo spazio materiale, fisico, del poema, con le sue figure formate dalla disposizione dei versi e dalla disposizione del singolo frammento sulla pagina. A questa composizione grafica del poema, aspetto integrante della poesia, si associa la manovra sul linguaggio, peraltro fondato su solide strutture metriche la cui cadenza tende ad assestarsi – fuori di ogni schematismo – intorno all’endecasillabo”.

Una serie fortuita di eventi conduce dunque a esiti fortunati che cambieranno la storia del mondo o, parallelamente, la storia privata di due cuori. Questo è certo, ma solo a prima vista perchè, e qui sta lo sguardo sardonico del poeta, sarà forse tutto progresso e felicità ciò che sembra evoluzione? Saremo davvero noi, esseri umani, la saggia summa del ciclo evolutivo? Sarà il ricordo di un viaggio esotico a trasformare una coppia piuttosto qualunquista?

Nel gioco dei salti temporali si innesca la provocazione di Samoilovich che in una poesia-chiave trova questa risposta: Certi animali, è noto/ dopo la transizione da pesci a rettili/ e poi da rettili a mammiferi,/ un bel giorno capirono che errore/ stavano commettendo e si misero in cammino/ per far ritorno al pesce” e, sempre parallelamente, in varie circostante la coppia scopre che tutto si sfalda e alla fine del viaggio resta la stessa sensazione di vivere una vita e una relazione amorosa estenuate, forse anche più di prima. La trasformazione evolutiva della materia vitale non è purtroppo sinonimo di avanzamento e, tra l’utopico, il folle e il giocoso, si auspica un cammino a ritroso nella storia, fino a giungere al punto di partenza, a patto che il lancio dei dadi dia una combinazione meno illusoria.

Lucia Cupertino

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da Daniel Samoilovich, Las encantadas (Edizioni Fili d’Aquilone, 2019), traduzione a cura di Francesco Tarquini.

Sì, stanno tornando, tornano,

un enigma è l’origine di queste isole
che porta la notte e vengono col sogno.
Qualcosa, diciamo, rimasta irrisolta nel passato,
tuttavia è inutile cercare retrospettivamente
cicatrici o indizi di un’angoscia
nelle cale che copre la risacca,
tra il popolo nero delle iguane
sulla costa catatonica:
l’indagine potrebbe,
come un detective disattento, fabbricare false piste
o contraffare quelle vere. Lo stesso fitto velo
che copre ciò-che-deve-essere copre il passato:
se ne ridono gli dei della smania eccessiva
che hanno gli uomini di conoscere il futuro;
ma anche peggio che sopportare il loro scherno
è veder passare la ninfa Asterie, la sola
cui è permesso volare verso la propria infanzia.
Laggiù va, sorvola Sullivan Bay,
sono testuggini quelle macchie scure
accoppiate da ore, le va cullando
il mare turbinoso.


Sí, están volviendo, vuelven,

es sutil el origen de estas islas,
que trae la noche y vienen con el sueño.
Algo que, digamos, hubiera quedado irresuelto en el pasado,
pero es inútil buscar, retrospectivamente,
cicatrices o indicios de angustia
en las calas cubiertas de resaca,
en el pueblo negro de iguanas
sobre la costa catatónica:
la búsqueda podría,
como un detective distraído, fabricar pistas falsas
o adulterar las verdaderas. El mismo velo espeso
que cubre lo-que-ha-de-ser cubre el pasado:
los dioses se ríen de la ansiedad excesiva
que los hombres tienen por conocer el futuro;
y peor aun que soportar su burla
es ver pasar a la ninfa Asterie, la única
a la que es dado volar hacia su infancia.
Allá va, atraviesa Sullivan Bay
y esas manchas oscuras son galápagos
apareados hace horas, los acuna el tumultuoso mar.

Il mondo è come un dado

            che ruota.
E tutto con lui gira:
            l’uomo
diventa angelo, l’angelo
            uomo.
La testa piede, il piede
            testa.
Così girano e girano di qua e di là
            le cose
trasformandosi questa
            in quella,
quella in questa, quel che sta sopra
            in quello che sta sotto
quel che sta sotto in quello che sta sopra;
            conti
del Precambrico non saldati
            diventano
sofferenze di un amore finito,
            l’inquietudine
di una notte al Tropico
            cifra
del tempo irreversibile;
            alla radice
ogni cosa è una sola, e nel trasformarsi
            qualcosa si
riscatta, in qualcosa si ripara
            all’errore
divino di aver separato
            dalle tenebre
la luce, d’aver fatto dell’idea
            la cosa.
Nel cambiamento nascono
            denti,
del cambiamento si nutrono
            angeli,
anche quelli caduti.

El mundo es como un dado

            que rueda.
Y todo gira con él:
            el hombre
se vuelve ángel, el ángel
            hombre.
La cabeza pie, el pie
            cabeza.
Así dan vueltas y vueltas
            las cosas
y se transforman ésta
            en aquella
y aquella en ésta, lo superior
            en inferior
y lo inferior en superior;
            cuentas
no saldadas del Precámbrico
            devienen
penas de un amor concluso,
            la ansiedad
de una noche en el Trópico
            cifra
del tiempo irreversible;
            en la raíz
todo es uno, y en las transformaciones
            algo se
redime, en algo se repara
            el error
divino de haber separado
            de la tiniebla
la luz, haber hecho de la idea
            cosa.
En el cambio nacen
            dientes,
del cambio comen
            ángeles,
caídos inclusive.


Epilogo della prima parte

Mettiamola così:

Darwin, Enea; Roma, la vertigine
dell’evoluzione. Cosa strana
fondare sopra i vinti
            un destino di gloria.

Non importa, qui non serve logica,
soltanto padri, e poi tutto si cambia:
si allungano becchi, zampe, come in sogno,
            cambiano di posto la bocca

con l’ano, le braccia con le ali.
Terremoti recenti, la vita
già sta nascendo, adesso.
            Vediamo: all’inizio

un buco solo basta a soddisfare
i bisogni primari del polipo:
tuttavia da quando i primi vermi
            (flush, splush)

cominciano a strisciare appare logico
che compaia una seconda apertura:
dal polo anteriore l’alimento
            viene catturato,

dal posteriore eliminato quanto
non risulta utilizzabile.
A questa conformazione si perviene
            in due modi,

la prima possibilità è che la bocca
resti tale e che compaia un ano
all’altra estremità dell’intestino
            (il che è molto sensato);

l’altra è che la primitiva bocca
si trasformi in un ano e che compaia
all’altro estremo dell’animale in questione
            una bocca nuova.

Cefalopodi e altri molluschi
adottarono la prima strategia,
pesci, porcospini, e poi l’essere umano,
            la seconda.

Poiché la soluzione che fu scelta
dagli antenati nostri è la più schifosa
ed anche la più assurda,
            è pur bene notare

che anche se non potessimo provare
che si sia rivelata più efficace
perlomeno non sembra che sia stata
            peggiore di altre.

Non sembra, sembra, non sembra,
sembra, non sembra, bocche rosse,
cerchi, ani, bocche imperfette,
            scorie rosse.

Non sembra efficace ma funziona.
Questo sì che è assai strano, questo sì
che è bizzarro, questo è un pandemonio.
            Pane del demonio!


Epílogo de la primera parte

Pongámoslo así:

Darwin, Eneas; Roma, el vértigo
de la evolución. La cosa rara
de basar un destino de gloria
            en los vencidos.

No importa, no precisa lógica,
sólo padres, después se cambia todo:
como en sueños se agrandan picos, patas,
            cambian lugares la boca

con el ano, los brazos con alas.
Terremotos recientes, la vida
está naciendo ya, ahora.
            Veamos: al principio

un solo agujero abastece
todos los requerimientos del pólipo:
pero cuando los primeros gusanos
            (flush, splush)

empiezan a reptar resulta lógico
que aparezca una segunda abertura:
por el polo anterior el alimento
            es capturado,

por el posterior se elimina aquello
que no resulta aprovechable.
Se llega a esta disposición de dos
            maneras,

la primera chance es que la boca
siga siéndolo y aparezca un ano
en la otra extremidad del intestino
            (bien, prolijo);

la otra es que la boca primitiva
se transforme en un ano y aparezca
en la otra punta del bicho en cuestión
            una nueva boca.

Los cefalópodos y otros moluscos
adoptaron la primera estrategia,
peces, erizos, luego el ser humano,
            la segunda.

Siendo la solución que eligieron
nuestros ancestros la más repugnante
y también la más absurda
            cabe notar

que si bien no podríamos probar
que resultara la más eficaz
al menos no parece que haya sido
            peor que otras.

No parece, parece, no parece,
parece, no parece, bocas rojas,
círculos, anos, bocas imperfectas,
            escoria roja.

No parece eficaz, pero funciona.
Esto sí que es bien raro, esto sí
es capricho, esto es pandemonio.
            ¡Pan del demonio!


Porto Baquerizo

Ma come farà la notte a fabbricare
questi petali luminosi, rosati?
Che riserva di luce hanno gli alberi
che scorrono lungo i nostri passi?
Non sanno la geometria, i pellicani, né le stelle
marine contano fino a cinque: e tuttavia ciascuno
vive nella sua forma, in una forma, sul tetto
di una darsena o nel mare profondo.
«Credo d’aver trovato, credo
d’aver
trovato»:
e un mondo di emozioni morali
si schianta di fronte alla scoperta. Da abbastanza meno
d’un milione di anni, vanno e vengono fiches sopra il panno
di un tavolo da gioco, a casaccio
rovistano i fringuelli fra le pietre della spiaggia
adattando il becco all’alimento disponibile.
Le forme mutano sopra un panno, in un sogno,
e nel sogno si aggirano
«oh» e «ah», due minuscole figure che poi saremmo
noi in porti
dai nomi strani: Baquerizo,
Fernandina, Sullivan Bay.


Puerto Baquerizo

¿Pero cómo fabrica la noche
esos pétalos luminosos, rosados?
¿Qué reservas de luz tienen los árboles
que flanquean nuestro paso?
Los pelícanos no saben geometría, las estrellas
de mar no cuentan hasta cinco: cada uno, sin embargo,
vive en su forma, de una forma, sobre el techo
de una dársena o en el fondo del mar.
«Creo haber encontrado, creo
haber
encontrado»:
y un mundo de emociones morales
se derrumba ante el hallazgo. Hace bastante menos
de un millón de años, van y vienen fichas sobre el paño
de una mesa de juego, a oscuras
hurgan los pinzones entre las piedras de la playa
adaptando su pico al alimento disponible.
Las formas mutan en un paño, un sueño,
y en ese sueño ruedan
«oh» y «ah», dos figuritas que vendrían
a ser nosotros en puertos
de nombres raros: Baquerizo,
Fernandina, Sullivan Bay.

Certi animali, è noto

            dopo la transizione da pesci a rettili
e poi da rettili a mammiferi,
            un bel giorno capirono che errore
stavano commettendo e si misero in cammino
            per far ritorno al pesce: il celacanto
fece il percorso intero, la balena
            si ha l’impressione che stia appena cominciando.
Così dunque gli alberi potrebbero
            essere uomini o donne ancor più
progrediti sulla via del ritorno:
            le figure di alberi a braccia
levate, occhi nei nodi,
            bocche nelle fessure, sarebbero
più realistiche di quel che appaiono.
            E Nietzsche, quando dice che l’albero
è la forma più alta della vita
            non farebbe altro che dare un altro giro
di vite all’eterno eccetera.

Es notorio que ciertas alimañas

            tras cambiarse de peces a reptiles
y pasar de reptiles a mamíferos,
            un día comprendieron el error
que estaban cometiendo y emprendieron
            el regreso al pescado: el celacanto
hizo el proceso entero, la ballena
            da la impresión de que recién empieza.
Los árboles entonces podrían ser
            hombres o mujeres que avanzaron
aún más en el camino de regreso:
            los dibujos de árboles con brazos
levantados, y ojos en los nudos,
            y bocas en las grietas, serían
más realistas de lo que parecen.
            Y Nietzsche, cuando dice que el árbol
es la forma más alta de la vida
            no haría otra cosa que darle otra vuelta
de tuerca al eterno etcétera.


Squali

Il mare era pieno
di squali, ma ci buttavamo lo stesso,
io mi ero immerso
non lontano dalla costa e appena udii
sott’acqua grida, grida d’angoscia, tirai fuori
la testa e ti vidi, agitavi le braccia: magnifica passò,
come nei cartoni animati ma più lenta, la pinna
nera, fatale: non sapevo
che fare, passò oltre, ancora ti vedo tra le lenti della maschera
come muovi le braccia, laggiù
vorrei tornare, ma alla ninfa Asterie soltanto
è dato, credo, ritornare al passato, ed anche questo
mi sa che è un’invenzione mia.


Tiburones

El mar estaba lleno
de tiburones, nos metíamos igual, yo buceaba
no lejos de la costa y como bajo el agua oí
gritos, gritos angustiados, asomé la cabeza
y te vi, agitando los brazos: magnífica pasó,
como en los dibujos animados, pero más lenta, la aleta
negra, fatídica: no supe
qué hacer, se fue, te veo todavía mover los brazos
a través de los anteojos de mi máscara, quisiera
volver allí pero sólo a la ninfa Asterie
le es dado, creo, volver al pasado, y aun eso
me parece que fui yo que lo inventé.


Macchie verde scuro, come attraverso

una tenebra sbiadita si intravedono: è questo che io sono,
questa cosa come aggredita dal verderame,
simile a uno scafo sommerso
che un animaletto distruttore abbia reso più pesante
del ferro, e gli abbia poi
inflitto sottilissime ferite, che lo abbia
affondato prima e dopo un po’ alla volta
botanizzato, mineralizzato.
È questo che io sono, è così che mi vedono
in questo pomeriggio o in mezzo al giorno
i tuoi occhi blu, sotto il mare. Se fa oscillare l’acqua
lo scafo immobile, la sfocata figura
della tua fotografia sembrerebbe allora
respirare, vivere. Ma è tutta un’illusione, ed inoltre la foto
andò persa nei traslochi che seguirono
alla, alla mi, alla tu, alla non nostra,
all’infame, a quella, alla
(non c’è verso, amore,
non c’è modo né maniera).


Manchas verdeoscuras, como a través

de una pálida tiniebla se distinguen: ése soy yo,
eso como atacado de verdín, como un casco hundido
al que la broma hubiera puesto más pesado
que el hierro, luego inferido
sutilísimas heridas, hundido y más tarde y poco a poco
botanizado, mineralizado.
Ése soy yo, así me ven en esa tarde o mediodía
bajo el mar tus ojos azules. Si el agua hace oscilar
el casco inmóvil, la abrumada figura
de tu fotografía, entonces pareciera
que respira, vive. Pero es una ilusión, incluso la foto
se perdió en las mudanzas que siguieron
a la, a mi, a tu, a la no-nuestra,
a la pérfida a esa la
(no hay caso, amor,
no hay forma, no hay manera).

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DANIEL SAMOILOVICH nato a Buenos Aires nel 1949, dove vive, è una figura centrale della poesia argentina degli ultimi trentacinque anni, non solo per la rilevanza della sua vasta produzione poetica ma anche per il ruolo svolto dalla rivista “Diario de Poesía”, di cui è cofondatore e che ha diretto dal 1986 al 2011. È traduttore dall’inglese, dal francese e dal latino. Tra gli autori tradotti Shakespeare e Orazio. Ha pubblicato undici libri di poesia, tra i quali: Las Encantadas (Spagna, 2003), El carrito de Eneas (Argentina, 2003), e Molestando a los demonios (Spagna, 2009) pubblicato anche in Italia nel 2011 da Edizioni Fili d’Aquilone (Molestando i dèmoni, a cura di Francesco Tarquini) e in Svezia nel 2017. Diverse le antologie che radunano la sua opera, tra le quali si segnalano: La nuit avant de monter a bord (Canada, 2001), Driven by the wind and drenched to the bone (Inghilterra, 2007), Siete colinas de jade (Messico, 2015) e Rusia es el tema – Obra Reunida 1973-2008 (Argentina, 2015). Ha dato conferenze e diretto seminari sulla poesia in Spagna, Argentina, Venezuela, Cile, Stati Uniti e Brasile.

Immagine di copertina: Mommasmakindough, da Pixabay.

Riguardo il macchinista

Lucia Cupertino

LUCIA CUPERTINO (1986, Polignano a Mare). Scrittrice, antropologa culturale e traduttrice. Laureata in Antropologia culturale ed etnologia (Università di Bologna), ha conseguito un Master in Antropologia delle Americhe (Università Complutense di Madrid) con tesi sulla traduzione di fonti letterarie nahuatl. Vive da tempo tra America latina e Italia, con soggiorni più brevi in Australia, Germania e Spagna, legati a progetti di ricerca, educativi e di agroecologia. Scrive in italiano e spagnolo e ha pubblicato: Mar di Tasman (Isola, Bologna, 2014); Non ha tetto la mia casa - No tiene techo mi casa (Casa de poesía, San José, 2016, in italiano e spagnolo, Premio comunitarismo di Versante Ripido); il libro-origami Cinco poemas de Lucia Cupertino (Los ablucionistas, Città del Messico, 2017). Suoi lavori poetici e di narrativa sono apparsi in riviste e antologie italiane e internazionali. Parte della sua opera è stata tradotta in inglese, cinese, spagnolo, bengali e albanese. È curatrice di 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos (Arcoiris, Salerno, 2016, menzione critica nel Premio di traduzione letteraria Lilec – Università di Bologna); Muovimenti. Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi, Lecce, 2016) e Canodromo di Bárbara Belloc (Fili d’Aquilone, Roma, 2018). Membro della giuria del Premio Trilce 2018, Sydney, in collaborazione con l’Instituto Cervantes. Cofondatrice della web di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com, con la quale promuove iniziative letterarie e culturali in Italia e all’estero.

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