IL ’68 DALLA SARDEGNA A ROMA: CANTO DEGLI SPERONI ROSSI (ROMANZO DI GRAZIA FRESU)

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                                  CANTO DEGLI SPERONI ROSSI                               

(Grazia Fresu, Edigraferma, 2021)

SINOSSI

In un dialogo costante con il fratello, il suo “tu”, il suo specchio, il suo compagno di sempre, un giovane della generazione del ’68 racconta in prima persona le esperienze, gli incontri che lo hanno segnato, il suo allontanamento dalla terra d’origine, la Sardegna, l’arrivo a Roma per iscriversi all’università, e, attraverso i luoghi deputati della crescita sociale e politica della gioventù di quegli anni, il suo percorso umano si dipana percorrendo gli avvenimenti dell’epoca, dai fatti di Valle Giulia alla strage di Piazza Fontana, dalle aule alle biblioteche, dalla piazza al carcere, dal teatro all’amore. Momenti deputati e iconici, fatti di incontri, scontri, viaggi, letture, emozioni e idee costruiscono man mano un’identità “altra” attraverso la quale anche l’isola dell’infanzia e dell’adolescenza finisce per  mostrare un diverso volto. Quegli speroni rossi, che nel verso di una poesia in lingua sarda raccontano la calata dei cavalieri dalla montagna alla conquista della valle dove tutto è possibile, sono la metafora della loro ribellione, essi stessi li indossano per contrapporsi alla frustrante società del benessere e della sopraffazione del più debole in cui si trovano a vivere.

Nello stretto rapporto tra fratelli, nell’isola del ricordo, nel presente di manifestazioni, assemblee, volantini, notti al suono della chitarra, amori, libri amati, strade, cinema, teatri, viaggi, parlando, scrivendo, cantando, lottando, amando, con la volontà di cambiare il mondo, la storia si sviluppa per quadri come in una sequenza cinematografica, dove ogni momento raccontato e vissuto ha valenza in se stesso e insieme fa parte di un puzzle che per frammenti ricostruisce una storia personale e generazionale con lo spirito di chi, come afferma il protagonista, “Non è fatto per scrivere catechismi o cantare inni” ma solo per vivere con passione lucida e senza dogmi un tempo di acculturazione, di lotta e di speranza. Le tappe di questa formazione, dove la fratellanza di sangue è anche lo specchio di una fratellanza di idee, sentimenti, intenti, attraversa i luoghi fisici e mentali di un tempo che ha cambiato il mondo nella profondità dei desideri e delle coscienze.

Tra i due fratelli si dipanerà il groviglio delle paure, dei dubbi, delle certezze, delle conoscenze, delle aspirazioni; le parole e le immagini che li nutrono sono un Giano bifronte, le proprie origini isolane e la Roma dell’università, del teatro, della militanza politica salderanno ancor più il legame col loro passato e il vincolo tra di loro e ancora e sempre, nonostante alcune sconfitte, radicheranno in loro l’ostinata speranza del domani. 

STRALCIO DAL LIBRO: L’OCCUPAZIONE 

Si può scrivere una storia di molti anni solo come epopea e de profundis; ora i mesi,  i giorni persino cambiano col volto della città la nostra volontà di vita ed è rapidamente che le distanze si riempiono di suoni, che noi sappiamo di quei focolai che s’accendono, imprevisti solo agli osservatori distratti. Sebbene nessuno di noi sappia fino in fondo come si appicca il fuoco, noi siamo carichi e assediati, noi raccogliamo con le notizie la nostra forza e facciamo la forza degli altri. Noi ci andiamo precisando. Usciamo con il grido, poiché non ci fu mai parola sussurrata che ruppe un artificio. A Berlino diecimila studenti sotto l’SDS hanno manifestato nella piazza dell’Opera. Noi esistiamo perché ci siamo negati al nostro ruolo.

  Questa attesa ci stanca. Sono ore che sorvegliamo l’ingresso, asserragliati dentro.  Sappiamo che fuori si stanno ammassando, che tenteranno di forzare. La scalinata è gremita. Mi ricordo, fratello, come la vidi la prima volta. Essa era allora come me sprovveduta e la sua pulizia non era che difetto e ignoranza. C’era un gran sole e neppure una scritta, ma io non sapevo allora che fosse possibile averla viva e scalfita nel suo ottuso candore, che la si potesse percorrere correndo, che potesse come ora essere ostile e affannosa. Il carico che va portando è così malato. Ho a volte l’impressione che stiano giocando, tanto mi pare assurdo che così come sono esistano, ma è solo per un momento. Non posso di lontano vedere che i loro visi coperti e le catene. Bisogna che ci riuniamo. Basta quella loro presenza per voler sentire che ciò che li fa rinascere va impietosamente strappato. Accumuliamo tra noi e loro tutti gli oggetti che troviamo.   Dilazioniamo lo scontro per prepararci. Ovunque scriviamo, vogliamo lasciare una traccia, la tensione ci cresce dentro. Abbiamo preparato sui libri di ideologia e di storia la nostra rabbia e ora vogliamo gestirla fino in fondo come scelta. Io credo che essere in tanti non significhi non sentire in questo momento la nostra solitudine. Corre da noi al resto una distanza remota e forse di ciò che accade, solo più tardi si avrà un racconto svagato e impreciso. Coltiviamo di questa indagine dentro noi stessi una rassicurante legittimità, poiché niente è apparentemente legittimo in ciò che siamo. Dove sono finiti, fratello, i nostri sensi di colpa? Ogni disagio è stato cancellato. Noi siamo oggi pieni di salute e rischiamo, perché abbiamo portato la nostra libertà di rischiare fino alla necessità di farlo. Si infrangono i vetri e tutta la possibilità di parlare, di esistere persino ci è irrimediabilmente negata se non attraverso la durezza di questo scontro, se non attraverso il volto degli altri. Poiché il dolore fisico è il tuo labbro che sanguina, sono le mie braccia che riconosco, ostinate, sono il bastone che stringono, sono che tutto di colpo si fa indistinto e fumoso e ci chiamiamo, senza nome, poiché lottiamo uniti chiamarsi è un bisogno. Abbiamo paura di cedere, solo questa paura che è nuova e feroce. Ma sappiamo colpire senza averlo mai imparato.

(GRAZIA FRESU, CANTO DEGLI SPERONI ROSSI, ED. EDGRAFEMA, 2021, pag.89)

STRALCI CRITICI

Prefazione di Enzo Montano

“In questo primo romanzo, Grazia Fresu fatica a tagliare i ponti con la poesia giacché la ricerca poetica è ben pre­sente in tutte le sue pagine. Canto degli speroni rossi è un libro da leggere lentamente, soppesando i pensieri espres­si, l’intensità dei dialoghi e le parole utilizzate. Sono pagi­ne dense di sentimenti, separazioni, dolori, ricerche, sco­perte, poesia. Sì, perché la poetessa Grazia Fresu emerge potente nella costruzione delle frasi, tanto da pensare che il romanzo si potrebbe trasformare facilmente in un poe­ma in versi: il poema del ’68. Nel titolo del romanzo sono preannunciati i due pila­stri della narrazione: la cultura e la militanza politica. Nel­la parola canto si evidenzia una scrittura che è canzone, nel ritmo e nella melodia in cui la storia si dipana; negli speroni rossi la metafora dell’impegno politico e della lot­ta si fanno evidenti. “

“Canto degli speroni rossi è la storia di una generazione che ha esaltato la bellezza, la fantasia, la cultura, l’impe­gno sociopolitico, la lotta collettiva per un mondo miglio­re con numerosi riferimenti di esperienze e cultura. Pro­babilmente per chi quei riferimenti non li ha o li possiede solo in parte, la lettura potrebbe risultare impegnativa, ma chiedo soprattutto ai giovani di leggerlo con attenzione giacché, sono certo, dopo averlo terminato, troveranno le motivazioni e la voglia per approfondire la loro conoscen­za di quello che, come detto, fu periodo di grandi fermenti culturali e trasformazioni sociali fino ad allora inimmagi­nabili e, forse, non ripetibili.

La “restaurazione” ha cancellato quello che eravamo e mutato la potenza della cultura collettiva in ricordi lonta­ni e folcloristici. Troppo spesso, infatti, le vicende di que­gli anni sono state, e lo sono ancora, raccontate in manie­ra confusa e superficiale snaturando il senso della storia, perché il Sessantotto, come si deduce dal libro di Grazia Fresu, è Storia, la storia che ha cambiato le abitudini e i modi di essere dell’intera nazione. È storia complessa ed esaltante vissuta collettivamente come mai in preceden­za.”

Recensione di Renato Casolaro

“Alla prima lettura colpisce subito lo stile, poetico e metaforico, del romanzo, che non a caso è intitolato “Canto”. Chi conosce le successive prove poetiche di Grazia Fresu sa che sarebbe rimasta fedele alla scrittura poetica più che prosastica.

La storia è narrata “a caldo” dal protagonista, che si rivolge quasi sempre al fratello di due anni più giovane, in un dialogo fitto con un “tu” in cui si rispecchia un alter ego dell’autrice stessa, come rivela qualche connotazione caratteriale (“la tua mitezza, il mio ardore”), anche al di là di certi particolari riferibili alla biografia di Grazia Fresu e della sua sorella Anna, quali la Sardegna e gli studi a Roma. Il romanzo esprime dunque il punto di vista di uno studente colto, le sue istanze esistenziali prima ancora che sociali, tra aspirazioni di giustizia e ansie di autorealizzazione umana individuale.

Si tratta di un romanzo di formazione, dall’adolescenza alla conquistata maturità, attraverso la perdita dell’innocenza, che non sfocia però in una “maturità” disincantata e cinica (come spesso nei romanzi francesi dell’Ottocento), ma piuttosto in una nuova innocenza ritrovata, che persisterà (è questo il messaggio conclusivo dell’opera) come pilastro portante nel resto della vita adulta.

Il percorso si svolge in tre tappe, che sono le tre parti in cui si articola il libro: Prologo, Riva sinistra, Epilogo. Le tre parti sono strutturate in capitoli non numerati ma calibrati con una precisione certamente non casuale (13 capitoli ciascuno il Prologo e l’Epilogo, 26 la più corposa parte centrale).”

“Tutto si svolge però nel romanzo attraverso la riflessione, con numerose citazioni più o meno esplicite (da Brecht a Rosa Luxemburg, a Jean Genet e ad altri), con l’ansia intellettuale che fa da sfondo a tutte le avventure: “Capire mi perseguita, pure è l’unica persecuzione che mi salvi da una solitudine aristocratica e dannosa”.

“Insomma, il presente si salda a tutti i livelli – dall’ideologico all’affettivo al pratico – con il passato; e un viaggio all’interno dell’isola natia diventa “la conoscenza” che “viene a sedersi tra di noi”, collegandosi anche con gli “ottanta cavalieri” che in un’opera del poeta sardo Pietro Mura “scendono dal Sopramonte” a portare “la canzone degli speroni rossi”, il “canto” (cui allude il titolo del romanzo della Fresu) della rivolta e della salvezza, della disperazione e della speranza.

E con la speranza termina il libro, con questo finale che rivela il motivo per cui uno scritto di molti anni fa può rivendicare la sua attualità:

“E sento che non c’è fine in questa storia che possa essere scritta, perché il tempo del nostro vissuto è quello della parola dolorosa e ardita che abbiamo saputo darci e che continuiamo a tenerci dentro come una speranza ostinata e più forte”.

 

Recensione di Elvira Rossi

 

Grazia Fresu, autrice del Canto degli speroni rossi, attraverso i personaggi del romanzo racconta il proprio vissuto durante e dopo la contestazione studentesca del ’68.

Le pagine, scritte contestualmente ai fatti narrati, conservano la freschezza di un presente che non ha conosciuto il filtro della memoria. Il passato diventa presente, lo spazio temporale si azzera. Ogni frase del libro apre spazi sconfinati di riflessione, tanto che nel tracciarne i tratti essenziali si rischia di smarrirne la profondità.

Nella narrazione percepiamo i palpiti, le emozioni, il fervore intellettuale della scrittrice, che ha condiviso il sogno di una generazione.

Il ‘68 sconvolge assetti consolidati e si consuma una frattura tra i giovani e le istituzioni. Affiorano difficoltà di comunicazione fra il mondo studentesco e gli intellettuali chiusi nella propria erudizione e sordi alle esigenze reali.

Viene smascherato il carattere autoritario del sistema di trasmissione delle conoscenze e in discussione non sono solo l’organizzazione e la gestione della scuola, ad essere messa sotto accusa è l’idea stessa di una cultura, che riflette il classismo della società.

In nessun momento della storia le aggregazioni sociali sono state così sentite e la barriera tra la dimensione privata e quella pubblica viene ad essere abbattuta. Le amicizie e gli amori diventano un momento di crescita personale in parallelo con la militanza politica, essenziale per la elaborazione di nuove idee. Nel romanzo la parola confronto ritorna più volte, ponendosi come un elemento cardine che regola le relazioni. Netto è il rifiuto di percorsi già tracciati e tutto viene messo in discussione, per restituire a ogni parola il significato autentico portando alla luce falsità, storture, pregiudizi. Il dibattito teorico richiede di connettersi dialetticamente alla conoscenza diretta delle situazioni, per dare una risposta concreta al bisogno di giustizia sociale.

“Noi non abbiamo obblighi di fedeltà con ciò che ci precede”

La parola è potenza creativa e in quanto tale si esprime nel canto, nella musica, nella scrittura, nella recitazione, nella ricerca di nuovi codici. E l’arte, in una varietà di forme, dialoga sia con la conoscenza che con la bellezza, valori inalienabili, giacché a nessuna ideologia o progetto può essere riconosciuto il potere di impoverire la fantasia e offuscare il diritto alla gioia.

La prosa di Grazia Fresu canta la realtà. Gli elementi dinamici della narrazione vanno incontro al lettore attraverso una singolare scrittura, che svela la disposizione filosofica e la vocazione poetica dell’autrice. Il linguaggio poetico, ricco di immagini figurate, non adombra la verità, anzi la esalta, giacché riesce a cogliere le sfumature, i dettagli, le emozioni che hanno animato l’azione politica.

Alla storia scritta da una generazione non può essere apposta la parola fine, a sollecitare la continuazione del Canto degli speroni rossi di Grazia Fresu, è la marcia minacciosa delle forze ostili che tentano di arrestarlo. Resta irrinunciabile il sogno di un mondo fondato sulla giustizia.

“E sento che non c’è fine in questa storia che possa essere scritta, perché il tempo del nostro vissuto è quello della parola dolorosa e ardita che abbiamo saputo darci e che continuiamo a tenerci dentro come una speranza ostinata e più forte.”

Pagina Facebook Canto degli speroni rossi: https://www.facebook.com/speronirossi/

 

Grazia Fresu_fotoGRAZIA FRESU È nata a La Maddalena, in Sardegna. È  dottore in Lettere e Filosofia all’ Università “La Sapienza” di Roma, specializzata in Storia del teatro e dello spettacolo. A Roma ha lavorato per molti anni come docente e ha sviluppato la sua attività di drammaturga, regista e attrice e dal 1998, inviata dal Ministero degli Affari Esteri, si è trasferita in Argentina, prima a Buenos Aires e attualmente a Mendoza, dove insegna   lingua, cultura e letteratura italiana nel Profesorado de lengua y cultura italiana, Facoltà di Lettere e Filosofia, della Università Nazionale di Cuyo. È poetessa, con quattro raccolte poetiche edite: “Canto di Sheherazade”, Ed. Il giornale dei poeti, ROMA 1996, presentato alla Fiera del libro di Torino del 1997; “Dal mio cuore al mio tempo” che ha vinto in Italia nel 2009 il primo premio nazionale “L’Autore”, pubblicato nel 2010 dalla casa editrice Maremmi- Firenze Libri; “Come ti canto, vita?”, Ed. Bastogi, Roma 2013; “L’amore addosso”, Ed. Bastogi, Roma 2016. Ha partecipato a vari congressi con conferenze su temi di letteratura e problematiche culturali, educative e sociali e pubblicato i suoi saggi critici in atti congressuali e riviste specializzate. Ha inoltre realizzato molti eventi di narrazione e messo in scena i suoi testi teatrali con la sua e altrui regia. Collabora con la rivista online “L’Ideale” curando la rubrica di cultura e società “Sguardi d’altrove” e con il magazine “Cinque colonne” nella Terza Pagina con articoli di letteratura, arte, società. Le sue poesie “Deserto, inconsapevole esilio”, “Le  terre dell’esilio”, “Mi sei mancata più di tutte le mancanze”, “Passano”, “Quando partivi, padre” fanno parte dell’antologia “Molti nomi ha l’esilio” di nostra prossima pubblicazione.

Riguardo il macchinista

Lucia Cupertino

LUCIA CUPERTINO (1986, Polignano a Mare). Scrittrice, antropologa culturale e traduttrice. Laureata in Antropologia culturale ed etnologia (Università di Bologna), ha conseguito un Master in Antropologia delle Americhe (Università Complutense di Madrid) con tesi sulla traduzione di fonti letterarie nahuatl. Vive da tempo tra America latina e Italia, con soggiorni più brevi in Australia, Germania e Spagna, legati a progetti di ricerca, educativi e di agroecologia. Scrive in italiano e spagnolo e ha pubblicato: Mar di Tasman (Isola, Bologna, 2014); Non ha tetto la mia casa - No tiene techo mi casa (Casa de poesía, San José, 2016, in italiano e spagnolo, Premio comunitarismo di Versante Ripido); il libro-origami Cinco poemas de Lucia Cupertino (Los ablucionistas, Città del Messico, 2017). Suoi lavori poetici e di narrativa sono apparsi in riviste e antologie italiane e internazionali. Parte della sua opera è stata tradotta in inglese, cinese, spagnolo, bengali e albanese. È curatrice di 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos (Arcoiris, Salerno, 2016, menzione critica nel Premio di traduzione letteraria Lilec – Università di Bologna); Muovimenti. Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi, Lecce, 2016) e Canodromo di Bárbara Belloc (Fili d’Aquilone, Roma, 2018). Membro della giuria del Premio Trilce 2018, Sydney, in collaborazione con l’Instituto Cervantes. Cofondatrice della web di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com, con la quale promuove iniziative letterarie e culturali in Italia e all’estero.

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