Gaijin, di Maximiliano Matayoshi

Gaijin

Maximiliano Matayoshi, Gaijin, Funambolo edizioni, 2019

GaijinNata per pubblicare libri sull’arte di strada e il circo contemporaneo, la narrativa di svago e di sperimentazione, la casa editrice Funambolo pubblica nel 2019 Gaijin, di Maximiliano Matayoshi proponendo un libro apparentemente non in linea con la sua produzione editoriale.

Gaijin parla dello spostamento umano, è un libro che racconta una storia di migrazione, quella del piccolo Kitaro che, appena tredicenne, deve abbandonare il Giappone del post guerra. Non lo fa per scelta, è la vita che gli chiede di mettere in gioco tutto sé stesso, il suo presente e il suo futuro per il bene della famiglia, sua madre e la sua sorellina, accompagnato solo dagli insegnamenti del padre vittima della guerra. La meta del suo viaggio è una terra lontana, sconosciuta, solo immaginata: l’Argentina. Delle storie di migrazione ha tutte le caratteristiche. Il lettore è accompagnato per mano dall’autore nella vita di Kitaro prima della partenza, tra le difficoltà economiche di un paese che esce distrutto dalla guerra, dove gli “americani” sono gli stranieri che impongono la loro presenza. E poi c’è la Ruy, la nave sulla quale si imbarca, la prima prova da adulto che affronta. La solitudine è sua compagna. Giorno dopo giorno, i corridoi e ponti della nave si aprono ai suoi occhi e con essi la diversità umana, quella caratteriale, sociale ed economica (quest’ultima sicuramente la più difficile da gestire). Lo vediamo scendere e risalire dalla nave in ogni porto (Singapore, Maputo, Città del Capo…) e guardiamo con i suoi occhi le popolazioni che riesce quanto meno a scorgere in queste brevi soste, e con esse le dinamiche che le governano, anche quando sono dure da interpretare come nel caso della schiavitù. Nelle pagine incentrate sul lungo viaggio in mare Kitaro cresce, si allontana dal Giappone e dall’infanzia. Della nave riusciamo a sentire i rumori, viviamo l’oscurità della notte nella stiva dove il ragazzo ha il suo angolo di mondo e ci facciamo cullare dalle onde del mare nei momenti di smarrimento.

Ma la nave è solo una parte del viaggio, la meta, quella immediata, è Buenos Aires e così avvertiamo l’emozione che sale con l’avvicinarsi a terra. E poi una volta a Buenos Aires, lo spaesamento, lo sconforto di rimanere bloccato in quanto ragazzo non accompagnato, fino all’uscita da quell’albergo di prima accoglienza per migranti che è un nuovo ricominciare, un nuovo aprirsi alla vita.

Lui, moderno picaro, affronta le sfide di questo nuovo mondo: il lavoro, la lingua, le relazioni umane, e poi la scuola, il primo amore, la lontananza da casa, il diario per la mamma scritto di notte, quando tutti dormono e custodito assieme a ogni centesimo messo da parte da inviare in Giappone, e infine l’urgenza di rimanere anche quanto tutto sembra andare male per poter tornare a “casa” da vincente, e allora ancora altre avventure, un’altra città, altre persone, un nuovo lavoro e poi lo studio. Una vita che scorre cercando di essere sé stesso altrove, tra smarrimenti e ritrovamenti. Pagina dopo pagina il lettore diventa Kitaro, si immedesima in questo giovane uomo, ne vive le sensazioni e ne condivide le scelte, anche quella di ripartire a chiusura di un cerchio che è ritorno e ripartenza allo stesso tempo. Una vita in equilibrio tra più affetti, tra più luoghi, tra più tradizioni e più amori. E capisci che lo straniero, il gaijin, è un equilibrista della vita, le sue radici sono ovunque e in nessun luogo, un vero Funambolo. Decisamente ottima scelta per la casa editrice.

Ho iniziato a leggere questo libro prima che scoppiassero gli equilibri, prima che fossimo costretti a rimanere a casa, quando ancora si dava per scontato il contatto umano, la magia delle relazioni interpersonali e il senso di assoluta libertà che si può provare spostandosi da un posto all’altro senza limiti né – spesso – senza confini. Per tutta la lettura ho empaticamente vissuto il concetto di Gaijin, di straniero inteso come straniamento. Ora ripenso a quelle pagine e riesco solo a vedere l’immensità del mare, le distese sconfinate argentine, a sentire il vento in faccia e l’urgente desiderio di avventura e che spinge l’uomo a muoversi e a sfidare ciò che di sconosciuto la vita gli propone.

 

Maximiliano Matayoshi è nato a Buenos Aires nel 1979. Organizza workshop fotografici ed espone i propri lavori in mostre e pubblicazioni singole e collettive. Scrive racconti e antologie pubblicati, fra gli altri, da Eudeba, Santillana e Planeta. Gaijin, il suo primo romanzo, ha vinto il premio UNAM-Alfaguara nel 2002.

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Riguardo il macchinista

Maria Rossi

Sono dottore di ricerca in Culture dei Paesi di Lingue Iberiche e Iberoamericane, ho conseguito il titolo nel 2009 presso L’Università degli Studi di Napoli l’Orientale. Le migrazioni internazionali latinoamericane sono state, per lungo tempo, l’asse centrale della mia ricerca. Sul tema ho scritto vari articoli comparsi in riviste nazionali e internazionali e il libro Napoli barrio latino del 2011. Al taglio sociologico della ricerca ho affiancato quello culturale e letterario, approfondendo gli studi sulla produzione di autori latinoamericani che vivono “altrove”, ovvero gli Sconfinanti, come noi macchinisti li definiamo. Studio l’America latina, le sue culture, le sue identità e i suoi scrittori, con particolare interesse per l’Ecuador, il paese della metà del mondo.

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