Con questa selezione di poesie giovanili, La Macchina Sognante intende ricordare il poeta Maurizio Brusa, recentemente scomparso. Nel corso dell’anno pubblicheremo altre selezioni ed approfondimenti, questo è solo una veloce, prima incursione nella sua vasta opera. Ringraziamo caldamente il figlio, il poeta Alessandro Brusa, per aver messo a disposizione i testi.
“Penso che siamo nel vicolo dei topi
dove i morti hanno perso le ossa”
T.S. Eliot
Parte I
dice che il fiume era lì ( a due
dita dal crocifisso) che
all’arte nessuno
ci pensava per
aver giocato con sei ombre
ed un negro senza ricordi (per un gioco d’accenti)
Parte II
infilato nell’occhio
e macchiato) sapeva già che
non potevamo perderla né
lasciarla andare così (con
gentilezza) stava
davanti sui vicoli. A rubare chi passava che
non era una colpa ma certo
una grossa disattenzione così
feci l’errore (su quel
piccolo gesto la
creazione di un romanzo coniugale o di
rumorosa conchiglia e
stavano dritte
appunto quelle ombre rubate. Ch’erano tornate
raccontando che mi conoscevano) ma dissi
che non avevo intenzione di restare che tutto è passato
e da quell’occhio non
solo da quello capisci (con discrezione
la voglia di separare. Con incredibili vuoti senza terra) e davvero
non potevamo insegnare
a nessuno come
camminare fuori delle mura
Parte III
(con le finestre dietro
che ti bruciano o
ti legano le scarpe i campanili) così qualcuno era uscito
aveva cominciato a girare
fra le vigne cercando il suo problema. E mi chiedo
dove sia finito già qualche volta insieme
avevamo capito avevamo deciso. Che tutto fosse così che
sono cose fragili (quante bambine sono morte da allora in ogni modo
non è rimasto nessuno. Come
ad ogni partenza i
abbiamo fatto le scarpe alla nostra storia) e con
l’inverno fuori c’era
la voglia di scendere. A caldo a bere e parlare e
nessuno allora
sorrideva meglio
dl nostro dispiacere a cercarci
Parte IV
sotto le antenne dove si
appendono i suicidi
incostanti ( che ritornano t’infilano
le braccia nelle orecchie. Ti rovesciano gli occhi
dalle spalle) già ieri
c’era la scuola con
i nostri compagni. Con i fazzoletti gialli
piantati sulla bocca quello
d’angolo si fermava a tagliare il cielo a strisce nel giardino di famiglia
piantato sotto il banco col
suo pezzo di croce
che di fatto
ci si era già affezionato. M’ha salvato dal gioco (con la
polvere nel letto la
noia di una donna cucita sul tavolo) che tutti
erano poveri altrimenti solo vecchi e
nessuno rischia (a capire la tua innocenza per regalare con
discrezione un giorno di festa qualcosa di effetto
per la solitudine o) a giocare
coi gessi peccavano le trecce
alle compagne le barche in alto. In alto che
c’era paura di vederle e
giù a guardarli crescere ma qualcosa
di triste ci teneva (qui all’ombra di chi abitava
queste figure sottili) come l’affetto per la causa dei morti. Come
fossero rimasti indietro (con le dita puntate coi
giornali e l nostra storia di
uscire dalle scarpe
di questo inverno)
Parte V
è vero. Questo inverno ha
tagliato molte cose ma
quello che importa
è che non l’ha fatto con cattiveria. Piuttosto
mi dicevano di non
cambiare città (che era
una cosa buona restare a leccarci le orecchie per
non sentire una qualche donna che fosse
diversa) così
non ne ho vista nessuna e
sono più solo di una folla con la sua gola rotta ma è anche vero che
ogni cosa si cancella. O si dimentica con le spalle
incollate a questa stagione (chi è morto oggi
può lasciare che la nostra religione si geli
i cancelli nelle scuole sono venuti vuoti come la nostra presenza) con gli
occhi buoni per uccidere
farfalle che stanno
dove il sol lascia l’anima e
se fosse quel sentiero dietro. Dove
misurare i giorni
rovesciando nel colletto le sue preghiere (come
le ombre senza bende. Nelle maree quando
il caldo dell’inverno non riesce
ad inventare una spiaggia. O qualche donna a misura di solitudine
quando l’etica si ribella si
allaccia i sandali e scende dalle sue stanze per
una goccia d’alcole una carezza) ditele che ricordi. Per amore
non solo per
amore
come per paura e. Per paura siamo sepolti per
rispetto a
questi lenzuoli
di donna (prima che la pelle riempia
le pareti di caldo) prima che
il corpo si distenda o
si disfi per i pensieri non detti on questa natura che la scienza ammira.
La Natura che mi porto a letto di mattino
quando in strada si accende il lavoro (e la voce
ripete che le scale di notte
hanno ballato e tremavano e che dovevo scendere. Perché
la notte non possa trovarmi con la pagina che
mi dorme in bocca)ma qui
una bocca veloce può
nascondere tempo e alberi. E il tempo di morire è lì aperto col
peso di un mattino preciso (e non
puoi pulire tutta questa muffa
col guanto né togliere
queste formiche
dai brandelli
della terra)
Parte VI
I camini appena
sono
vecchie dita con fili d’erba sulle unghie
e occhi per urlare ed è qui che l’inverno ritorna con
le sue strade spaccate (e tu a dirmi che
vedrai: farà molto caldo) a tirare
fuori morti a parole a cercare
radici a lasciare le baracche ed io a dirti che
era lì che c’eravamo persi e
niente era più triste della nostra disperazione a ritrovarci. Che sì
questa disperazione è la tua fora (non possiamo
lasciare una parola anche
un piccolo gesto
di capelli rotti nelle sue mani) noi
che l’abbiamo conosciuto alla fine
ora che la lotta è solo roba
da vivi che abbiamo
imparato
crescere con i morti
Parte VII
(e sapevamo di portarla con noi con
sul suo piede rotto dalla neve non
ha mai detto di odiarmi ma
che mi aveva inventato per aggrapparsi alla vita. Quando entrai
quelle donne si alzarono la stanza
aveva ingoiato tutti i
capelli davanti ‘era un cervello ricordò quegli anni poi
mi allontanarono per
fare all’amore
così
uscii al freddo
per la seconda volta) se
Parte VIII
qualcuno fosse ucciso
ora e fosse mia la colpa non lascerei
che qualche spazzino
lo mettesse da parte ma scrivere per i morti
non è un mestiere per un poeta come me (che una
semplice pedata ha stampato sul
muro di casa). So che queste cose
le hanno disfatte con
quattro ossa d’alberi dove
c’ hanno impiccato un fantoccio ( lo lasciano così
vecchio a ballarci intorno a riscaldare
questo giorno che scappa) dicevamo
di ricordare le prime assemblee con i compagni che se ne andavano con
l merende in bocca a
giocare nel bar
dell’angolo. Perché solo a noi
hanno insegnato a giocare ora
ci portiamo a letto e
ci divertiamo a pensarli
che scappano. E sembrano tutti colombi verdi che
siedono ad istruire la gene (e così via
fino
al mattino)
Parte IX
come un tenero ricordo
equidistante dai sogni (la conoscenza
di quel corpo mi
stringeva il collo come un osso cucito a fatica) i compagni
si divertivano con quest’occhio
a colorarlo di notte. Per dirmi di andarmene
anche da quella parte che tutto sommato
mi ci sarei annoiato. Allora ho capito che
devo lasciare questa tristezza
sul comodino
la mattina presto fra la polvere di un racconto (senza
attaccare figure o disegni alle pareti
perché è lì che devo infilare
le mani. Con un piccolo diamante
fra le unghie per ricordarmi della libertà) ora
siamo distesi fra queste poltrone a guardarci come ombre calde
che devono di nuovo
inventarsi. So bene che dovrei fare silenzio.
(da RENDICONTI, fascicolo 29/30, gennaio 1977)
Per chi volesse avvicinarsi alla sua opera e biografia, proponiamo il ricordo apparso subito dopo la sua scomparsa in Poetarum Silva.
Immagine in evidenza: Foto di Melina Piccolo.