“Il mio cuore sedizioso” di Arundhati Roy (Parte Prima) – Recensione di Maria Zappia

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“Il mio cuore sedizioso” di Arundhati Roy edito da Guanda qualche mese fa raccoglie tutti gli scritti dell’attivista indiana pubblicati in riviste online, blog e carta stampata, negli ultimi venti anni e costituisce un preziosissimo testo per comprendere l’India del nostro tempo. E’ recentissima la presa di posizione della famosa scrittrice sulle nuove leggi sulla cittadinanza approvate dal parlamento nel mese di dicembre e fortemente volute dal premier Narendra Modi. La Roy difatti ha esplicitamente invitato tutti gli indiani a disubbidire alla nuova legge che sostanzialmente mirerebbe ad istituire un “registro nazionale” di tutti i cittadini indiani” – di fatto discriminando le minoranze di religione islamica che vivono nel paese ed i profughi provenienti dalle nazioni vicine. Si tratterebbe, ad avviso della scrittrice di una complessa strategia posta in essere dalla destra nazionalista indù, che strumentalizzando l’integralismo religioso musulmano, tenta di riaffermare il proprio potere, negando di fatto il pluralismo religioso e l’aconfessionalità dello stato voluta Gandhi e dai governi post-coloniali.  Le manifestazioni nelle università e nelle piazze si susseguono e chi protesta appartiene a diverse classi, caste e religioni. Accanto ai musulmani in strada – afferma la Roy- ci sono sikh, cristiani, contadini, accademici, scrittori, operai, avvocati. “Non è soltanto un movimento contro una legge: la gente ha capito che questo è un governo fascista. È stato tolto il tappo a uno scontento che prima non osava manifestarsi per paura». In effetti dall’inizio delle proteste del 16 dicembre 2019 sono più di venti i morti nelle manifestazioni anti- premier secondo la rete satellitare Al Jazeera. I sostenitori del “registro” affermano il carattere “umanitario” del progetto legislativo che tenderebbe a regolamentare l’accoglienza nel paese dei rifugiati provenienti da Bangladesh, Pakistan e Afghanistan, perseguitati dai fondamentalisti islamici in quanto la legge sulla modifica della cittadinanza ( CAA ) approvata all’inizio del mese di dicembre garantisce la cittadinanza a indù, sikh, giainisti, parsi e cristiani provenienti da Pakistan, Afghanistan e Bangladesh, ma non include la naturalizzazione per i musulmani. E proprio l’espressa previsione che la nuova legge non possa trovare applicazione nei riguardi di coloro che professano la religione musulmana ha scatenato le proteste proprio perché la costituzione secolare del paese è minacciata e i tanti musulmani “irregolari” che vivono e lavorano nel paese diventerebbero d’un colpo apolidi o semplicemente cittadini senza diritti. La scrittrice stessa è stata denunciata dai rappresentanti del partito di destra indù al parlamento con richiesta di arresto. Lei stessa definisce la strategia politica di Modi come “hindu first” evidenziando che il registro nazionale dei cittadini, creerà un sistema a più livelli dove alcuni avranno più diritti di altri, è sarà preparatorio alla divisione delle risorse quando la crisi climatica si farà più stringente. Secondo la scrittrice l’avanzare della destra ed il nazionalismo indù sono effettivamente la conseguenza della crisi climatica e le dichiarazioni del premier indiano non faranno altro che fomentare odio e violenza, porre gli uni contro gli altri, in buona sostanza. Il paese per contro non vuole contrasti – afferma la scrittrice-, è un paese di una bellezza estrema, di grande diversità antropologica e linguistica. “ …  la sua saggezza e conoscenza, la sua musica e poesia, il suo paesaggio di culture e religioni” poteva essere di esempio per il resto del mondo. Invece avviene il contrario e nell’intervista rilasciata ad Al Jazeera proprio in questi giorni di proteste, la Roy dichiara apertamente che “Lo smantellamento dell’idea di libertà, fraternità e uguaglianza sarà — e di fatto è già — la prima vittima della crisi climatica”.

Come non condividere le parole della scrittrice che proprio nel libro edito recentemente dall’editore Guanda espone le proprie idee sulla situazione nel paese e sui pericoli per la democrazia mondiale. “Il mio cuore sedizioso” è difatti un’opera lucida che raccoglie scritti elaborate in vari periodi dalla Roy ma aventi una matrice comune: quella di provenire da uno spirito militante e sedizioso, uno spirito non asservito alle ideologie dominanti ma unicamente ai principi dell’etica civile. Così le battaglie di questi giorni della Roy non sono altro che il risultato delle innumerevoli riflessioni riportate nello scritto, delle innumerevoli prese di posizione che l’hanno resa scomoda ai partiti al potere in India. In un capitolo centrale del libro l’autrice scrive:

Noi cittadini indiani sopravviviamo con una regolare dieta di massacri di casta ed esperimenti nucleari, effrazioni nelle moschee e sfilate di moda, incendi di chiese e reti di telefoni cellulari in espansione, lavoro schiavo e rivoluzione digitale, infanticidi di bambine e crollo del Nasdaq, mariti che continuano a bruciare le mogli per la dote e la nostra deliziosa riserva di Miss Mondo. Non intendo dare un semplicistico giudizio di valore a questa peculiare forma di «progresso» suggerendo che il Moderno è Buono e il Tradizionale è Cattivo – o viceversa. Quello a cui è difficile rassegnarsi, dal punto di vista sia personale sia politico, è la sua natura schizofrenica. Ciò si riferisce non solo al dilemma antico/moderno ma alla estrema illogicità di quella che sembra essere l’impresa nazionale più recente. Nella stradina dietro casa mia, ogni sera passo accanto a gruppi di operai emaciati che scavano una trincea per deporvi cavi a fibre ottiche che accelereranno la nostra rivoluzione digitale. Nell’aspro rigore invernale, lavorano al lume di qualche candela. È come se il popolo indiano fosse stato riunito e caricato su due convogli di autocarri (uno grande, enorme e l’altro piccolo piccolo) che si sono risolutamente avviati in due direzioni opposte. Il convoglio piccolo è diretto verso una meta scintillante in un punto quasi in vetta al mondo. L’altro convoglio si liquefa nel buio e scompare. Una rapida panoramica che registrasse la casta, la classe e la religione di chi è salito sull’uno e sull’altro convoglio costituirebbe un’ottima Guida Breve alla Storia dell’India per Pigri. Vivere in India, per alcuni di noi, è come stare sospesi fra due autocarri, ciascuno appartenente a un convoglio diverso, che allontanandosi l’uno dall’altro ci fanno accuratamente a pezzi, non nel corpo, ma emotivamente e intellettualmente.

Naturale, l’India è un microcosmo. Naturale, quel che accade in India accade dovunque. Naturale, se hai voglia di guardare, i paralleli sono facili da trovare. In India, la differenza sta nelle dimensioni, nella grandezza, nell’assoluta vicinanza della disparità. In India, ci vai a sbattere contro con la faccia. Rivolgerle la parola, averci o non averci a che fare, cercare di capirla, insistere a non capirla, o semplicemente sopravviverle – giorno per giorno, o ora per ora – è un’arte in sé. O è un’arte, o una forma di pazzia isolana, volta verso il proprio essere interiore. O tutte e due.

E riguardo all’impegno civile, la Roy rivendica l’essenza libertaria di ogni intellettuale con affermazioni densamente “patriottiche” che suonano anacronistiche per l’Occidente, annoiato e disilluso, e tuttavia provato dalla crisi economica e dai contrasti interni, mentre riteniamo che un’opportuna riflessione sulla funzione universale della cultura sarebbe oltremodo necessaria. Con l’augurio che le parole della scrittrice indiana lascino un segno anche per noi concludiamo proprio con un brano del libro dedicato alla letteratura.

Essere scrittrice in un paese che ha dato al mondo il Mahatma Gandhi, che ha inventato il concetto della resistenza non violenta, e che poi, mezzo secolo dopo, fa seguire a tutto questo esperimenti nucleari è un peso spaventoso. (Anche se non più spaventoso, va detto, che fare lo scrittore negli Stati Uniti, un paese che ha armi nucleari sufficienti a distruggere la Terra diverse volte.) Fare lo scrittore in un paese in cui in nome dello «sviluppo» si impone ai cittadini qualcosa di molto simile a una guerra civile non dichiarata è una responsabilità onerosa. Quando si parla di scrittori e di scritti, uso termini come «onerosa» e «responsabilità» con il cuore pesante e una dose di tristezza non indifferente.”

(…). “La Prima Regola di uno scrittore, per quel che mi concerne, è che Non Esistono Regole. E la Seconda Regola (poiché la Prima Regola è fatta apposta per essere infranta) è che Non Esistono Scuse per l’Arte Brutta. Pittori, scrittori, cantanti, attori, ballerini, gente di cinema, musicisti sono fatti per volare alto, per allargare le frontiere, scrollare i limiti dell’immaginazione umana, far nascere la bellezza dalle cose più inattese, trovare la magia laddove gli altri non hanno mai pensato di guardare. Se limiti la traiettoria del loro volo, se gli appesantisci le ali con i concetti di morale e responsabilità esistenti nella società, se li blocchi con valori preconcetti, sconvolgi ogni loro tentativo.”

 

Immagine in evidenza: Opera grafica di Irene De Mattteis.

 

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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