I Non-Luoghi ai tempi del Covid19

DSC_3969

Parlare di Non Luoghi nel bel mezzo di una pandemia che sovverte l’ordinamento sociale vigente implica una sorta di ridefinizione del termine, condizionata da nuove forme di socializzazione. Oggi, in mezzo a un contesto globale gli esseri umani cercano disperatamente di ottenere un contatto meno immediato precisamente in quegli spazi dove una volta il passaggio di esseri umani obbediva ad una necessità d’indole contrattuale, come definito nel 1992 dall’antropologo francese Marc Augé nel suo libro Non-lieux Introduction à une anthropologie de la surmodernité per designare quelle strutture necessarie alla circolazione delle persone e degli oggetti, come autostrade, aeroporti, mezzi di trasporto, centri commerciali, sale d’aspetto e ascensori.

Si trattava d’un periodo compreso all’interno del famigerato e dibattuto Post Modernismo, un momento storico successivo ad una prima ondata di capitalismo sfrenato in cui il potere contrattuale tagliava già allora alla collettività quel simbolismo che le permetteva di far parte di una comunità, riducendo di conseguenza la capacità di stabilire rapporti basati su una comunicazione proficua. I supermercati al posto dei mercati contadini, i grandi magazzini al posto dei negozietti di quartieri, la consumazione in un fast food all’interno dei centri commerciali invece di consumare un pasto in un bar o ristorante in piazza, tutti accomunati dal non stabilire rapporti umani bensì dall’acquisto, simboleggiato dallo scontrino e dalla fluidità del vincolo contrattuale.

Come la pandemia ha modificato i luoghi e i non-luoghi.

Troviamo allora che la pandemia e le rispettive misure di restrizione per evitare la diffusione dei contagi condizionano sia le necessità in termini di rapporti umani che le convenzioni stabilite o derivate dalla frequentazione di quello che prima veniva considerato come un Non Luogo. La comodità rappresentata a livello semiotico da un NON LUOGO, libero dal peso dell’identità come scritto da S. Bauman, dove il consumatore o cliente può passare senza essere sottomesso a nessun tipo di “smascheramento”, trova nella pandemia un nuovo significato.

In alcuni paesi dove il periodo di quarantena si è prolungato estensivamente, i non luoghi sono diventati l’unico punto d’incontro e di socializzazione, pur marginale e limitata. In Colombia, ad esempio, con un periodo di quarantena tra marzo e settembre dove le uscite da casa e i giorni di spesa alimentare a settimana venivano regolati dai digiti nella carta d’identità e/o patente, il ritrovo tra le persone pur a certa distanza fisica in centri commerciali diventava un’esperienza socializzante indispensabile per reggere le pressioni psicologiche del confinamento. Così quel Non Luogo che finora era sprovvisto di un carattere simbolico, acquista una dimensione legata all’esperienza della prossimità. Nonostante, come segnala Bauman a livello teorico, questa falsa e contingente necessità o sensazione di comunità, con un accesso garantito solo a chi compie delle regole: l’uso della maschera e il documento d’identità, ad esempio, implichi una specie d’identità accomunata, validata da livelli di somiglianza tra le esperienze convalidate da ciò che si sta assumendo contribuisce al fatto che il Non luogo diventi un Luogo anche se dovuto a cause contingenziali e transitorie.

Alla fine, un NON LUOGO è uno spazio spoglio senza identità, relazioni e storia (Z. Bauman). Anche se il libro di Augé non è apparso ai tempi dei nativi digitali, piuttosto in un momento storico precedente alla comparsa di internet in tutto il mondo, venti anni dopo, quella individualità eccessiva verrebbe utilizzata o piuttosto “impacchettata” sotto un altro involucro dai social network, attraverso l’avvento di Facebook e successivamente di altre tipologie di reti e piattaforme che sono diventate “luoghi” virtuali dove ognuno costruisce un assetto simbolico, stabilisce delle affinità e reti di amicizie, collega pure i contatti con altre realtà, acquista beni, e crea business sviluppando aziende e servizi che oggi sono alla base di un sistema denominato come  Ipermodernità, ovvero  un periodo costituito da un’intensificazione e un’accelerazione della Modernità che in periodo pandemico riporta con sé innumerevoli vantaggi, ma che non sostituisce i rapporti umani che ne derivano della frequentazioni di spazi fisici. Servizi come l’educazione scolastica e universitaria, i corsi di formazione a pagamento, la produzione artistica (teatri, cinema, festival letterari ecc.), eventi di carattere istituzionali e diverse tipologie di lavoro che implicano un contatto interpersonale, venivano erogati e sviluppati in LUOGHI fisici, la cui frequentazione sfocia in una estesa rete di rapporti.

Va sottolineato, che uno spazio virtuale non sarà mai un NON LUOGO per un nativo digitale e nemmeno per una comunità che può trarre vantaggi in termini di servizi, per cui si corre il rischio di una ingannosa sostituzione dei veri Luoghi con spazi virtuali d’indole contingenziali, soprattutto per i più giovani.

Ma come interagisce il discorso dei NON LUOGHI con la pandemia di COVID SARS 19? Come premessa fondamentale alla base di ogni considerazione c’è la destrutturazione o decostruzione subita dalla socialità, il tratto principale dell’essere umano, che ne ha determinato la sua sopravvivenza e lo sviluppo come specie.

La malattia ci ha messo di fronte a una insidiosa e crudele sfida, ovvero, saper confrontarci con gli altri in tempi di sopravvivenza e di limitazione di spazi, di confinamento ed isolamento, perché ciò che conta di tutto è come stanno evolvendo i rapporti umani e la loro interazione con gli spazi fisici e virtuali sulla base di regole e leggi stabilite da strutture gerarchiche e/o di potere. Durante questi mesi abbiamo visto ribaltare concetti prestabiliti nell’utilizzo dei territori, luoghi e spazi fisici oppure confermando attualmente ciò che alcuni studiosi avevano già individuato in passato.

A questo proposito troviamo una perfetta applicazione delle Zone Rosse nel concetto denominato “Spazi Vuoti”, sviluppato da Jerzy Kociatkiewicz e Monika Kostera. Centri abitati, piccoli paesi o quartieri svuotati dal loro simbolismo originale per il fatto di essere nel suo momento uno spazio carico di persone con una certa alterità, quella conferita dal fatto di aver un numero elevato di cittadini contagiati di Covid. Comunità piene di essere umani, a cui è stata conferita un’alterità che impone il distanziamento radicale.

Ma certe volte il Covid Sars ha comportato un doppio taglio su certe zone geografiche, assediate da uno stato di povertà pre-pandemico sia a livello economico che di emarginazione simbolica dove le regole faticano ad essere rispettate. Una prospettiva che si verifica in diversi luoghi del sud del mondo, come il caso dei Quartieri del Sud Ovest della città di Barranquilla (Colombia), dichiarati nella prima ondata dei contagi dalle autorità locali come Zone “Cerchiate” anziché “Zone Rosse o di Confinamento”, un termine che rafforza una visione di società antropoemica: letteralmente che vomita, espelle le persone (i diversi, e più in generale tutti quelli che non si fanno omologare).  Gente che non dipende da una vita ordinata, e quindi sensata: gente alla quale si addossa la colpa dei fastidi e dell’insicurezza con cui è difficile convivere, e ancora più duro mantenere la serenità di spirito collegata alla pandemia. Qui si fondono due visioni, quella di Bauman e quella di Levi Strauss.

Infine, entriamo nel luogo per eccellenza dei nativi digitali che però assume una valenza di indole economico e lucrativo per chi non appartiene a questa generazione ma che ancora lavora da casa in modalità smart-working e persino per chi desidera reinventarsi o dar valore aggiunto alla propria attività lavorativa. Qui si verificano i tre eccessi che Marc Augé definì a livello dei processi: l’accelerazione del tempo e di conseguenza quella della storia, l’espansione dello spazio e la figura dell’ego o dell’individuo. Dice Augé: “L’accelerazione della storia corrisponde ad un fatto o molteplicità di successi imprevisti” come il caso del Covid che però ci impone di avere “immagini di tutti i tipi nel nostro monitor o attraverso le nostre piattaforme conferendo una visione istantanea di qualcuno con cui dobbiamo sviluppare un progetto dall’altra parte del mondo ma che adesso più che mai si rende necessario”. Questo ci confina in uno spazio fisico limitato, evitando la prossimità fisica la cui categoria di “Unione” viene cancellata attraverso un continuo invito al dialogo e l’interazione attraverso i mezzi elettronici. Compiendo tutti i tre eccessi secondo Augé possiamo addentrarci tranquillamente nel concetto del NON LUOGO, una realtà innegabile che la pandemia ci ha fatto vivere all’interno delle nostre proprie abitazioni.

Ci rimane da pensare che il superamento della pandemia lascerà un’impronta molto incisiva nel modo di approfittare di certe categorie di servizi, conferendo del valore aggiunto a spazi o Luoghi ripensati e rivalutati come nel caso dei piccoli negozietti, i teatri, le sale da gioco, le caffetterie ecc.  nonché l’esperienza ludica che proviene dal poter condividere una maggior qualità del tempo in virtù dei valori condivisi, d’un maggior impiego della comunicazione interpersonale e del contatto fisico finora non sostituibili da nessuno Non Luogo, virtuale o fisico che sia.

dav

dav

Lina Scarpati nasce in Colombia dove si laurea in Scienze della Comunicazione Sociale con indirizzo audiovisivo alla Universidad del Norte (Barranquilla). Dopo aver lavorato per il canale di televisione della sua Regione come scrittrice e nell’ambito della gestione culturale
per il governo Italiano in Colombia, riceve una borsa di Studio per realizzare studi di perfezionamento in Marketing Culturale all’Universitá di Bologna. In Italia ha lavorato per documentari come “Sacco e Vanzetti” e nell’ambito delle comunicazioni a livello imprenditoriale sviluppando progetti d’indole editoriale nonché strategie di promozione. Nel 2016 crea il sito “Mujeres en Travesía” www.mujeresentravesia.com, blog bilingue (spagnolo ed italiano) dedicato alle donne immigrate ed ai processi di interculturalità vissuti nei paesi di accoglienza durante il percorso per arrivare al “sogno migratorio”. Nel 2018 è stata selezionata dalla Cineteca di Bologna per il progetto “Autoritratti nell’era del selfie”, mostra di autoritratti esposti in sede. Attualmente, lavora come copyrighter per diverse agenzie di comunicazione nel territorio bolognese.

LogoCreativeCommons

Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.

 

Immagine in evidenza di Alberto Guadagno.

Riguardo il macchinista

Maria Rossi

Sono dottore di ricerca in Culture dei Paesi di Lingue Iberiche e Iberoamericane, ho conseguito il titolo nel 2009 presso L’Università degli Studi di Napoli l’Orientale. Le migrazioni internazionali latinoamericane sono state, per lungo tempo, l’asse centrale della mia ricerca. Sul tema ho scritto vari articoli comparsi in riviste nazionali e internazionali e il libro Napoli barrio latino del 2011. Al taglio sociologico della ricerca ho affiancato quello culturale e letterario, approfondendo gli studi sulla produzione di autori latinoamericani che vivono “altrove”, ovvero gli Sconfinanti, come noi macchinisti li definiamo. Studio l’America latina, le sue culture, le sue identità e i suoi scrittori, con particolare interesse per l’Ecuador, il paese della metà del mondo.

Pagina archivio del macchinista