Il Fuoco e il Verbo (Secop Edizioni 2015 – Traduzione in italiano di Dragan Mraovic) mantiene tutte le promesse evocate nel titolo. La scrittura di Milica Lilic è chiara, a tratti potente e forte, a tratti più struggente e tenera, ma sempre corporale, intrisa di passione. L’autrice fa ampio uso di metafore originali, di similitudini che diventano a volte vere e proprie iperboli e di anafore.
La raccolta si compone di tre distinte sezioni tra loro collegate e comunicanti. La prima sezione comprende dieci componimenti in cui prevalgono i temi amorosi e si apre con questa disarmata e disarmante dichiarazione d’amore totale:
UNA DONNA DESIDEROSA DI RINASCERE
Sarei stata la statua nella piazza
Che attraversi mentre pensi
A quella che la morte ti ha strappato.
Se soltanto mi toccassi
Quando passi fiaccato dalla sofferenza,
Svuotato dall’attesa vana
Che il passato si riaccenda
Come nel bronzo della statua
il volto della verità.
Sarei stata la fontana ciarliera
Che seduce e sussurra nella piazza
E mai mi dà noia il rumore delle onde
Che senza sosta in cerchi si dilatano
Se soltanto mi toccassi quando passi
Mentre assetato del mio antico amore
Vai in cerca di un’assenza.
Sarei stata l’immobile selciato
Che tutti calpestano in fretta
Per sentire su di me i tuoi passi
Solo per un momento
Mentre guardi sperduto davanti a te
Immaginando Lei che è morta
Piena di Te e di null’altro.
Sarei stata il lampione che brilla giorno e notte
Per incontrare solo per un attimo i tuoi occhi
E illuminare con tutte le mie forze
Le ansie profonde che dentro di te si accendono
Fino a quando non ti fossi presentato a me
Pronto a dirmi:
Di nuovo il mondo è stato generato.
E continua con la lirica che dà il titolo alla raccolta. Il fuoco dell’amore dentro agli occhi di lui è condizione essenziale di vita per l’autrice che, se fosse ne fosse privata, sarebbe un essere inanimato incapace di celebrare il Verbo con le parole:
IL FUOCO E IL VERBO
Senza il fuoco portato
Da quegli occhi profondi e sconosciuti
Sarei stata una campana ignara
Della propria essenza.
Sarei stata un dovere innominabile.
Un vuoto che scoppia senza rumore.
Il crepuscolo dimentico del giorno.
Un’icona che nessuno bacia.
Una foglia ingiallita
In attesa di alzarsi in volo.
Non un trepidare del lampo mattutino
negli occhi di ragazza innamorata.
Non un suono di corda
Suonata da un abile maestro di violino.
Non una scintilla del Verbo che brilla,
Né una Donna consapevole della propria essenza.
Né questa vita
Da celebrare con la Parola.
Resta l’amarezza e il rimorso delle braci spente in questa lirica che accosta l’autrice e il suo sconosciuto amante a celebri coppie irrealizzate:
UNA COPPIA IRREALIZZATA
Se almeno avessimo cercato la bellezza
In paesaggi sconosciuti
Come Cortázar e Carol Dunlop
Le parole con le quali forgiarono l’amore
Che vince il tempo e la morte.
Come Sartre e Simone de Beauvoir
Che bisticciando creavano l’eternità
E grossi volumi lo confermano ancora oggi.
Se avessimo almeno annotato un desiderio
Nella nostra corrispondenza perché diventasse un
nuovo verso,
Come Rilke e Cvetajeva,
Ci saremmo già realizzati come coppia.
Cercando le sponde invece
Affrontavamo invano le onde
Con i nostri deboli corpi
E senz’arrivare a noi stessi
Spegnevamo le braci.
Nella seconda Sezione “Necessità cosmica”, di cui fanno parte undici poesie, si fa strada il Verbo, la parola che salva, che scoppia nei versi come epifania della vita stessa.
Nella lirica che segue è celebrato il potere profetico della poesia come anticipatrice di eventi e di cambiamenti inaspettati nella vita, dei quali siamo attori inconsapevoli:
PERCHÉ POSSA NASCERE UNA POESIA
Perché possa nascere una poesia
Tutto lo spazio si mobilita
Si aprono molte strade,
Il corso degli avvenimenti cambia,
Anche delle morti avvengono
Per dar vita a una poesia.
Le casualità talvolta si susseguono
Come ambra che perdura
In una collana scintillante
Su uno splendido collo.
Dopo molto tempo, diciamo,
S’incontrano degli amici
In una città straniera
E per uno di loro
Una nuova tappa comincia.
Pure gli altri entrano in quel cerchio
Chissà perché disegnato,
Per quali usi,
Non solo per la poesia
Non tutti credono in lei,
Nel suo potere profetico.
Qualcuno, forse, sarà
Scelto per una sera,
In qualcuno mondi nuovi germoglieranno
Non sognati nemmeno
Dal presagio più ardito.
Strettamente legata alla precedente, “la forza dell’esperienza” è l’intensa narrazione del rapporto carnale dell’autrice con la Poesia, prima fatta di attese ansiose come s’attende un amante che ritarda e indugia, negandosi all’amata. Poi, forte e sfrontata, l’autrice prende tra le sue mani il corpo dell’amante-Poesia e lo piega docilmente ai propri desideri. Le parole, i versi e le rime sono tagliate, sminuzzati, ricomposti e modellati dall’autrice come materia viva e pulsante, in questo desiderio poetico molto lontano dall’essere eterea e impalpabile ispirazione:
LA FORZA DELL’ESPERIENZA
Con l’ansia di un’amante
Ho atteso la poesia
Dal profondo di me stessa il suo tenero invito,
Nella sua nascita ho creduto.
Ma lei superba mi tradiva,
Con voce capricciosa si faceva sentire,
Invocata dalla malinconia, dalla mutevolezza.
Ora non attendo più nulla
E semplicemente prendo la poesia
Senza il tremito e il forte desiderio
Che si accompagnano all’amore.
Ora le ordino di venire semplicemente
Anche zoppicando
E lei ubbidisce.
Le piace la mia fierezza,
Diventa docile
Come una donna tenera
Davanti al suo cavaliere
Senza esitazione si arrende.
Io l’afferro senza pietà,
La presso, taglio, ritaglio
Come un chirurgo fa con un tumore.
Le abbasso le corna
Anche se il mondo è cornuto.
Essendo mia deve avere il mio volto,
Da me creata
Deve sentire le mie dita
Che come vasaio la modellano,
La girano, la lucidano.
Poiché lei è musica, ritmo,
Le impongo le mie note
Perché lei accetti, risusciti
Per chi ama la forza del suono,
Per i maestri dell’udito.
Poi io mi nascondo
E scappo nell’assurdo grigiore,
Ma lei torna da vendicatrice
Lei copia quanto aleggia sul mio volto
Mi si presenta come la mia interfaccia
Copy-pest, copy-pest.
“L’annuncio del verbo” si apre con l’ossimoro delle “parole fragili, leggere, delicate” capaci di costruire “una gabbia robusta” dentro alla quale sopravvivere alle detestate perfidie del mondo di cui tutti siamo parte in quanto umani. L’obiettivo qui svelato di questo viaggio nell’umano è il Verbo, l’essenza di tutto ciò che agisce, è l’armonia che si può cercare di raggiungere nella poesia percorrendo nella voce e nelle forme la strada alla quale Dio ci conduce:
L’ANNUNCIO DEL VERBO
Come un ragno la sua tela sottile
Anch’io intesso i miei fili
Fatti di parole fragili, leggere, delicate
E costruisco una gabbia robusta –
Nella quale mi sento sicura, calma
Come un leone sdraiato al sole –
ed è tutto il mio spazio.
Tutte le galassie sono con me,
Le parole sono aeree e piene.
Io cresco colma di vigore mentre loro
stanno arrivando attraverso lo spazio.
Ciò che vedo intorno a me
Che profondamente detesto –
Come tutti – la perfidia, le bugie,
La povertà di spirito, il pogrom delle TV –
È più bello stare con i millepiedi
Perché così vedi in altro modo anche te stesso
E per un po’ ti rilassi lontana
Da tutto quanto coscientemente ti fa vergognare,
Perché fai parte di tutto ciò essendo umano.
Ma tu hai un altro obiettivo
Verso cui è Dio che ti porta,
Con la lingua,
Per una strada pura
Coperta solo dall’essenza
Messa in disparte, indicibile.
L’essenza di tutto ciò che agisce, esiste
Di tutto ciò che vive nei tuoi pensieri
La terza sezione “Mentre la madre respira”, di cui fanno parte otto componimenti, è dedicata agli affetti più intimi, alla madre, al padre e alle figlie con uno sguardo profondo, mai banale, di fede e di infinito affetto. “Mai così” è la rappresentazione struggente della simbiosi tra la poeta e la madre. Nella morte fisica della madre avviene la morte interiore della figlia rinsecchita come “i rami soli, abbandonati, piangenti”:
MAI COSÌ
A mia madre Ilinka
Mai così
di fronte alla morte
tu ti sveli
mentre la madre respira
E su di te sta vegliando,
Dovunque sia
Pure soltanto in un letto.
Mai così chiaramente
Vedi te stessa sul feretro
Come quando ci posano tua madre
Addormentata, pallida, lontana.
Mai così profondamente
Puoi percepire
Il senso dell’amore
Sottinteso
Fino a quando
Il polso della madre batte
Come se tutto lo spazio t’abbracciasse.
Quando lui si ferma
Allora si ferma tutto
Solo s’abbracciano i rami
soli, abbandonati,
piangenti.
La sofferenza di scoprirsi vuoti dentro a ogni risveglio, l’estraneità a se stessi, l’impermanenza di ogni illusione percorre “La ricostruzione dell’essere”, ricostruzione che, ci dice Milica Lilic, potrà avvenire solo aggrappandosi al valore salvifico delle parole nate dalle proprie cadute, raccattate dalle proprie macerie per poter risorgere:
LA RICOSTRUZIONE DELL’ESSERE
Del mio essere si aprono le porte,
in modo chiaro, ogni mattina senza speranza.
E tu vedi il vuoto dentro
come se nessuno ci sia mai venuto
mai abbia trascorso una notte,
mai si sia risvegliato con te,
e tutto tracima da qualche parte come acqua
e il vuoto spalanca dentro, invita
i passanti a fermarsi, a trovare
altri sensi, a infondergli nuova forza
Il nulla ricopre tutto
quello che ci fu un giorno,
quello che ti incitava, incoraggiava,
ti riscaldava tanto e ti rallegrava.
Tutto dopo il sonno
è cambiato,
devi ricostruire l’essere,
tanto è fragile questo Io –
come un lampo brilla, svanisce
e tu diventi subito estraneo a te stesso.
Senza questo lampo che ti fa
oscillare sul vuoto nelle tue profondità
sei straniero a te stesso
come se nascessi per la prima volta.
Tutto ciò che faceva parte di te
è in te polvere.
Ti rialzi sempre con la stessa speranza.
Le colonne di senso dentro di te
almeno per riconfermarti nella fede:
che mai tradirai te stesso.
Che solo la caduta sarà la tua misura
e che tra le parole ritrovate,
regalate,
da tuo stesso vuoto
ti alzerai in volo.
Nelle ultime pagine il fuoco torna coraggioso sotto forma della tenacia dell’autrice, novella Shaharazad, a restare avvinghiata a “quel filo di passione primordiale / più lungo di mille e una notte”, passione che è scintilla divina che ci fa bruciare a lungo e nel suo incendio tutti restiamo avviluppati e schiavi “incantati dal ballo”:
UNA NUOVA COREGRAFIA DI SHAHARAZAD
Io più tenace di Shaharazad
ho ripetuto il suo ballo
io più coraggiosa, più svelta
più abile per un’esperienza secolare
intrecciata nella mia mente
sicura del tuo volere ancora di più
le parole più nude,
un canto più forte del corpo
che fiammeggia nel crepuscolo,
e brucia tutto intorno a sé.
Ci aggrappiamo a quel filo di passione
primordiale
più lungo di mille e una notte
e lei più forte riduce le distanze
e siamo sempre più vicini all’incendio,
e bruciamo sempre più a lungo, con più fiamme
in nome di tutti gli intirizziti, gli affamati,
in nome di questa scintilla divina, insaziabile.
Noi, il padrone e la preda,
imprigionati a vicenda
ci riduciamo in schiavitù incantati dal ballo.
E non c’è fine a questa “notte”,
Le spade tra noi,
i foderi aperti.
Una nuova coreografia di Shahrazad
e i tuoi occhi stupiti.
Nota biografica
Milica Jeftimijević Lilić è nata il 28 agosto 1953 a Lovac, presso Banjska, nel Kosovo e Metohija, in Serbia. Si è laureata presso la Facoltà di filosofia di Pristina. Ha seguito gli studi postlaurea a Belgrado. È stata docente all’Università di Pristina, caporedattore della Televisione di Belgrado e critico televisivo. Ha pubblicato le sillogi di poesia: Buio, liberazione (1995), Ibernazione (1998), Le note di viaggio della pelle (2003), Incantesimo (2007), Il rotolamento del rotolo (2009), il volume di narrativa Il contenuto del caso (2002), tre libri di critica letteraria La poetica del presagio (2004), L’illuminazione epistemologica (2007), Le colonne e le fondamenta della critica (2011), Esattezze del segreto (2012). Scrive anche testi per l’infanzia. Presente in numerose antologie, è vincitrice di molti premi nazionali e del premio “Orfeo di bronzo” di Francoforte. È stata tradotta in russo, inglese, francese, italiano, arabo, ungherese, macedone, turco, tedesco, svedese, polacco. È vicepresidente dell’Associazione degli Scrittori della Serbia e membro dell’Associazione dei giornalisti della Serbia. Vive a Belgrado.
Immagine in evidenza di Tracy Allen.