estratto da “La Simeide. Una lotta vincente” (Seri Editore 2019), di Tullio Bugari

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La Simeide. Una lotta vincente.

di Tullio Bugari, Seri Editore

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«La Simeide» è l’epopea moderna di una fabbrica di operai di periferia. Racconta la meraviglia di una lotta vincente, e scopre quella meraviglia dentro la quotidianità dei fatti vissuti in modo intenso e consapevole. Non erano ignari gli operai di ciò che accadeva attorno e cercavano caparbiamente di esserne protagonisti, negli anni della partecipazione operaia e dei consigli di fabbrica.  E per riuscirci, dovevano farlo insieme alla città e comunità di allora, secondo i modi sociali, politici e istituzionali di partecipare, condividere e mobilitarsi.  In un periodo in cui le forme sociali e politiche di rappresentanza subivano importanti cambiamenti, tra gli anni Settanta e l’inizio dei Novanta.

Alla Sima di Jesi lavorano 700 operai: il 1977 è il primo anno in cui si rende evidente che qualcosa non va. A gennaio, una conferenza di produzione con tutti gli operai, tutti i partiti e la città, fa il punto della situazione: emergono luci e ombre. Sono troppe le voci che girano, e sono poche le risposte del proprietario, che non si fa vedere, è assente, sta trasferendo risorse ad una fabbrica in Brasile, forse sta intavolando trattative con la Fiat per una cessione.

 

  1. La situazione è confusa, tra promesse, smentite, trattative con la Fiat di cui non si conosce l’obiettivo: la situazione potrebbe precipitare… gli operai si mobilitano, organizzano incontri in consiglio comunale con i partiti, assemblee aperte in città, volantinaggi, manifesti, “giornali parlati” cioè girano con le trombe sull’auto per informare la città: “La Sima è un’azienda leader, il prodotto è di qualità e la professionalità operaia elevata. La crisi è finanziaria, causata dalla Proprietà, la quale ora non vuole mettere nuove risorse in azienda”, e così gli operai la invitano a farsi da parte: “LA NON VOLONTA’ DELLA PROPRIETÀ a immettere nuovi capitali e non mandare sul lastrico 700 lavoratori, LA ESCLUDE DAL DIRITTO DI PROPRIETÀ.”

 

  1. Il nuovo amministratore delegato incassa un importante credito dalle banche. Il Consiglio di fabbrica si è mobilitato per favorire l’operazione, perché l’alternativa era la chiusura, non nasconde però le sue critiche: “La concessione del prestito NON è risolutoria dei problemi finanziari e strutturali della SIMA, occorre un nuovo un piano che riguardi la natura della Proprietà, un nuovo capitale, un programma produttivo.”

 

L’Amministrazione comunale e i partiti politici cittadini si uniscono in un comitato interpartitico, la situazione però è più grave del previsto, alla Sima si dimettono uno dietro l’altro diversi amministratori, non si capisce più chi rappresenti l’azienda; sullo sfondo c’è sempre la Fiat a cui si chiede chiarezza. Inizia a prendere corpo l’ipotesi che sia meglio estromettere del tutto la proprietà e commissariare l’azienda: gli operai decidono di forzare la mano: siamo nel 1981, quinto anno di crisi… il blocco delle merci inizia il 23 febbraio con un presidio alle portinerie, esteso all’ufficio del dirigente più alto in grado rimasto in azienda. Gruppi di operai girano per la città a fare “giornali parlati”, distribuiscono volantini. Per il 25 è previsto un corteo con comizio in piazza.

Non sarebbe male nemmeno un blocco ferroviario ma nel documento distribuito, ovviamente, non hanno messo la data. Al momento giusto sarà scelto il treno rapido Ancona Roma. Si prendono contatti con i Consigli di fabbrica di Fiat Iveco e Fiat Allis; si chiede anche un incontro al Prefetto di Ancona e si invita il presidente della Regione a convocare congiuntamente i consigli regionale e comunale. Il blocco delle merci va avanti.

 

La pressione è così forte che la Fiat Iveco a Torino deve rallentare la produzione; le pressioni sono forti anche sugli operai per farli desistere. Il blocco cessa ma gli effetti si sono sentiti e la mobilitazione continua in altre forme; la proprietà della Sima tenta ancora altri rinvii ma oramai si sta andando verso il commissariamento dell’azienda, però… la Snam minaccia di chiudere il metano; ciò bloccherebbe la produzione causando la messa in liquidazione dell’azienda, rendendo inutili tutte le lotte.

Il debito con la Snam è di centinaia di milioni. Il Consiglio di fabbrica accusa l’azienda di irresponsabilità e la Snam di ottusità burocratica, poi incontra il Prefetto e chiede il suo impegno, scrive comunicati, organizza incontri a tutti i livelli per accelerare la nomina del Commissario giudiziale. Non si sblocca nulla e così il 12 maggio si decide di forzare l’ingresso della centralina del gas e assumersi la responsabilità di riaprire i rubinetti – “non sapevamo mica se saltavamo tutti in aria” – i tecnici Snam tentano di ripristinare il blocco ma gli operai lo impediscono: l’accusa per loro sarà di sequestro di persona e sabotaggio.

  1. Viene nominato il Commissario giudiziale. Finalmente un esterno legge la documentazione aziendale. Gli operai hanno la conferma che la proprietà ha spolpato la Sima e investito le risorse in attività diverse da quelle produttive.

 

Il 30 ottobre il Presidente della Repubblica Sandro Pertini in visita nelle Marche modifica il suo itinerario, perché Jesi non è stata inserita ma gli operai della Sima vogliono incontrarlo e così l’incontro avviene in un punto concordato lungo la strada, basta mezz’ora e gli operai gli consegnano la loro documentazione.

Nel 1982 grazie alla nuova legge Prodi si passa all’amministrazione straordinaria; il vincolo per non perdere i benefici della Legge è di non interrompere MAI la produzione, ma non è facile acquisire commesse. Pare che il commissario straordinario chieda sostegno agli stessi fornitori, che sì, è vero, sono pagati in ritardo, ma senza commesse non lo sarebbero affato. Tutti si stringono.

 

Nel frattempo c’è da traghettare la Sima verso un nuovo proprietario affidabile che voglia investire e salvare il prodotto ma la ricerca è complessa, e se non arrivano offerte valide di acquisto la legge Prodi verrebbe ugualmente meno e l’azienda messa in fallimento. Le offerte sono molte ma anche le più disparate: è una vera girandola. Avanti un altro, titola ilCorriere Adriatico. La Sima è ancora un ottimo boccone e le proposte spesso nascondono l’obiettivo di incassare contributi pubblici e realizzare guadagni dallo smantellamento. C’è pure qualcuno di questi miracolati imprenditori che va in galera perché scoperto a fare questo gioco anche da altre parti.

 

La situazione non si sblocca. Per guadagnare tempo nel 1986 i dipendenti inventano loro una Cooperativa e presentano loro una richiesta di acquisto, con un vero piano industriale e… vengono presi sul serio, al Ministero si sentono dire che in quel momento sono loro l’unica novità…e intanto dopo la Snam c’è anche l’Enel che vuole togliere la corrente, c’è la cassa integrazione da rinnovare, la legge Prodi in scadenza. La mobilitazione è continua e a tutto campo, dagli incontri in Comune, in Regione o dal Ministro, si va a Roma anche in “folta delegazione” cioè con 4 o 5 pullman di operai, si arriva anche ai blocchi stradali e ferroviari. Non si trascura nulla: gli operai occupano la ferrovia e in un comunicato chiedono scusa alla città per il disagio che sono costretti a creare. “Non sapevamo più che cosa inventarci” ricordano oggi.

 

Tutta la città si stringe. Il 20 gennaio 1987 c’è una manifestazione; gli studenti di Jesi consegnano un messaggio di solidarietà: lo hanno firmato in 1364, hanno impiegato una settimana a raccogliere le firme: “Noi, studenti delle scuole superiori di Jesi, consapevoli del nostro ruolo e della nostra importanza all’interno della società, abbiamo deciso di essere solidali i lavoratori (….) fra pochi anni il mondo dovrà accogliere anche noi. Siamo convinti che formarci per un futuro diverso sia non solo un nostro diritto ma soprattutto un nostro dovere. Non deludete i nostri sforzi e le nostre speranze.”

 

Si apre uno spiraglio con un imprenditore che sembra voglia fare sul serio; prima però è necessario un intervento legislativo che crei le condizioni per l’accordo. Non è affatto facile ma a ottobre la situazione si sblocca. In Senato i senatori marchigiani sono tutti impegnati, tra loro in questi anni c’è stato anche lo scrittore Paolo Volponi. Si svolge tutto come nella scena di un film.

 

Gli operai seguono la votazione in collegamento telefonico dalla sala del Consiglio Comunale. Già durante la mattina sono informati della possibilità di un nuovo rinvio. La reazione è immediata: tutti alla stazione, prima del passaggio del treno per Roma delle 11.55.

Oramai conoscono a memoria tutti gli orari e sono già pronti con lo striscione del Consiglio di fabbrica per occupare i binari; Carabinieri e Polizia sono già schierati; il sindaco Fava cerca di rintracciare al telefono il Prefetto per invitarlo a contattare con urgenza il governo a Roma, e poi torna alla stazione: è importante mantenere la calma tra gli operai, in mezzo ai binari, esposti ai commenti dei viaggiatori sul treno. Il traffico ferroviario è intasato, si sono già dovuti fermare anche altri treni. Gli operai sono convinti che la polizia stia per intervenire e cacciarli via di forza, quando finalmente alle 13. 30 arriva la telefonata.

In Senato, al momento dell’approvazione, si alzano improvvise urla e grida di gioia dal settore del pubblico, sono Mancinelli e Cecchi, due operai del Consiglio di fabbrica, che esultano, saltano, si abbracciano e si scaricano dopo tanta tensione, non si contengono e i commessi del Senato li sbattono fuori, e appena sono fuori corrono a cercare una cabina telefonica e telefonano al capostazione di Jesi, il quale corre a trasmettere la notizia agli operai in mezzo ai binari. L’euforia è tanta e gli operai per liberarla abbracciano il sindaco Fava e lo lanciano in aria, in maniera gioiosa, con il suo impermeabile bianco, in segno di trionfo.

 

Con il voto del Senato ci sono le condizioni per proseguire le trattative, che richiedono un altro anno…. in fabbrica l’accordo viene approvato il 18 ottobre del 1988 da un’assemblea molto vivace, ma con un solo voto contrario e una sola astensione. Sono trascorsi dodici anni: LA LOTTA HA VINTO.

 

Non è un passaggio di quote azionarie, non c’è continuità aziendale. Il nuovo imprenditore acquista gli impianti, gli stabilimenti e con questi avvia una nuova azienda, la Sima nuove industrie. La vecchia Sima, gestita dal commissario, con i soldi della vendita deve liquidare tutti i creditori, ci sono anche le liquidazioni dei dipendenti, che sono ancora più di 400.

Il vecchio Consiglio di fabbrica si scioglie. La nuova Sima si impegna a riassumere gradualmente tutti gli operai. Nel frattempo, gli operai in attesa d’essere riassunti saranno coperti dalla Cassa integrazione, una parte andrà in pensione o prepensionamento. Prima di essere riassunti, devono essere licenziati dalla vecchia Sima. In questo passaggio accettano di perdere qualcosa. Non è un regalo quello che ottengono.

 

Nonostante la vittoria, spesso il dopoguerra può essere più duro della stessa guerra; il vecchio Consiglio di fabbrica non esiste più, si smobilita proprio quando occorre essere più forti per far rispettare gli accordi. Si fa quello che si può. Mentre i primi 80 operai vengono riassunti nel gennaio del 1989, gli altri in attesa costituiscono il comitato dei cassaintegrati, o dei “senza fabbrica” come si inizierà presto a chiamarli. Il portavoce si chiama Cesare Tittarelli: non hanno più una fabbrica, non hanno più le risorse delle deleghe sindacali, devono autotassarsi per le loro spese, non hanno nemmeno una sede, gliene presta una la Cgil ma più spesso, come per antica abitudine, preferiscono riunirsi nella sala del Consiglio Comunale.

 

Non è semplice far rispettare l’accordo e le riassunzioni; i tempi sono lunghi e c’è anche una nuova crisi sui mercati, la nuova Sima non tiene il passo e chiede addirittura la cassa Integrazione per gli operai che ha riassunto, mentre per i “senza fabbrica” ai ritardi nella erogazione della cassa integrazione, si aggiunge ora una nuova legge che introduce nuove norme sui licenziamenti e la mobilità: vengono meno le coperture previste dall’accordo.

 

Dopo 36 mesi dalla firma dell’accordo è chiaro che molti operai rischiano di restare davvero senza fabbrica. Sono circa un centinaio gli operai rimasti fuori. La situazione è dura; gli operai sono amareggiati, non possono più fare pressioni come quando bloccavano i treni; qualcuno ma pochi vengono ancora assunti oppure ottengono il prepensionamento, per chi non ne ha diritto si cercano soluzioni alternative.

 

Intanto, anche la nuova Sima si ritira, l’imprenditore considera chiuso il suo compito e nel 1996 cede l’azienda alla multinazionale Caterpillar: per gli operai che sono stati riassunti, circa 220, inizia una nuova storia, che prosegue ancora fino ad oggi dopo oltre venti anni, nello stesso stabilimento che fu della Sima e continuando le stesse produzioni.  Sono loro la prova che quella lotta comunque fu vincente e che gli operai nel 1977 avevano visto giusto: anziché cambiare gli operai, avevano cambiato il padrone.

 

Ma i senza fabbrica? L’ultimo viene assunto il 14 luglio 1996 dalla società che gestisce il depuratore. Il Corriere Adriatico intervista il portavoce dei “senza fabbrica”, anche lui ha trovato sistemazione poche settimane prima presso la stessa società: “Per anni ci siamo trovati insieme uomini e donne, tutte le settimane a discutere della nostra esistenza di senza fabbrica. Guardarci negli occhi, confrontare i nostri tormenti e le difficoltà in famiglia, ci ha davvero aiutato a sopravvivere restando uniti. Il Comitato, oltre che uno strumento di lotta sindacale, è stata una camera di compensazione di tanti drammi. Ha fatto di tante coscienze sfibrate un’unica personalità battagliera e determinata.”

 

Nelle pagine precedenti avevo scritto che era stata una lotta vincente. Resta valido questo giudizio anche alla luce delle peripezie toccate agli operai rimasti senza fabbrica? Io credo di sì, che lo sia ancora di più una vittoria, dopo che ha affrontato anche queste difficoltà, con questi risvolti più umani, ora che ne abbiamo colto anche questo retrogusto un po’ amaro. Una vittoria con il retrogusto. Più piena.

 

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Immagine di copertina: Foto di Marvin Collins.

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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