Il capitano del secondo battaglione, di Ricardo Jaimes Freyre

Racconti---Ricardo-Jaimes-Freyre

Racconti

Ricardo Jaimes Freyre

Traduzione di Alessio Arena

Gli Eccentrici, Edizioni Arcoiris

Il capitano del secondo battaglione

 

A Moisés Ascarrunz

 

 

 

I

 

Era una calda notte di gennaio del 1881. L’esercito peruviano accampato a poche leghe di distanza da Lima aspettava da un momento all’altro l’attacco del nemico.

Contrariamente a quanto diceva la famosa zarzuela, la parola d’ordine era restare svegli. E lo eravamo tutti, cercando di intrattenerci con la conversazione che languiva mentre i nostri occhi cominciavano a chiudersi.

L’argomento obbligato delle nostre chiacchierate, la prossima battaglia, era ormai privo di novità e sentivamo il bisogno di occuparci di un’altra cosa se non volevamo essere vinti dal sonno.

Finalmente, uno degli ufficiali che faceva avanti e indietro, con lunghi passi, si fermò all’improvviso e disse: «Rischiamo di addormentarci tutti e questo non deve succedere. Ah! Se potessi smettere di dormire per sempre!»

«Come dici? Rinunceresti a dormire?».

«Per me sarebbe impossibile. È uno dei miei piaceri» esclamò un altro.

«Io davvero ci rinuncerei, credimi,» rispose Carlos «e non perché non lo consideri un vero piacere, ma è una lunga storia…».

«Racconta, racconta!» dicemmo in coro tutti quanti, a caccia, com’eravamo, di qualcosa che ci distraesse un po’. «Racconta!».

 

II

 

Carlos si fermò un momento a riflettere e poi cominciò il suo racconto:

 

III

Alcuni anni fa ero sottotenente del secondo battaglione, quando scoppiò una delle tante guerre civili che riempiono la storia del nostro paese irrequieto.

Allora nel mio distaccamento c’era un giovane capitano dal bell’aspetto, un uomo coraggioso, molto ricco e con uno di quei nomi che si rispettano sempre, anche nelle nostre Repubbliche democratiche.

Audace e intraprendente, si arruolò nell’esercito per avere qualcosa da fare e in poco tempo ottenne il grado di capitano.

Era, insomma, quello che si dice il fiore all’occhiello del nostro battaglione, il più rispettato dal capo e amato da tutti; la vita del capitano Alberto era la più invidiata. Eroe naturale di tutte le avventure che accadevano nei villaggi che trovavamo sul nostro cammino, venti volte aveva rischiato di morire e altrettante volte era risultato illeso e premiato dalle sue fortunate imprese.

Un’immaginazione vivace, un talento insolito, un sincero e schietto senso dell’amicizia erano le qualità più conosciute del giovane capitano.

Una volta… bisognava portare un ordine del capo a un certo distaccamento, che si trovava un po’ distante dal punto in cui eravamo, e si doveva aggirare la sorveglianza del nemico, accampato non lontano.

Alberto fu scelto per quel pericoloso incarico. Sorridente e contento, ci diede un abbraccio e si mise in marcia dopo aver controllato le sue armi. Erano le sette di sera.

Alle dodici, sentimmo il trottare di un cavallo e dopo la parola d’ordine, data alla sentinella, vedemmo entrare Alberto, pallido, stravolto, senza le armi e in uno stato di turbamento immenso.

Ci precipitammo tutti verso di lui, chiedendogli il risultato dell’incarico e la causa di quel suo stato che sorprendeva tanto in un uomo sempre soddisfatto e contento anche tra grandi pericoli.

Alberto non parlò, non rispose a nessuna delle nostre domande e si buttò sul pagliericcio, senza darci la possibilità di strappargli nemmeno una sillaba dalla bocca.

La febbre lo divorava, ma dopo un po’ di tempo riuscì a prendere sonno, anche se era ancora agitato e pronunciava parole incoerenti.

Io mi ero quasi addormentato, continuò a raccontare Carlos, quando sentii che mi sfioravano il braccio. Mi alzai all’istante, e uno dei miei commilitoni si mise prima il dito sulla bocca e poi mi fece vedere che tutti gli altri erano in silenzio, assorti ad ascoltare.

Avrei voluto chiedere il motivo di quell’incomprensibile attenzione, quando ebbi la sensazione di sentire il mormorio di qualcuno che parlava con foga.

Mi avvicinai piano ai miei compagni e loro mi mostrarono che Alberto stava lottando contro un terribile incubo e pronunciava parole a voce alta.

Ascoltai come gli altri questo monologo che è rimasto impresso nella mia mente per sempre. Vi giuro che non cambio nemmeno una parola.

«No… le sentinelle sono lontane… non bisogna avvertirle… Fermo! Chi va là? Fuggiamo… è tardi ormai…! Niente da fare, non dirò una parola… Infami!… Lasciatemi quel foglio o uccidetemi prima… L’hanno preso loro… l’ordine… Va bene… è vero… Le vostre minacce mi fanno ridere… legato… aspettate, ah!…distrutte le barricate… non mi vede nessuno… scappiamo… ecco il mio cavallo… questo è il mio accampamento… Patria e Dio… sono salvo!»

E un sospiro di soddisfazione fece alzare il petto del povero capitano. La storia della sua missione l’avevamo già conosciuta.

Stette in silenzio per un momento. All’improvviso, si agitò in modo convulso e riprese a parlare. Tutti ascoltavamo desiderosi di sapere di più.

«Ci stanno attaccando… Sparano!… Siamo vinti… moriamo tutti quanti… ah! Voglio morire… sono prigioniero… di nuovo… maledetti!… Mi condannano a morte… sul banco degli accusati… Dio mio!»

Avevo intenzione di svegliare il nostro caro capitano. Ma due commilitoni mi trattennero: «Aspetta. Ascoltiamo fino alla fine. Magari si tratta di una profezia» disse uno di loro.

Allora, anche se contro voglia, mi fermai.

Alberto continuava a parlare: «Ah, infami!… Lasciatemi… morire… morire… quattro… io sono il terzo… ecco il picchetto… il primo… il secondo… a me… puntate contro di me… contro di me… sparate!… Ah!»

Alberto, con un brusco movimento, cadde dal suo giaciglio e rimase in silenzio. Ci avvicinammo tutti. Lo trovammo rigido. Era morto!

 

IV

Sembrava che Carlos stesse fissando una persona invisibile e tutti restammo in silenzio.

V

 

All’alba del giorno dopo, i cannoni cileni riempivano l’aria con il loro ruggito e cinquantamila uomini lottavano sotto le diverse bandiere.

La storia del capitano Alberto era già del tutto dimenticata.

 

Freyre fotoAffascinato dalla narrativa breve come altri scrittori del modernismo ispanoamericano, il boliviano Ricardo Jaimes Freyre (1868-1933) è autore di pregevolissimi racconti, apparsi in origine su riviste e riscoperti solo negli ultimi decenni, testi in cui compaiono mendicanti ossessionati dalla felicità, eremiti stanchi che vedono la loro solitudine turbata da misteriosi personaggi, appassionate cortigiane dell’antica Bisanzio, coraggiosi soldati della guerra del Pacifico e implacabili indios in cerca di vendetta. In queste erudite e fantasiose miniature il lettore troverà lo stile musicale e misurato e la passione per le narrazioni storiche e fantastiche tipiche dei modernisti, ma non solo. Troverà anche un profondo interesse per la cultura e la geografia del proprio Paese e la volontà di denunciare le violenze perpetrate contro gli indios.

Di Freyre ricordiamo inoltre la celebre raccolta poetica, influenzata dalla mitologia scandinava, Castalia bárbara (Buenos Aires, 1899, con prologo di Leopoldo Lugones).

 

Estratto pubblicato per gentile concessione della casa editrice.

Riguardo il macchinista

Maria Rossi

Sono dottore di ricerca in Culture dei Paesi di Lingue Iberiche e Iberoamericane, ho conseguito il titolo nel 2009 presso L’Università degli Studi di Napoli l’Orientale. Le migrazioni internazionali latinoamericane sono state, per lungo tempo, l’asse centrale della mia ricerca. Sul tema ho scritto vari articoli comparsi in riviste nazionali e internazionali e il libro Napoli barrio latino del 2011. Al taglio sociologico della ricerca ho affiancato quello culturale e letterario, approfondendo gli studi sulla produzione di autori latinoamericani che vivono “altrove”, ovvero gli Sconfinanti, come noi macchinisti li definiamo. Studio l’America latina, le sue culture, le sue identità e i suoi scrittori, con particolare interesse per l’Ecuador, il paese della metà del mondo.

Pagina archivio del macchinista