“Il battito del mio secondo cuore”, note di lettura ad “Angoli acuti” di Monica Dini (Pina Piccolo)

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Addentrarsi nella raccolta di racconti/romanzo “Angoli acuti” (Tra le righe Libri, 2017) di Monica Dini richiede una certa attenzione ed agilità per non perdersi su piste false. Chi legge potrebbe illudersi di trovarsi su un cammino disagevole e doloroso per quanto riguarda contenuti e trame, ma tutto sommato piano e lineare a livello strutturale, irto di storie di bassezze grottesche alternate a tentativi di trascendenza astronomica che si susseguono però su percorsi consecutivi. Un po’ come i racconti che compongono “Gli amori impossibili” di Italo Calvino, ma aggiornati al 2017.

Per metterci sulla strada giusta potrebbe giovare sapere che l’autrice, Monica Dini, ha seguito molto da vicino il percorso e gli insegnamenti dello scrittore di origini brasiliane Julio Monteiro Martins, il quale ha per anni scritto e promosso forme di romanzo o racconti brevi sperimentali, quelli che la studiosa Rosanna Morace chiama “racconti in romanzo”, in cui i vari capitoli o racconti hanno individualmente forma compiuta ma allo stesso tempo sono tasselli di un mosaico più grande che a volte si rivela gradualmente con il dipanarsi dell’opera nel suo insieme. Non a caso è di Julio Monteiro Martins l’esergo del racconto/capitolo “La giusta dose”, in cui “[…] di fronte a una notte angolosa [ci si rende conto] che vivere è dividere i numeri primi tra di loro”, ma in questo caso i numeri primi sembrano formare piccoli arcipelaghi, si raggruppano in piccole costellazioni familiari a livello di personaggi e storie, quindi chi legge si trova spesso interdetto e si chiede “ma questa storia x è la continuazione di storia y? Ma questo è lo stesso x molti anni dopo?”

Ormai siamo abituati a questa struttura di storie intersecanti nel mondo del cinema, cioè si è passati da film multi episodici cari al cinema italiano degli anni 60 e 70 a film in cui dopo aver seguito per un certo tempo delle narrazioni parallele vi è un intersecarsi di storie e destini, basti pensare ad alcuni classici come Short Cuts, Crash, Pulp Fiction. In un film l’incontro e l’incrocio di storie è ravvisabile per il pubblico se si ha un minimo di capacità di discernere la fisionomia degli attori, ma in un racconto/romanzo? Potrebbe essere più problematico, specialmente se la voce di un io narrante costruisce trappole non dichiarando la propria identità, se a volte un racconto in terza persona non fornisce nomi ma solo descrizioni di situazioni e stati d’animo, se siamo in presenza di narratori non o poco affidabili. Senza l’ausilio del visuale, chi legge deve stare all’erta, cercare di ricordare se una certa soggettività l’ha incontrata prima nel libro, se gli sembra di riconoscere certi tratti di un personaggio che si è espresso in un altro racconto. A livello strutturale, questo è un elemento aggiuntivo di piacere nella lettura di “Angoli acuti”, questo gioco a nascondino dei personaggi che forse fanno parte di una unica comunità, si potrebbe immaginare (ma non è mai dichiarato esplicitamente), vivono forse in un paesotto di provincia italiano, come ce ne sono tanti. Per sgamare i personaggi che abbiamo già incontrato bisogna seguire le briciole semantiche che Monica Dini dissemina lungo l’opera..

Un indizio della non linearità temporale, del parallelismo contemporaneo di eventi si trova già nel primo dei 22 racconti/capitoli “Olio di bergamotto”; il primo riquadro si apre su una sagra di paese con una carrellata di soggetti, tra cui solo uno identificato per nome e professione Gianni, il geometra. Nel secondo riquadro, a un centinaio di passi di distanza, nella casa dello zio che festeggia il compleanno, Maria, impiegata e zoppa, è in compagnia di altri personaggi identificati attraverso la professione o i legami parentali. Chi è il detentore di un certo malessere, di una determinata forma di tradimento, di una forma di amore traviato va scovato nei racconti/capitoli successivi e questa sorta di indagine, con la soddisfazione del denouement e dell’agnizione, rimane a carico del lettore e della lettrice. Le voci narranti, infatti, non sembrano curarsene, non si addossano la responsabilità di prendere in mano le fila dei racconti o del romanzo.

E in che direzione punta il titolo “Angoli acuti”? Nella quarta di copertina, il libro viene presentato come “… spigoloso, crudele, che mostra l’amore nel tempo del consumo”, e i riferimenti all’amore sono in effetti tanti nel libro, compreso l’esergo di Rilke ad apertura del racconto/capitolo “Fuori dal mondo”. Ma, sebbene l’amore sia il carburante di molte storie, in una gamma di motori che vanno dal balbettante all’autistico, al traumatizzato, allo psicotico-dissociato, credo che la sua funzione nell’economia del libro sia solo strumentale. In attesa che arrivi il giorno in cui “Due solitudini si proteggano, si limitino e si inchinino una davanti all’altro” bisognerà trovare riparo dentro l’angolo acuto che non lacera ma piuttosto serve a proteggere. E infatti a questa esigenza di protezione  accenna l’ultimo racconto. “Il quinto occhio” che inizia con una preghiera dell’autrice, che affida al Signore  diverse parti non esistenti, nel mondo convenzionale, del corpo, tra cui “il battito del mio secondo cuore”.  Quello che i personaggi di ogni storia/capitolo mettono in atto, nelle modalità più diverse, sono atti e strategie di resistenza, una determinazione a tutelare, conservare e difendere un nucleo di integrità e fedeltà verso sé stessi e al diritto alla felicità, che viene messo a repentaglio quotidianamente da rapporti di potere asimmetrici, dal caso, dai soldi, dall’ordine sociale e famigliare, da un difetto fisico. In alcuni casi l’atto di resistenza può ridursi a un atto in apparenza banale come quello della barista Milena che una sera, in seguito alla cocente delusione per la viltà sociale commessa dall’avventore per cui ha forse una cotta, costringe tale beneficiario di consumazioni gratis a pagare l’abituale punch al mandarino “più buono del mondo”; alla ribellione deviata dell’impiegato licenziato, aspirante mendicante, che costretto a rinunciare al nuovo ruolo, spara a un cane forse in procinto di suicidio, che però, a sua differenza aveva suscitato solidarietà umana.

Il mondo illuminato da Monica Dini con un linguaggio stringato e preciso è uno in cui il grottesco quotidiano non preclude l’aspirazione al sublime (forse sentita dal secondo cuore), l’autrice non esita a indagare anche negli angoli più reconditi e meno attraenti dell’esperienza e della psiche umana, ma non per questo perdendo la capacità di delineare con delicatezza un elegiaco desiderio, l’agognare una vita altra e i goffi tentativi di realizzarla con gli scarsi mezzi a disposizione. Ed è lì che si sentono i battiti del “secondo cuore” di Monica Dini, spetta a chi legge salvaguardarli.

 

Recensione inedita di Pina Piccolo, per gentile concessione dell’autrice.

 

Monica Dini vive e lavora a Camaiore paese della campagna toscana. Ha pubblicato le raccolte di racconti brevi: Sulle Corde (2006 Società Speleologica Italiana) e Leggerezze (2008 Besa) e una sorta di diario: Lezzo – i giorni dell’ospizio (2015 Tralerighe Libri).  La sua ultima pubblicazione è la raccolta di racconti Angoli acuti (2017 Tralerighe Libri). Ha collaborato con la rivista on-line Sagarana diretta dal Prof. Julio Monteiro Martins. È stata più volte ospite della rivista on-line El-Ghibli diretta dal Prof. Pap Khouma, del sito Nuove Tendenze della Dott.ssa Oriana Rispoli, dello Stralunario di Alessandro Trasciatti. E’ membro della redazione della rivista Prospektiva di Andrea Giannasi.

 

2 dei racconti presenti in “Angoli acuti” sono stati ospitati precedentemente ne lamacchinasognante:” Atarassia” nel numero 5   e   “Disintegrazione” nel numero 2, e “Parole per esistere”  nel presente numero.

 

Immagine in evidenza di Giulio Rimondi, Roma, Lazio. Dall’antologia Italiana,  Kehrer Verlag Hrildelberg Berlin 2016. Vedi galleria fotografica del numero 8 de www.lamacchinasognante.com

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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