Grecia. Rifugiati e migranti muoiono di pena (Lucila Rodríguez-Alarcón)

26_ITALIANA_Rimondi_Low

In Grecia c’è gente che sta morendo di pena. Non me lo sto inventando, me l’ha raccontato il mio amico giornalista Antonio Trives, che recentemente si è recato lì per tre mesi. Antonio è partito con lo scopo di documentare la situazione di rifugiati e migranti in Grecia per la nostra fondazione, porCausa. Nel corso di questi mesi, Antonio ha collaborato con volontari indipendenti e contemporaneamente ha raccolto le storie di vita delle persone fruitrici degli aiuti. Esistono centinaia di migliaia di rifugiati e migranti sospesi in uno spazio senza legge nè speranza, un non-luogo istituito dallo Stato greco. La gente comincia ad essere disperata. Arrivano in Grecia con l’idea di ricostruire la loro vita, lì o in uno qualsiasi dei paesi dell’Unione Europea. Hanno già speso tutti i loro risparmi, gli hanno preso le impronte digitali all’arrivo in Grecia, quindi adesso non possono spostarsi negli altri paesi europei e non hanno i soldi sufficienti per tornare in Siria, dove molti di loro preferirebbero andare a morire al fianco dei propri cari, piuttosto che morire -letteralmente di pena- lì dove sono adesso.

In Grecia non li fanno lavorare. Molti restano nei campi per rifugiati. I campi vengono pagati con denaro dell’Unione Europea o con quello che molta gente di buona volontà dona ad ONG riconosciute o agenzie dell’ONU che sono le entità che di regola lavorano nei campi. Lì non c’è niente da fare. Lo spiega in modo magistrale il documentario di Julieta Cherep, “La niña bonita”1: “qui, quello che non manca è il tempo”. Non aver nulla da fare è deprimente. Nelle ricerche su casi di disoccupazione estesa, emerge essere un problema ricorrente ed una delle principali cause di depressione. Il punto non è che non vogliano fare nulla, ma che non li lascino fare nulla. Nessun rifugiato, rifugiata o migrante è approdato in Europa con l’idea di vivere di carità. Davvero possiamo arrivare a credere che, persone che hanno esposto la loro vita a livelli indescrivibili di pericolo, che hanno visto in faccia la morte più di una volta durante il loro periplo, lo abbiano fatto per andare a finire al chiusi di un campo e vivere di beneficienza?

Molti campi sono, architettonicamente parlando, orribili. La mia collega, l’architetta Lucia Gutiérrez, mi dà lumi su come, in molti casi, si stia usando un’architettura disumanizzata che assorbe fondi che si usano nelle carceri o in sistemi per depositare materiali inerti. Architettura perversa. Trives è stato in un campo interamente fatto con container d’acciaio. Come si genera comunità in un luogo composto da container d’acciaio? La gente fa miracoli con quel che trova e dimostra una forza e un entusiasmo titanici. Uno straccio di coperta introduce ad uno spazio, un tegame rotto per metterci le braci e accendere un piccolo fuoco, la cucina composta da un bidone gigante di acciaio corroso.

In Grecia i rifugiati e i migranti muoiono di pena. Si stanno uccidendo per quella pena. Sì, avete letto bene, si stanno uccidendo. Si stanno suicidando. Qualche giorno fa uno si è dato direttamente fuoco in un campo di Chio, in Grecia. Altri si uccidono crudelmente con una droga ribattezzata Shisha, anche nota col nome di “ammazzapoveri”. Costa pochissimo e ti uccide in sei mesi. Questa è una morte condivisa da rifugiati e greci disperati, in una situazione di precarietà che non possiamo immaginare. Globalizzazione del dolore e della disperazione, di fronte a ciò siamo davvero tutti uguali.

La cosa peggiore è che per tutto quello che vi racconto c’è una soluzione, non si tratta infatti di un problema caduto dal cielo. È un problema generato direttamente dalle irrazionali, reattive e insensate politiche migratorie. Stiamo investendo miliardi di euro all’anno per gestire la questione rifugiati e migranti. Parlo per davvero di milioni di euro, sono i dati ufficiali della stessa Unione Europea, analizzati dal prestigioso think tank O.D.I, in cui si parla di un investimento di 17 miliardi in tre anni, giusto per farci un’idea. Vi immaginate ciò che si potrebbe fare con 17 miliardi di euro? Tuttavia ciò che stiamo facendo con quei soldi è uccidere persone. Le uccidiamo in differita, certo, neppure una goccia di sangue appare sulle nostre mani. Le uccidono i libici nei campi gestiti con quei fondi, e questi sono daccapo dati ufficiali, dell’ambasciata tedesca in Nigeria. Le uccidiamo di pena. Le uccidiamo attraverso la nostra bislacca forma di solidarietà, mandando coperte e dando soldi affinchè non abbiano nulla da fare nei campi per rifugiati in cui vengono reclusi. Le uccidiamo non esigendo dai nostri governi spiegazioni, un uso corretto dei nostri soldi, come pure non esigendo da quelle ONG nelle quali abbiamo riposto la nostra fiducia, di unirsi in un’unica voce di dissenso, più che richieste individuali, no, non una sola protesta che esiga un altro modello migratorio che sia umano e rispettoso dei diritti umani.

____

Traduzione di Lucia Cupertino

Fonte: https://elpais.com/elpais/2017/04/18/3500_millones/1492506913_295752.html

Riprodotto per gentile concessione de El País

1 “La bambina carina”. Il documentario al momento è disponibile solo in spagnolo e inglese a questo link: http://www.laniñabonitadocumental.com/ (NdT).

Immagine in evidenza: Foto di Giulio Rimondi, “Bacoli, Campania”, dall’antologia fotografica Italiana, Kehrer Varlag Heidelberg Berlin 2016.

Riguardo il macchinista

Lucia Cupertino

LUCIA CUPERTINO (1986, Polignano a Mare). Scrittrice, antropologa culturale e traduttrice. Laureata in Antropologia culturale ed etnologia (Università di Bologna), ha conseguito un Master in Antropologia delle Americhe (Università Complutense di Madrid) con tesi sulla traduzione di fonti letterarie nahuatl. Vive da tempo tra America latina e Italia, con soggiorni più brevi in Australia, Germania e Spagna, legati a progetti di ricerca, educativi e di agroecologia. Scrive in italiano e spagnolo e ha pubblicato: Mar di Tasman (Isola, Bologna, 2014); Non ha tetto la mia casa - No tiene techo mi casa (Casa de poesía, San José, 2016, in italiano e spagnolo, Premio comunitarismo di Versante Ripido); il libro-origami Cinco poemas de Lucia Cupertino (Los ablucionistas, Città del Messico, 2017). Suoi lavori poetici e di narrativa sono apparsi in riviste e antologie italiane e internazionali. Parte della sua opera è stata tradotta in inglese, cinese, spagnolo, bengali e albanese. È curatrice di 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos (Arcoiris, Salerno, 2016, menzione critica nel Premio di traduzione letteraria Lilec – Università di Bologna); Muovimenti. Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi, Lecce, 2016) e Canodromo di Bárbara Belloc (Fili d’Aquilone, Roma, 2018). Membro della giuria del Premio Trilce 2018, Sydney, in collaborazione con l’Instituto Cervantes. Cofondatrice della web di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com, con la quale promuove iniziative letterarie e culturali in Italia e all’estero.

Pagina archivio del macchinista