Recensione – I Negativi di Daniele Morgese, Giulio Perrone Editore, 2021
Berlino, 9 Novembre 1989, un luogo e una data che di certo molti riconoscono a colpo d’occhio, impressa con forza nella memoria di ciascuno, dove molte storie hanno inizio e dove passato e presente si fondono per dare forma a qualcosa di nuovo mai visto prima. Gianluca e Martina sono lì, immersi nella Storia, incapaci di comprendere la portata di ciò che accade, si muovono in uno spazio convulso, agitati dalla frenesia di registrare e comprendere ciò che succede intorno a loro. Spettatori e attori di avvenimenti unici e irripetibili, ignari di quanto essi avrebbero influenzato la loro vita e quella di molti altri. Basta una domanda, semplice e diretta ad innescare una catena di reazioni dalla forza irrefrenabile. Tra le pagine de I Negativi, si annidano personaggi che questa storia l’hanno scritta davvero, giornalisti colti da “intuizioni e illuminazioni” come quella di Riccardo Ehrman, il corrispondente dell’Ansa a Berlino Est presente alla conferenza tenuta la sera del 9 novembre 1989, da Günter Schabowski.
I Negativi, pubblicati nel luglio 2021 da Perrone Editore, è la prima fatica letteraria di Daniele Morgese, che esordisce con un romanzo colmo di esperienze collettive e individuali. Il racconto attraversa così momenti densi di Storia: da Berlino 1989, a Bari 1991 fino a giungere a Genova 2001, condensando nella vita dei protagonisti i passaggi più significativi di quegli anni, immortalati dallo sguardo silenzioso di una macchina fotografica. La Storia si rivela però al lettore lentamente, passando non solo attraverso le immagini immortalate da Jean-Luc Auteuil, al secolo Gianluca Auterri, ma si dispiega attraverso le pagine del diario ritrovato da Andrès, il figlio ventenne che non ha mai conosciuto il noto e celebrato padre, per lui soltanto “quel grandissimo figlio di puttana che ha mollato la compagna dopo aver dato alla luce un figlio, per colpa di un ego smisurato rimasto per troppo tempo sotto traccia”.
Così, alla morte di Gianluca, Andrès accompagna la madre Martina a Milano, il luogo in cui il fotografo si era rintanato per anni prima di togliersi la vita. Inizia così il viaggio attraverso i negativi di una storia che Andrès aveva a lungo raccontato a sé stesso, per ordinare e dare senso alla sua esperienza, per dare una spiegazione al suo abbandono.
Se da una parte, però, l’uso di una focalizzazione interna permette al lettore di entrare nell’intimità dei pensieri di Andrès, dall’altra tende ad appiattire la narrazione rallentando il procedere della storia. La narrazione è soggetta al filtro del punto di vista del personaggio, che non può essere del tutto neutro. Il narratore in prima persona è, infatti, talvolta inaffidabile e inattendibile, o perché fraintende ciò che accade o perché volutamente oscura la verità. All’inizio del romanzo Andrès è un ventenne viziato, ricolmo di rabbia e rancore, riluttante all’idea di entrare in contatto con qualsiasi cosa quell’uomo, suo padre, abbia mai realizzato. I suoi pensieri scorrono sulle pagine avvolti in una voce schiacciante che limita lo sguardo, finché si ritrova confuso e inerme di fronte ad una stanza dell’appartamento di Gianluca, tappezzata di foto di un Andrès bambino, immagini scattate da lontano, nell’ombra e nel silenzio.
Le sue certezze crollano, la figura del padre impressa nella sua mente quale artefice del suo abbandono sfuma, lasciando spazio ad una serie di domande che non ha il coraggio di porre alla madre. In cerca della verità comincia a frugare nel passato, si muove silenzioso e furtivo nella notte milanese, fuggendo da Martina l’unica a rappresentare un ponte tra lui e quella figura ignota che fatica a chiamare padre. L’introduzione di un nuovo punto di vista, quello di Gianluca, è affidato alle lettere e al diario lasciato nel suo appartamento. In questo modo Andrès riceve informazioni fino ad allora ignote che minano le fondamenta di una realtà artefatta e inconsistente. Attratto e mosso dal desiderio di conoscere la verità, i pensieri di Andrès si alternano alle pagine del diario ritrovato, in un gioco di alternanza tra tempi e spazi lontani tra loro. Il tempo è, quindi, multiplo, le storie e le voci si intrecciano creando una fusione di esperienze individuali e collettive che decostruiscono la realtà che Andrès ha conosciuto fino ad ora. L’uso di ellissi e analessi sono pertanto congeniali allo sviluppo del rapporto tra i due protagonisti in un continuo scambio di conoscenza. Andrès si approccia alla lettura del diario-confessione scegliendo il momento esatto da cui partire, a svantaggio di una lettura cronologica, inizia proprio da “quel 9 Novembre che ha cambiato tante storie, compresa quella di Jean-Luc”.
Indaga nella vita dei suoi genitori con l’ostinata volontà di trovare nel padre un colpevole, un impostore e un imbroglione, raccogliendo indizi e interrogando persone che crede possano convalidare la sua convinzione. Ma, più legge e più tutto ciò in cui crede viene nuovamente confutato, in una continua alternanza tra vero e non vero.
Stabilisce così una relazione con il defunto padre, più simile a lui di quanto egli stesso immagini, scoprendo il suo essere uomo, troppo spesso oberato da insicurezze e paure. Gianluca sembra offrire al figlio una versione dei fatti nuova ma inaffidabile, un punto di vista che non può essere però né confermato né contraddetto.
Attraverso l’incontro con il padre, Andrès scopre, anche, una nuova versione di sua madre. Martina, la donna che lo ha cresciuto con amore e dedizione, sempre al suo fianco. La donna di cui legge è una creatura affascinante, intelligente e misteriosa, anche lei come Gianluca attanagliata da paure e incertezze. Andrès cerca nella loro relazione un momento di felicità, il punto d’origine di un amore che lo ha generato, convinto che solo così riuscirà a mettere a tacere le continue domande che lo ossessionano. L’idea di una passato felice sembra offrirgli il conforto necessario a superare le sue contraddizioni. Tuttavia però, si scontra ogni volta contra una nuova e inconcludente verità, ritrovandosi nuovamente al punto di partenza. Nemmeno Lorenzo, l’amico d’infanzia di Gianluca rimasto in Puglia a “finire la scuola, lavorare, fidanzarsi”, sembra riuscire a colmare il vuoto di dubbi e incertezze che la lettura di quel diario ha aperto in lui. Lorenzo, alter-ego del padre, mette nuovamente in discussione le conoscenze di Andrès offrendo un nuovo e più distaccato punto di vista. Nel dialogo con l’amico Andrès comprende che non esiste verità alcuna nel complesso mondo delle relazioni umane e che non esiste direzione giusta o sbagliata, ma solo una concatenazione infinita di momenti e attimi. Andrès muta, cambia il suo punto di vista mettendo in discussione sé stesso e tutta la sua conoscenza. Anche Martina, la madre-eroe che nella percezione di Andrès è una figura demiurgica, forza ordinatrice e creatrice, si frantuma e acquista una consistenza reale di donna, artefice del ritrovamento del diario muove le fila del racconto nel silenzio della sua assenza nel tentativo redimere le proprie colpe, consapevole di non poter recuperare il tempo perduto.
In I Negativi Andrès, Martina e Gianluca vivono il dramma dell’incomunicabilità, quell’incapacità di stabilire un rapporto vivo e profondo di conoscenza con sé stessi e con gli altri. Gli spazi si dilatano e creano distanze impossibili da accorciare. Il tempo, tiranno implacabile, sembra contrastare con tutta la sua forza i tentativi di (ri)cucire relazioni e rimediare ad errori passati immobilizzando i personaggi in un’attesa infinita dell’istante perfetto.
Claudia Nastasi ha studiato Letterature moderne, comparate e postcoloniali all’Università di Bologna dove ha conseguito la laurea nel 2020. La passione per la letteratura la accompagna nel suo percorso alla scoperta di diverse culture e della vita stessa. Tra i suoi interessi spicca quello per le lingue, mezzo che le permette di entrare in comunicazione profonda con diverse realtà. Ama il blu del mare e l’aria fresca della montagna, passeggiare ovunque ascoltando il mondo intorno a sé. Nell’ultimo anno ha svolto attività di insegnamento, avventura che ha acceso il suo interesse per il mondo della scuola in un’ottica di rinnovamento.