Il check-point di Francesco Muzzioli, “Brecht con Benjamin” – Recensione di Antonino Contiliano

“Ffp2Le zone” -Omaggio a Piet Mondrian, acrilico su tela 50x70.

Francesco Muzzioli, “Brecht con Benjamin- Contro l’immedesimazione”, OdradekEdizioni, Roma, 2021, p. 96, €16,00

Se,  nel Novecento, il matematico francese Évariste Galois disse che il problema di leggere i predecessori era quello di individuare nei loro testi “il loro insaputo” (perché “lì stavano intanati i problemi”; e se il filosofo Jean Paul Sartre, alla fine della seconda guerra mondiale, ci ha detto che i “nazisti” furono maestri di libertà (perché ce ne privarono), Francesco Muzzioli (docente di critica letteraria e teoria della letteratura presso l’università “Sapienza” di Roma, nonché studioso delle avanguardie europee e attivo polemista contro i postmodernisti), tra le carte di B. Brecht e W. Benjamin, cerca di vedere quel che i due ancora oggi ci possono dire per capire l’attuale mondo della postmodernità neo-capitalistica, il “T.I.N.A” (il modello senza alternative: il neoliberista, o l’ordoliberista; l’ordine che chiede uniformità di condotte individualistiche acritiche ed emozioni irriflesse: fusioni empatiche). Entrambi, questi due modelli, comunque (e dopotutto), sono votati ad eludere – nonostante i fallimenti continui dell’infelice concorrenza tra pubblico e privato –, sia la sofferenza sociale che il rilancio del collettivo politico (diretto o indiretto che sia). Così, Francesco Muzzioli, tra domande e risposte, dà alle stampe “Brecht con Benjamin- Contro l’immedesimazione”, Odradek Edizioni, Roma 2021, p. 96, €16,00). E, già, il suo “Contro l’immedesimazione” (avanti altre categorie) è piuttosto chiaro nell’indicare una linea di contro-tendenza (il polemos contro l’ordine esistente dell’emozionalità empatica degli individualismi – curati ad hoc – che hanno abbandonato i vincoli collettivi per rinserrarsi nella difesa ad oltranza entro il recinto di un paradossale ibridismo; quello cioè tra difesa dei diritti individuali e il richiamo all’identità collettiva portata allo sfascio (il ballo delle dinamiche in tempi di pandemia e di guerra russi-Nato-Eu per l’esproprio della Crimea è cosa nota per insistervi…). Le parole, in bocca ai padroni del mondo (i certi signori delle guerre), hanno perso di certo molto delle loro funzioni di “buon senso” (Cartesio diceva che il buon senso non è in conflitto con la ragionevolezza e la stessa ragione…).

In un tempo in cui le parole e i termini sembrano avessero perso identità, spessore e storia, il Francesco Muzzioli di “Contro l’immedesimazione”, a proposito dell’identità, genesi e senso di certe parole comincia a porre domande e a ritrovare risposte. Sono le parole come l’incorporazione, la soggettivazione, l’immedesimazione, l’emozione, l’empatia …); e mostra come i due (Brecht/Benjamin), pur usando un lessico diverso e affine (Benjamin “innervazione”; Brecht “straniamento”), fossero “legati a una politica di sinistra”; e, per certi termini, avessero già preconizzato usi e identità non certamente di tipo postmoderno (la depoliticizzazione). In questa maniera – ed è la domanda che lo stesso autore si pone –, Muzzioli ci mostra come Brecht e Benjamin (amici e giocatori di scacchi; “cinico” Bertolt e “malinconico” Walter) abbino ancora oggi “da dirci” qualcosa di vincolante (quarta di copertina del libro). Per gli spunti (qui appresso), l’indice del libro come spia e invito alla lettura (non affrettata, di sorvolo; le pagine dei testi – poco note dei due – danno di che pensare!):

 

Premessa; Benjamin e l’innervazione; Incontri e partite a scacchi; Brecht in teoria; Il vuoto interiore; Segare il ramo su cui si sta seduti; Testi extra vaganti 1: Me-ti; Testi extravaganti 2: Dialoghi di profughi; Un commentatore d’eccezione; Conclusioni molto provvisorie; Bibliografia dei testi citati.

 

Fuor di dubbio è il fatto che le pagine di questo libro di Francesco Muzzioli offrono degli spazi di riflessione e di rimando (al passato e al presente) quanto mai utili. L’utilità di un approvvigionamento culturale-politico per capire sia la nostra contemporaneità che per avversare criticamente le derive etico-politiche. Il guazzabuglio infiorettato del mondo neocapitalistico e del suo individualismo ‘neolibertino’. Un degrado che porta avanti senza sosta (con guerre economiche e non …), ininterrottamente. Allora – scrive Muzzioli (“Premessa”) – è il caso (polemizzando) di affrontare la cosa. Un modo è «di prendere di petto il contraddittorio, facendo nomi e cognomi e abbandonando ogni cautela diplo­matica. Un altro è la disputa sui termini, che consiste in una anatomia delle parole circolanti, per sfrattare le abusive e rivelare le sfumature inavvertite di quelle più gettonate. Ma un modo è anche lo studio e la rilettura: un recupero di personaggi o passaggi occultati nel chiacchiericcio dominante. Si può es­sere polemici anche guardando da un’altra parte o guardando in un altro modo. È di questo terzo tipo l’uso che viene fatto qui di Brecht con Benjamin, di Benjamin con Brecht» (p. 7).

Tra le odierne parole oggi più gettonate – come scienze cognitive, neuroscienze, immedesimazione, emozione, a-ideologia, incorporazione, soggettivazione, empatia … –, e solo per focalizzare uno spartiacque necessario, rimandando il lettore alla lettura completa di “Brecht con Benjamin- Contro l’immedesimazione”, puntiamo l’attenzione sulla “gastronomica” parola immedesimazione (super-gettonata e imbandita – a proposito e sproposito – in ogni menù ristorativo-ricreativo circostanziale!). Roba per tutti i gusti e l’ingenuità educata ad hoc (educazione permanente; non è un caso che si vive nella società del controllo e delle condotte programmate in itinere). La fenomenologia, per acchito, di quello che Benjamin (parlando del surrealismo e della forza del ‘corpo’; una dialettica a “chiasmo”, la chiama Muzzioli) ha individuato come «innervazione fisica collettiva […], scarica rivoluzionaria […] tanto quanto esige il manifesto comunista» (p. 15), ma oggi filtrata e offerta sul mercato della comunicazione con i tamponi dell’incorporazione-immedesimazione empatica.

E l’empatia, immedesimazione fusiva (l’immediata e istantanea lavatrice di cervelli), non certo  favorisce  – come, altrove e nel contempo, dice Bertolt Brecht – la ‘distanza’ (“straniamento”). Il famoso effetto di straniamento: «il Verfremdunggseffkt o V-Effekt» (p. 39), ovvero il punto di vista esterno di chi vede le cose da un altro punto di vista distaccato (gli occhi di un alieno; dell’Altro). Entrano in gioco, cioè, sorpresa e stupore. La sorpresa, diversamente dalla meraviglia tradizionale, di vedere con occhi nuovi ciò che è normale (che appare scontato) come carico di valenze politiche da mettere a fuoco. Lo straniamento tradizionale – scrive Muzzioli – aveva soprattutto «un valore morale, anti-antropocentrico, mostrava (c.n.) i vizi e i difetti che si nascondo sotto la pretesa dell’essere umano di essere la perfetta perla del creato, per Brecht si tratta invece (c.n.) di rivelare dietro l’aspetto patetico-umanitario della sorte di un individuo […] e i suoi caratteri presunti eterni […] un legame con la storia e con la politica. Niente è naturale e quindi niente è scontato; e in egual misura, tutto può essere trasformato» (pp. 39, 40). Uscendo dall’aura “magica” e dai “campi ipnotici” (che invadono l’arte, la poesia, il collettivo …), significa allora ‘straniare’, ovvero abbandonare l’empatia: svegliare i dormienti mediante un’estetica critico-intellettuale (il “Pensare aude”; e ciò con la potenza del corpo, direbbe Spinoza!). Il pensiero, nel materialismo di Brecht, infatti, non visto «come fondamento spirituale dell’Essere, bensì come strumento del corpo individuale e sociale; in quanto tale è un mezzo rivoluzionario. Esso deve servire a spiegare che il comunismo (che, dice Brecht, è semplicemente il “giusto mezzo”) è nel proprio interesse» (p. 40), lì dove l’emozione empatica, fondendo le identità individuali e collettive, non distingue tra emozioni e interessi di parte (di classe!).

E questo comporta un’arte dell’impegno come un fare e co-fare per sdoganare gli slogan dell’arte dell’intrattenimento e delle finzioni consolatorie e/o compensative. Ricordando il Sartre dei nazisti che ci hanno insegnato la libertà, oggi c’è bisogno che la libertà, invece, operi con l’innervazione-incorporazione del ‘V-Effekt’ (senza più perdere tempo). Come dire che l’impegno è l’impegno dello stare insieme-con la forza dei corpi animati dall’azione per riprenderci la libertà di cui ci hanno privato, e di incorporarla come verità in azione.

Ma l’anima come forza è solo presenza – direbbe Alan Badiou: la «forza è presenza e non azione. In ogni caso, è il concentrato di ciò di cui […] la filosofia deve distoglierci. Bisognerebbe poter dire: “Una verità è azione e non presenza”» (Oltre l’uno e il molteplice). E ciò non è meno vero nel dibattito letterario odierno.

Ma lasciamo la parola alla stessa conclusione (provvisoria) di Muzzioli: «abbiamo raccolto sufficiente materiale per rispondere all’impo­stazione odierna del dibattito letterario. Va bene l’empatia, gli attrattori, l’in­corporazione; ma Brecht e Benjamin ci hanno mostrato che, al buon bisogno, si può e si deve ragionare su un’altra empatia, un’altra disposizione degli at­trattori e un altro modo di incorporazione, che contempli – per continuare ad usare la metafora corporea — una purgazione e un antidoto alle tossicità. Non a caso Brecht si concentra sul teatro, l’opera d’arte basata sul corpo. E insiste su quella unità elementare cui dà il nome di gestus. Lo afferma, in consonanza, anche Benjamin: «Il teatro epico è gestuale» […]. Lo stesso Brecht costruisce attorno al gestus tutta una serie di domande critiche che tendono a far uscir fuori la direzione, la tendenza dell’arte» (p. 89). È, anzitutto,

 

l’atteggiamento dell’autore verso il pubblico. Vuole insegnare? o incitare? o provocare? o ammonire? Vuole essere obiettivo? o soggettivo? Vuole che alla fine il pubblico sia di buono o di cattivo umore, o vuole semplicemente che partecipi? Fa leva sugli istinti? Sull’intelligenza? Su tutt’e due? Eccetera eccetera. Poi c’è l’atteggiamento di un’epoca, quella del­ l’autore e quella in cui si svolge l’azione. Si propone p. es. l’autore di atteg­giarsi a rappresentativo? O se lo propongono i personaggi? Ancora, la distanza tenuta rispetto alle vicende: l’opera è un quadro d’epoca oppure un interno? Infine, sia questa o quella la distanza tenuta, bisogna sapere di che tipo è la descrizione di vicende non coordinate? Sono, tutte queste, domande da porsi, ma ne vanno poste ancora di più. Ed è importante che chi fa le domande non abbia paura di risposte contraddittorie: poiché un dramma è vivo grazie alle contraddizioni che contiene. Al contempo egli deve però chiarire quelle con­ dramma. Si tratta di una parabola, che deve dimostrare qualche cosa? O della descrizione di vicende non coordinate? Sono, tutte queste, domande da porsi, ma ne vanno poste ancora di più. Ed è importante che chi fa le domande non abbia paura di risposte contraddittorie: poiché un dramma è vivo grazie alle contraddizioni che contiene. Al tempo egli deve però chiarire quelle contraddizioni e non può cullarsi ottusamente nella comoda sensazione che il conto non torni.

 

A proposito dell’incorporazione (in Benjamin), il critico Francesco Muzzioli, richiamando una nota di Sigrid Weigel (autrice che si era soffermata sul saggio benjaminiano sul surrealismo), ne mette avanti anche la variante “incarnazione” (un’oscillazione tra “incarnazione” e “incorporazione”, p. 19) per dire dell’importanza dell’“innervazione” nel pensiero di Benjamin (l’innervazione come vincolo della corporeità e della materialità dei rapporti viventi con la forma delle condotte intellettuali comuni; cioè gli elementi socio-vitali che attraversano ogni concretezza e prassi etico-collettiva come “inconscio politico” comune. Una direzione di senso, né irrazionale, o spiritualistico e ideale-mistico, oltre che quella individuale-esistenziale! Il gesto, del resto, non è mai epurazione della corporeità, bensì legata espressione corporea!

Del resto, il filosofo – scrive Muzzioli – aveva usato il termine “innervazione” in «Strada a senso unico, che è di qualche anno prima del saggio sul surrealismo. È nel brano che riguarda gli effetti fisici della mistica; qui, drasticamente, segnala che non c’è “nessuna immaginazione senza innervazione» (p. 19).  Nessuna percezione senza ‘innervazione’ (intreccio ibridante tra fisicità sensibile e sovrasensibile/immateriale), dunque! Ogni concetto non può stare senza legami con la materialità delle cose cui si riferisce. Un’interazione corre sempre tra le strutture cognitive e pratiche e le cose che si guardano e ci guardano.

Anche in Brecht, il Brecht di “Me-Ti” e del “Dialogo dei profughi”, l’istanza della corporeità (forza materiale) è di portata essenziale dove entra in gioco il conflitto tra libertà e costrizione. In questo senso, il campo diretto di Brecht è, però, quello dialettico tra forze produttive e rapporti di produzione, o liberazione e costrizione (la libertà è sempre collocata). Infatti, se gli operai vogliono liberarsi dalla fame è necessario che impongano delle costrizioni ai “padroni dell’economia” per sottoporla all’organizzazione collettiva. Essi, dice Me-Ti, organizzano (c.n.) la propria liberazione […] contro tutte le correnti che minacciano la grande produzione di beni per tutti […]» (p. 40). Siamo nel “Grande Metodo” e nel “Libro delle svolte”. Anche nel “Me-Ti” – ancora Muzzioli – «Brecht sviluppa le sue “riconsiderazioni materialiste: il pensiero stesso è visto come un luogo in cui si intrecciano e si diramano strategie politiche. Persino l’istanza rivoluzionaria viene subordinata al godimento corporeo: all’alunno Tu che vuole essere introdotto alla lotta di classe Me-Ti raccomanda per prima cosa di mettersi seduto comodamente e di fronte alla sua perplessità lo ammonisce: “Se non si aspira al godimento, non si vuole tirar fuori il meglio da quel che c’è e se non si vuole assumere la posizione migliore, perché allora si dovrebbe combattere?» (p. 66).

Per concludere, le pagine del libro “Brecht con Benjamin- Contro l’immedesimazione”, secondo noi, al presente lasciano avvisi di “risveglio” consistenti: a) rileggere autori e testi che hanno lasciato idee e spunti per un pensare/sapere in autonomia e indipendenza dai codici prestabiliti (“incarnazione” religiosa di verità indubitabili); b) nell’ordine del mondo capitalistico globalizzato, i processi di soggettivazione non sono né fatti materiali neutrali né de-corporeizzati; c) che il potere dominante – “Colà dove si puote ciò che si vuole” –, è festa di immediatezze e danza di pulsioni emotivo-simpatetiche commercializzata; d) che qui si nascondono più cose di quante se ne comunicano!; e) che ragione, condotte pratiche e politiche nell’accadere degli eventi non possono e non debbono rinunciare ai sommovimenti corporei del pensiero critico, né farsi prigionieri delle identificazioni fusive, le immedesimazioni passive e istantanee; f) che la distanza è un amaro medicinale che corrobora i corpi in azione di dissensi e rivolte.

 

Antonino Contiliano

Marsala, aprile 2022

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Antonino Contiliano è nato a Marsala nel 1942. Ha conseguito la laurea in Pedagogia presso l’Università di Palermo. Ha insegnato storia, filosofia, pedagogia e psicologia nei Licei e gli Istituti Magistrali. È stato preside di scuole medie superiori di primo grado. Redattore della rivista «Impegno 80» e del trimestrale «Spiragli», negli anni ’70 e ’80 ha fatto parte del movimento culturale, letterario e poetico dell’Antigruppo siciliano. Numerosi i saggi, anche a carattere filosofico, in riviste e pubblicazioni varie. Ha introdotto e curato anche numerosi volumi. Come poeta la sua presenza è accolta in numerose antologie. Suoi testi sono stati tradotti in lingua croata, greca, francese, inglese, macedone, spagnola, catalana e rumena. Fra le sue ultime opere di poesia si ricordano: ‘El Motell Blues (2007), Tempo spaginato. Chiasmo (2007), Il tempo del poeta (2009), Ero(S)diade. La binaria de la siento (2010), We are winning wing (2012), L’ora zero (2014) e la sua ultima opera Futuro Eretico (Fermenti 2016).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Immagine di copertina: Quadro di Giacomo Cuttone, “Ffp2Le zone” -Omaggio a Piet Mondrian, acrilico su tela 50×70.

 

 

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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