Fadwa Tuqan nasce nel 1917 a Nablus; soprannominata da Mahmoud Darwish “la madre della poesia palestinese”, è l’emblema della componente femminile nella resistenza e nella lotta sociale e umanitaria per il popolo della sua terra. Fadwa dedica questi versi di poesia a tutti i poeti della resistenza, riuniti per l’occasione in una conferenza ad Haifa.
Lo fa scandendo una serie di versi, di quesiti, di punti di riflessione in un susseguirsi talmente veloce, talmente duro, dirompente e tagliente che arriva a toccare e a bruciare l’anima.
La simbologia è fortissima, le parole prendono quasi vita, si possono immaginare, concretizzare; pregne di tristezza, sature di dolore. Fadwa sembra quasi discostarsi dalla sua stessa realtà, appare una visitatrice ignara, catapultata a sua insaputa di fronte a un pezzo importante della tragedia e travolta da un senso profondo di solitudine.
In pochi ma efficaci fiumi di parole, racconta il dramma -ancora attuale- di donne, uomini e bambini. Il dramma logorante dell’abbandono delle proprie case, ancore dell’appartenenza alla loro patria. E’ proprio l’abbandono il concetto che fa da sfondo e cornice; sensazione alienante che accompagna la poetessa quasi fosse un osso granitico che si riforma in essa, dal quale non si può separare mai più – declinato e espresso tramite più metafore. Le “piante spinose”, cresciute nelle case, sono il simbolo della tangibile solitudine rimasta del seme dell’ingiustizia maturato fino a prendere il posto di chi, fra quelle mura, aveva vissuto e costruito i propri sogni. Cosa vi è rimasto dopo la diaspora? Dei gufi, branchi di gufi cupi, sinistri. Tipico simbolo della letteratura classica, viene proiettato dalla poetessa nel suo presente: diviene la metafora dell’occupante.
La casa, quello che fra gli spazi materiali è il più intimamente caro all’uomo, qui viene persino personificata per evidenziare la concreta realtà, l’unica rimasta dopo l’occupazione. Un panorama, però, desolato di rovine, specchio della condizione dell’anima di chi le ha lasciate; costruzioni vacue, non più case, ora abitate soltanto dal silenzio dell’assenza -forse il più assordante fra tutti- che ne colma il ventre, eco della privazione di un’identità. Dov’è ora il sogno? Dov’è l’avvenire? Dove sono loro?
Camilla Brazzale, studentessa di Lingue e Letterature Straniere presso l’Università di Bologna. Appassionata di cultura, lingua e letteratura araba (focus del suo indirizzo di studi universitari) e attivista per la causa palestinese. Collabora con i Giovani Palestinesi d’Italia, nello specifico nei contenuti letterari.