Francescangelo (Marco Battista)

cachialberospoglio

Francescangelo

 

1

 

– Non riesce più a dire nulla.

– Non a noi, parla solo coi suoi morti.

– È impazzito.

– È andato, e non vuole più tornare.

– Potrebbe tornare?

– E per far cosa?

– Per morire.

– Un giorno mi pregò, qualora si fosse ritrovato in una situazione di disgrazia, di addormentarlo nella morfina.

– Lo faresti? Sei un medico.

– Avesse un male incurabile sì, sarebbe legale.

– Andiamo, vi offro un caffè.

– Salutiamolo. Ciao Francescangelo!

– Ciao Francescangelo, torniamo presto!

– Ciao Bello, a presto!

 

Francescangelo non li degnò di uno sguardo. Fuori la finestra il vento scuoteva gli alberi. Alcune immagini sorsero meccanicamente dal passato. Come su uno schermo le immagini del passato apparvero e scomparvero nella sua mente senza lasciare traccia.

 

2

 

Era ormai giugno. Una mattina di sole apparve Donatella in tutta la sua bellezza, nei suoi short di jeans, già abbronzata. Aveva ormai quasi trentacinque anni, aveva conosciuto Francescangelo dieci anni prima ed era stato per lei un colpo di fulmine. Francescangelo all’epoca aveva cinquant’anni e aveva una compagna, non ricambiò mai carnalmente l’amore di lei, che avrebbe potuto essere sua figlia. Non avrebbe mai potuto toccarla con un dito. Ma ne rimase folgorato nell’anima e tra di loro nacque un amore assurdamente platonico, assurdamente leale e profondo, che nel tempo convisse coi loro amori reali, i fidanzati di lei e le compagne di lui. Fino a che un giorno Francescangelo scomparve (finì anche in televisione su “Chi l’ha visto”) per essere poi ritrovato dopo alcuni giorni a Montenero, sopra Livorno, in stato di catatonia.

 

Donatella aveva adesso un marito e due figlie, ma la lealtà a quell’uomo di cui si era innamorata dieci anni prima non era mai venuta meno.

 

3

 

Donatella era adesso infermiera all’ospedale di Livorno, aveva ottenuto da tempo il permesso di portare Francescangelo fuori dalla struttura dove Francescangelo era internato. Lo andava a prendere al Calambrone, poco fuori Livorno, verso Tirrenia, e lo portava a prendere un caffè al Porto, oppure alla Terrazza Mascagni, o all’Ardenza, sempre sul mare.

 

Donatella era bassa di statura, due gambe sode e tornite, ti saresti aspettato due seni abbondanti e invece era praticamente piatta. Castana chiara, con tutto il sole che prendeva d’estate pareva bionda. Un viso bello, gioviale, da bimba spensierata in ogni stagione. Un’intelligenza pratica. Due piedi bellissimi.

 

Francescangelo era tutt’altro che bello, era stato un bel ragazzo atletico a vent’anni ma adesso era senza capelli e aveva una pancia enorme, ingrandita dal vino e dalla buona tavola prima della disgrazia, e, dopo la disgrazia, da tutte le medicine di cui veniva riempito, non si sa perché visto il suo stato di totale indifferenza al mondo. Agli occhi di Donatella apparve affascinante non appena aprì bocca per dire due o tre stupidaggini al bar dove Donatella lavorava d’estate. Si mise subito a ridere. Trovò che Francescangelo aveva un modo molto intelligente di scherzare, battute a volte con un retrogusto amaro, con riferimenti strani… battutacce che facevano ridere ma che a lei parevano anche intelligenti. Forse non se l’aspettava che un vecchio con 25 anni in più di lei sul groppone potesse essere così simpatico. Forse la presupposta intelligenza delle sue battute era da lei attribuita ad honorem alla sua veneranda età. Fatto sta che lei volle subito portarselo a un tavolo, dopo il lavoro, e scolarsi qualche birra davanti al mare insieme a lui. Così nacque tutto.

 

Stavano adesso a un bar davanti ai “Tre ponti”, subito dopo la Rotonda dell’Ardenza. Lei lo guardava col cuore pieno di sofferenza e di amore. Lui guardava il mare, al solito non parlava, non dava alcun segno di emotività. Donatella gli prese la mano, ma come sempre lui si ritrasse, come se il gesto caldo di lei attentasse al gelo del frigorifero in cui lui aveva preso dimora.

 

4

 

– Io lo so perché hai fatto la botta – disse Donatella all’indifferenza di lui, immaginando di parlare col Francescangelo che fu. – Hai fatto la botta perché avevi il cuore troppo grande. I tuoi morti ti svuotavano l’anima come quando si mangia un’arsella. Ti eri perso. Brancolavi nel mondo. Dovevi compensare quelle perdite. Ascoltami bene, io ti ho amato come mai ho amato qualcun altro. E anche tu mi amavi, anche se non me l’hai mai detto io lo so che mi amavi… Ma te eri un santo, non mi potevi prendere. Potevo essere tua figlia, così il sant’uomo non mi ha mai toccata. Coglione di un vecchio, se tu lo avessi fatto oggi saremmo qui felici e tu mi faresti ridere come facevi una volta con le tue stupidaggini…

– Brava, te trentacinque anni e io sessanta portati da fare schifo, non lo senti al naso? Puzzo già di morto. – Così Donatella si figurò la risposta di Francescangelo, e cominciò a ridere e piangere, piangere e ridere allo stesso tempo.

– Non avresti fatto la botta con me accanto nel letto…

 

5

 

Donatella aveva un pensiero pesante che la perseguitava. Cosa vuol dire amare fino in fondo? Cosa vuol dire dare tutto? Veramente tutto, tutta te stessa, tutto l’amore che hai nel cuore?

 

Francescangelo ripeteva sempre che avrebbe preferito morire affogato nella morfina piuttosto che soffrire insensatamente o vegetare in una situazione di non-vita irreversibile, ogni volta che si imbatteva in un medico si raccomandava, a volte suscitando ilarità, affinché, una volta in cui si fosse trovato nella disgrazia, nella perdita di dignità, l’amico si prendesse cura di lui e con gesto di umanità lo facesse addormentare. Era il suo incubo, la sua ossessione. La morfina. Soffrire come un cane. La malattia in stato terminale. Vegetare nella demenza. Decomporsi fino alla totale dipendenza dagli altri esseri umani. Le immagini dei suoi morti lo perseguitavano. Inconsciamente desiderava forse riabbracciarli, andare anche lui dove erano andati loro, ritrovarli per non perderli mai più, ripercorrere il loro sentiero, provare anche lui quello che loro avevano provato. Forse si sentiva in colpa per essere ancora vivo. Si immaginava spesso addormentato come loro in un letto d’ospedale al lento sopravvenire della pace. Aveva ragione Donatella. Si era perso, brancolava nel mondo.

 

Donatella era infermiera, volendo non avrebbe avuto grandi difficoltà a procurarsi alcune sacche di morfina e allestire in qualche modo una dolce morte a Francescangelo, così come Francescangelo aveva sempre dichiarato di desiderare.

 

Quel gesto tuttavia le avrebbe rovinato la vita, lei lo sapeva bene. Avrebbe avuto le attenuanti, ma avrebbe perso sicuramente il lavoro. Le sue figlie, una volta cresciute, avrebbero capito? Suo marito avrebbe capito? Donatella era una persona pratica e non voleva sfasciare la sua vita, la sua famiglia, ma il suo amore e la sua lealtà a Francescangelo parevano chiederle anche un gesto tangibile di amore, un gesto tangibile di lealtà. Troppo facile amare astrattamente, senza mai pagare un prezzo, stando sempre alla larga dai sacrifici. Ripeteva a se stessa.

 

6

 

– Dottor Marsili, la prego, lei era amico di Francescangelo e sa quello che lui ha sempre chiesto quando era in sé… Se posso permettermi… Facciamo delle analisi di routine… Facciamo che da queste analisi salti fuori un male incurabile che giustifichi il ricovero e la terapia del dolore… Nessuno si accorgerà mai di niente…

– Donatella, lei è completamente pazza, vuole farmi finire in galera? E poi consideri la cosa anche da un altro punto di vista. Sono un medico, crede che io sia un mostro? Se Francescangelo fosse terminale e soffrisse le pene dell’inferno io per primo sarei per addormentarlo per sempre e senza esitazioni. Ma Francescangelo è sano nel fisico e nella mente non soffre. Ha detto ciao al mondo e se n’è andato chissà dove. In un certo senso è già sotto terapia del dolore. In qualche modo se la è somministrata da sé. Sono stato chiaro? Francescangelo non soffre, sopprimerlo sarebbe solo una questione di principio legata a promesse fatte quando lui era presente. Soffriamo noi nel vederlo in queste condizioni, e le immagini offendono la dignità che noi abbiamo conosciuto in lui. Sono le stesse immagini che lui stesso ha avuto di sé quando ci ha chiesto di addormentarlo qualora si fosse trovato in una situazione del genere. Ma il dato reale è che lui se ne è già andato e somministrargli morfina adesso sarebbe non solo un vero e proprio omicidio, ma, cosa dirimente, un gesto completamente inutile perché lui non sta sperimentando adesso alcuna sofferenza. Sono stato chiaro? Spero di averla convinta. Ah, un’altra cosa. Se Francescangelo dovesse morire in circostanze più o meno misteriose le giuro che disporrò l’autopsia sul suo cadavere, così che se qualcuno gli avesse somministrato qualcosa per farlo morire quel qualcuno possa essere rovinato e finire in galera. Mi sono spiegato? Arrivederci Donatella, dico tutto questo anche per lei. Lei è una brava persona ed ha una splendida famiglia. Arrivederci.

 

7

 

Il dottor Marsili era uno stronzolo di arroganza, un pallone gonfiato pieno di sé che si era portato a letto tutte le infermiere del reparto. Era esattamente il tipo d’uomo che Donatella disprezzava. Ma Marsili aveva ragione. Addormentare Francescangelo sarebbe stata solo una questione di principio. Sarebbe stato un gesto inutile, e, adesso le era chiaro, folle. Fu allora, rimuginando la discussione col dottore, che nella mente di Donatella si affacciò un’altra idea, o meglio, un’altra visione delle cose. Avrebbe dovuto accettare la realtà. L’uomo che aveva amato non c’era più, al mondo era rimasto il suo corpo ma la mente e il cuore di Francescangelo avevano già preso il loro posto nell’oltretomba. Doveva dimenticarlo, dedicarsi al suo lavoro, alla sua famiglia, e piangere Francescangelo come se fosse morto, perché in realtà Francescangelo era morto. Non era più lui, non c’era più.

 

Promise a se stessa di non andare mai più a trovarlo, e di sgombrare il suo animo per far posto alla cura dei vivi. I morti li avrebbe raggiunti a suo tempo, forse fra cent’anni, forse domani… Di certo sarebbe morta nel futuro, mai nel presente. “Addio Francescangelo, fra noi finisce qui.” E il suo cuore provò ad andarsene altrove.

 

Per gentile concessione dell’autore, ripubblicato da L’umana tragedia e storie di Ardenza Mare, edizioni Libertà, 2015

marcobattista

 

Marco Battista nasce a Livorno nel 1965. Si trasferisce a Fornaci di Barga (in Garfagnana) e quindi a Lucca nel 1968 seguendo i trasferimenti del padre per motivi di lavoro. Trascorre tutte le estati a Livorno nella casa dei nonni fino alla maggiore età, quindi trascorre a Livorno tutti i fine settimana, anche adesso che a Livorno tutte le persone care sono decedute. Scrive in versi dal 1986, quindi si affaccia anche alla prosa ma mantenendo sempre una impostazione sostanzialmente lirica. Francescangelo, il cui titolo si ispira a una canzone di Piero Ciampi, Il natale è il 24, è tratto da “Storie di Ardenza Mare”.

 

Foto in evidenza di Melina Piccolo.

Foto dell’autore scattata da Marina Frassi, Marciana Marina (LI), settembre 2014.

Riguardo il macchinista

Benedetta Davalli

Benedetta Davalli Leoncini (Budrio 1944 - 2017), è stata cofondatrice de lamacchinasognante.com. Laureata a Bologna, ha esercitato la professione di psicologa e psicoterapeuta. Ha pubblicato "La penna ferita" (1992) "Luci e colori "(1997) "Voca voce" (2006). Ha fatto parte della Società poetica, arte della lingua materna di Ravenna ed ha curato il volume collettaneo "La lingua che accade "assieme a M.L. Antonellini e M. Collinelli. E' presente in diverse antologie della poesia italiana compreso le diverse edizioni di Poeti romagnoli d'oggi a cura di F. Pollini. Interessata allo studio della parola poetica ha sperimentato nei suoi testi una ricerca appassionata di significati, timbri vocali e immagini. ha fatto parte di multiVERSI.

Pagina archivio del macchinista