“Il Mediterraneo come memoria”- recensione di “La questione mediterranea” di Iain Chambers e Marta Cariello (Pina Piccolo)

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Iain Chambers, Marta Cariello

La questione mediterranea

Mondadori Università, 2019

152 pagine

 

Contributo preziosissimo per chi nel 2019 cerchi di dare un senso  al concetto e alla realtà del Mediterraneo, quello che nella descrizione della casa editrice viene definito ”saggio storico” di Iain Chambers e Marta Cariello è in realtà un’esortazione ed un esempio ad andare oltre i limiti dello storicismo e delle strettoie scientifiche del concetto stesso di saggio, per valorizzare e privilegiare la dimensione artistica e di rappresentazione come chiave di comprensione del Mediterraneo. Fin dalle prime pagine si avverte l’urgenza di creare nuovi paradigmi e strumenti in grado di fare emergere mappature e bussole complesse e capaci di mettere in evidenza saperi, esperienze, mondi di vita rimasti finora nell’ombra, occultati dalla visione eurocentrica di questa zona geografica, delle sue storie, delle sue genti, visione che ne delimita in maniera troppo stretta i confini spaziali e temporali, creando false continuità che celano interruzioni, scarti e silenzi rivelatori e isolandole spesso dalla complessità delle reti di rapporti con il resto del mondo. Errore che oggi avrebbe conseguenze ancora più gravi e fuorvianti viste le trasformazioni delle forme di stato nazione e le tendenze alla globalizzazione dell’assetto economico neoliberista a livello mondiale.

In questo libro gli autori ci suggeriscono percorsi per creare, alla luce di inedite cartografie, nuove mappe del Mediterraneo che includano sguardi nuovi su  questioni dibattute da tempo come il cosmopolitismo, l’orientalismo, il rapporto sapere /potere, il concetto di meridione, pur partendo dalle indicazioni preziose di Gramsci, Foucault, Edward Said, Stuart Hall ma integrando sguardi e produzioni artistiche che travalicano la centralità dell’Europa e utilizzando le ricerche e scoperte elaborate da scrittori e scrittrici, studiosi e studiose provenienti  da diversi versanti del Mediterraneo, quali Fatema Mernissi o Assia Djebar. Chambers e  Cariello suggeriscono che  “La narrativa storica e l’inquadratura europea che sembrano impostare i termini per le interpretazioni passate e presenti, da Fernand Braudel a David Abulafia, possono essere interrotte. La teleologia di uno spiegamento nel tempo e nello spazio sotto la bandiera del progresso europeo può essere disfatta e riportata all’interno di un altro insieme di coordinate. Disfacendo l’interpretazione europea è anche possibile proporre voci, corpi e storie che tale spiegazione ha marginalizzato strutturalmente e cercato costantemente di privare di autorità.” (pagina 86). In questo contesto, le bussole utilizzate non solo per i mari ma anche per i deserti dalle popolazioni arabe fungono sia da metafora che da indicazione storica per scavare e trovare genealogie occultate dalla versione univoca della storia fornita dai vincitori.

Diviso in tre parti – I. Mappe; 2, Memorie e archivi; 3. Tempi e luoghi, oltre all’introduzione e alle conclusioni – il libro ci offre una scrittura densa e piena di suggestioni, che incalza chi legge invitandola/o a lasciarsi dietro le costruzioni del Mediterraneo acquisite nel corso degli anni, degli studi, delle rappresentazioni mediatiche.  Particolarmente utile a questa operazione è l’analisi approfondita che si trova nella terza parte del rapporto che intercorre tra Europa e  “il sistema mondo islamico del Trecento [che comprende le componenti berbere, persiane e turche che di solito vengono trascurate], il Mediterraneo Ottomano del Seicento, la sua trasformazione in lago coloniale europeo dell’Ottocento, la costruzione dell’area levantina nel Medio oriente nel XX secolo e infine la geografia neoliberista contemporanea” (pagina 99 ).

Le metafore di cui si avvalgono Iain Chambers e Marta Cariello  affondano le radici nel mondo della letteratura, del cinema, della poesia, dell’archeologia, dell’architettura. Infatti il libro si apre con un’esortazione al lettore di “ pensare con il tuffatore”, cioè  “[…] Un corpo maschile, chiaramente scuro di pelle che sfida la versione europea di Gesù Cristo, la Vergine Maria e gli eroi greci tutti bianchi e ariani; un corpo che duemilacinquecento anni fa discende con grazia attraverso l’aria, fissando gli occhi spalancati sul futuro”. Mettendo in risalto  il valore metaforico di questo  famoso dipinto ritrovato  vicino a Paestum all’interno del coperchio di un sarcofago, quindi destinato all’invisibilità, gli autori ci esortano a intravedere i palinsesti  del Mediterraneo composti insieme sia da chi nel corso dei secoli dimorava nel ‘versante europeo’ sia da chi viveva  in Africa e in l’Asia (e più tardi nel continente americano). Ma non si tratta di colmare lacune con nuove informazioni mancanti o di tracciare l’evoluzione di ibridazioni inteculturali quanto di abituare lo sguardo a complessi palinsesti inediti che danno allo spazio e al tempo scansioni diverse da quelle a cui siamo abituati. Si tratta di leggere tra le pieghe delle storie e imparare a riconoscere gli oggetti inghiottiti, custoditi dal Mediterraneo che sono  poi riaffiorati altrove. E secondo Chambers e Cariello sono proprio la letteratura, la poesia, le arti visive e musicali che ci mettono a disposizione i varchi adatti ad attraversare questi spazi di complessità.

Nella seconda parte del libro, Memorie e Archivi,  c’è l’invito non tanto a parlare di memoria ma piuttosto a  pensare al Mediterraneo come memoria: la memoria dei corpi dei migranti che non arrivano alle sponde dell’Europa (pagina 54). Il mare come corpo fluido che custodisce e che restituisce sempre tutto, portandolo però altrove. Su questa scorta si tratta dunque di costruire archivi necessariamente diversi  da quelli della storiografia ufficiale  pensando alla storia e alle storie  come processi della memoria  individuale e collettiva. E qui scatta l’importanza di un’opera cinematografica come quella di Dagmawi Yimer, Asmat – Nomi (2014), con immagini, voci e suoni  relativi ai migranti africani annegati al largo  Lampedusa nell’ottobre del 2013. Le riflessioni sul ruolo della fotografia  e su come per esempio  quella del bambino siriano Aylan annegato al largo di Moria, quelle dei rifugiati  in cammino sulla rotta balcanica ci interrogano sulla razzializzazione,  la creazione di una presunta ‘emergenza’, il riaffiorare di memorie coloniali rimosse e di  perturbazioni  della memoria che riportano alla Shoah.

Tra le pieghe delle memorie rimosse o sommerse, tra le presenze non censite, accanto alla pescatrice di Procida che pesca perché le piace (pagina 60), o all’antichissima tradizione orale delle donne berbere, studiate da Fatima Sadiqi, (pagine 73) troviamo  le mappe delle 242 poetesse del mondo arabo  e nord africano, anch’esse parte del Mediterranee,  una mappa emergente, “che si fa carta in rilievo, ma in cui i rilievi non indicano dislivelli planimetrici, quanto piuttosto nodi che costituiscono una storia: luoghi che contengono il silenzio sulle poetesse e filosofe nei libri di scuola (almeno in Occidente), ma anche luoghi che, se messi in relazione tra di loro, disegnano un’altra mappa e quindi un altro tempo, molto più confuso. La stessa produzione del sapere (e quindi anche della Storia riconosciuta come tale) è sfidata, cambiata, posta sotto interrogazione da queste altre mappe, questi altri rilievi.” (pagina  72).

E anche la conclusione del libro si affida a immagini di creazione artistica:  con “la suonatrice di oud e cantante palestinese Kamilya Jubran, siamo tirati fuori dal nostro posto. Una moderna musicalità mediterranea, cantata in arabo, ci spinge oltre i limiti del nostro linguaggio sulla soglia di un altro, che frustra e sfida il nostro ragionamento. Oppure, nell’ascolto del Fiore Splendente di Etta Scollo, entriamo in un varco del tempo. Tuttavia le canzoni e i dolorosi sentimenti di questa voce femminile siciliana, basata sui poeti arabo-siciliani dell’XI secolo, non propongono un esercizio di romanticismo o di nostalgia culturale10. La musica è contemporanea, la poesia in traduzione moderna dall’arabo all’italiano offre un ponte sospeso nel suono, che rende prossimi frammenti del passato nella composizione del presente.” (pagina 143).

 

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Iain Chambers è un antropologo, sociologo, storico ed esponente degli Studi Culturali. Membro del gruppo diretto da Stuart Hall all’Università di Birmingham, Chambers è stato uno dei principali esponenti del Centro per gli Studi della Cultura Contemporanea (Centre for Contemporary Cultural Studies). Successivamente si è trasferito in Italia dove insegna “ Studi Culturali e postcoloniali” all’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” ed ha fondato il Centro per gli Studi Postcoloniali e di Genere È autore di numerosi volumi scritti in inglese e in italiano, e tradotti in diverse lingue.

 

Marta Cariello è ricercatrice di Letteratura Inglese presso lUniversità degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli. I suoi principali temi di ricerca sono la letteratura postcoloniale e la scrittura femminile araba anglofona. Il suo volume più recente è Scrivere la distanza. Uno studio sulle geografie della separazione nella scrittura femminile araba anglofona (Liguori, 2012).

 

 

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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