estratti da “Marc Chagall” (Dario Fo)

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Questo è il primo di una serie di  interventi che lamacchinasognante.com dedicherà

 a Dario Fo nel corso dell’anno per festeggiare i 90 anni dell’artista.

 

MARC CHAGALL

di Dario Fo

 

 

Ho scoperto la pittura di Marc Chagall a Parigi quando, appena dopo la guerra, ci sono arrivato che avevo vent’anni.

Anche Chagall ai primi del secolo, per la prima volta, arrivò nella capitale francese a quell’età: aveva vinto una borsa di studio in Russia che gli permetteva di vivere dignitosamente nella cosiddetta capitale dell’arte e di studiare i grandi maestri dell’Impressionismo e di tutti gli altri nuovi movimenti pittorici.

Nel tempo in cui mi trovavo a Parigi ho avuto la fortuna di poter assistere alla più grande mostra di Chagall del dopoguerra. C’erano dipinti come la passeggiata del pittore che tiene per mano la moglie, Bella, così si chiamava, che vola un po’ più in alto nell’aria con un’espressione soddisfatta e un sorriso deliziato. C’era il ritratto dei due innamorati che si baciano con tenerezza e un nudo della sua compagna davvero splendido che, a quel tempo, avevo riprodotto.

Quella mostra mi è rimasta nella memoria per anni e anni. Non esagero, devo ammettere che mi ero innamorato della pittura di quell’artista russo e ho studiato in profondità il suo modo di stendere il colore, la leggerezza del suo disegno senza dimenticare la forza drammatica che metteva in certe opere.

La mostra che visitai mi impressionò moltissimo, c’erano gli stessi temi del paradosso e della follia magica che io andavo ricercando da tempo. Posso ben dire che Chagall non solo mi ha fatto conoscere il surreale e il fantastico ma mi ha fatto anche da maestro sul modo apparentemente arraffone di stendere i colori per poi scoprire che sono messi in contrasto con un rapporto scientifico che ha dello sconvolgente.

Senza rendermene conto mi ritrovai a rimettere sulla tela gli stessi ritmi compositivi e la forma surreale dei temi che sviluppavo. Mi ricordo di aver raccontato dipingendo grandi tele i movimenti e la follia delle esibizioni di acrobati del circo, danzatori e ballerine che si levavano in aria e che davvero sembravano alludere ad opere di Chagall, tant’è che mi è capitato che alcuni miei compagni di accademia (quella di Brera per la precisione) vedendo dei miei quadri esclamassero: “Accidenti, pare uno Chagall autentico! Perché non provi ad offrirli a qualche grosso gallerista raccontandogli che sono opere autentiche di Marc?”.

“Senti, non ho nessuna intenzione di finire in galera per uno sfizio del genere”

Di lì a poco smisi di sognare di ottenere la gloria sfondando come pittore e mi diedi al teatro, che fra l’altro era la mia seconda passione che mi procurò grande soddisfazione e soprattutto mi permise di conoscere sul palcoscenico Franca.

E credetemi, è il più bel premio che io abbia avuto. […]

 

[ndr: testo basato sui diari di Chagall] Un giorno, tornando a Pietroburgo, senza salvacondotto, vengo arrestato dal commissario in persona. Il distributore di passaporti, non avendo ricevuto la mancia sperata (io non avevo capito), m’insultò violentemente e ordinò: “Ehi, per di qua, arrestatelo… è entrato nella capitale senza autorizzazione! Intanto, schiaffatelo in gattabuia con i ladri; dopo lo farete tradurre al carcere”

Così mi sono trovato in galera. Appena arrivato, guardandomi intorno e scoprendo i corridoi a cui si affacciavano le celle, esclamai: “Oh, finalmente sono sistemato. Qui almeno ho il diritto di vivere. Qui potrò starmene tranquillo, mangiare pasti gratis e forse anche disegnare in pace!”.

Entrai in una cella dove stavano altri tre detenuti.

Ci presentammo. Da nessun’altra parte mi ero sentito così a mio agio come in quella stanza dove mi spogliarono completamente per mettermi l’uniforme dei carcerati. Commentai: “Oh, anche i vestiti ti regalano!”. Quando, all’ora d’aria, ci ritrovammo tutti all’aperto, girò la voce che io ero un artista, pittore, ritrattista; perciò si prenotarono in molti per ottenere un ritratto. I primi ad arrivare con fogli di carta e penna furono i secondini che si sedettero davanti a me su una sedia, me ne procurarono un’altra e iniziai subito a disegnare a una velocità impressionante. Ognuno era soddisfatto del risultato e anche il capo delle guardie mi chiese di ritrarlo al più presto.

Tutti finalmente mi guardavano con simpatia: è incredibile dovevo proprio arrivare in un carcere per ritrovare un pubblico di clienti tanto entusiasti”

Scoprii con piacere che mi trovavo in un carcere dove ospitavano anche femmine arrestate. Il gergo dei ladri e delle prostitute era molto divertente, spesso riscrivevo le loro battute sul retro dei fogli che disegnavo. Naturalmente accettai di ritrarre anche le ragazze. “Peccato sia proibito!” esclamò una di loro ammirando il suo ritratto che avevo appena eseguito.

“Proibito che cosa?”

“Il mettersi nuda perché tu possa dipingermi tutta… vedessi che splendore di corpo posseggo”.

Ladri e prostitute mi rispettavano, non mi insultavano. Mi regalavano perfino le sigarette e dei dolci che ho tenuto per ricordo.

Mi cambiarono di cella e mi trovai dentro uno spazio più ampio e tutto per me solo. Sulle pareti c’erano delle scritte, cominciai a leggere: erano commenti alla vita e alla società. C’erano molte parole in gergo che mi feci tradurre da un secondino e canzoni che parlavano di amori appassionati. Ce n’era una dedicata ad un uccello che spesso si affacciava fra le sbarre della finestra. “Che ci fai qui cardellino – diceva – uccello che vivi libero, stattene lontano da questa finestra e non cantare per noi, ci fai crescere la malinconia. Qui dentro ci stanno solo esseri umani di seconda terza categoria, che leggono nel cielo e nella luna il genere di vita che verrà concesso loro nel tempo. Vattene di qua e torna a volare, stai libero finché puoi, cardellino, che lo stare nell’aria è il dono più grande che Dio può aver regalato alle sue creature.” […]

 

[…]Quando arrivai a Parigi, nel 1923, il mondo era caduto nell’oblio. La reazione della gente, davanti alla crisi che buttava per la strada gli operai rimasti senza lavoro e, di contro ,alle grandi speculazioni del mercato, veniva smorzata dai veggenti di professione che presentavano in ogni loro scritto l’arrivo imminente di una fase positiva, che avrebbe riportato ai tempi della Belle époque tutto il mondo civile.

Fu proprio in quel momento che sentii l’ipocrisia in quella previsione falsa e costruita ad hoc, pour épater les bourgeois. È incredibile come io, ancora giovanissimo, negli anni 1907 – 1908, nell’epoca d’oro, mi trovai a dipingere senza una ragione apparente quadri che presentavano un futuro a dir poco disperato. Le opere in questione erano Morte e Uomo dalla testa staccata. Più tardi ripresi il tema, con altre due tele, La cadute dell’angelo e Il tempo non ha rive. Alcuni critici mi tacciarono subito di pessimismo viscerale. Io al contrario mi domandavo se Apollinaire, quando indicava le mie opere di quel tempo come espressione palese del soprannaturale, non avesse colto nei miei lavori un certo spirito profetico. Come dice la Bibbia: “Verrà il tempo della disperazione e della catastrofe”. L’Apocalisse.

Ebbi un moto di grande stupore quando Apollinaire commentò, a proposito dei miei ultimi lavori: “C’è un fratello, consanguineo di questo pittore, e si chiama Kafka, autore della Metamorfosi”.

Quando mi trovai a Nizza, dove non ero mai stato prima, guardandomi intorno e annusando l’aria, mi sentii immerso in una giocondità mai provata. Erano i fiori, che in quella terra spuntavano in ogni luogo in quantità impossibile. L’abbondanza e varietà dei fiori mi meravigliava e mi affascinava. Una simile profusione floreale aveva contribuito non poco a sviluppare la tavolozza dei migliori artisti francesi. Lo si osserva in particolare in Monet, Renoir, Matisse. Grazie alla plasticità della raffigurazione, non c’era luogo dove i colori prendessero vita sulla tela meglio che in Francia. Non a caso anch’io, fin dai primi tempi in cui arrivai in questo paese, fui preso dalla frenesia delle composizioni floreali. Spose che tengono in mano mazzi di rose, ciclamini e ortensie. Nell’arte francese si rispecchiava questa ricchezza di fioritura, in particolare durante il periodo dell’impressionismo. Era cominciato il pellegrinaggio degli artisti di ogni paese verso la Francia. E io ero uno di quei pellegrini.

Nello stesso modo Mozart, a suo tempo, aveva introdotto la fioritura nella musica. Ma in pittura per molto tempo la fioritura non era proseguita. Questa preoccupante stasi era dovuta ad alcuni movimenti politici che in certi paesi si manifestavano attraverso un nazionalismo a dir poco deleterio, che produceva razzismi e ricerca del nemico ad ogni costo da individuare e distruggere. Subentrarono ore, mesi, anni di minaccia, e allora fu come se i fiori fossero non appassiti, ma sconvolti, e si fossero allontanati, a vivere la propria vita distaccati da noi. Eravamo distratti da altri problemi: individuali. Non avevamo tempo, né forze sufficienti, per fermarci a contemplare la bellezza e il profumo dei fiori. E sulla scena si presentavano altri dèi, che in verità non avevano niente di divino, erano solo miserabili esseri umani, gonfiati dalla presunzione. Pochi si accorsero che quegli scellerati stavano preparando il tempo più orribile vissuto dall’umanità.

I petali dei fiori cominciavano a sparpagliarsi, le tinte sbiadivano, si ingiallivano. Rimaneva il severo “ardire del gesto” – le forme nettamente delineate, e si era ammutolito il canto del colore. Nei miei quadri fecero la loro comparsa i tormentati profeti biblici del mio paese natale, Vitebsk; un po’ affamati, appena laceri, che rivolgevano sul mondo uno sguardo premonitore senza speranza. Come guardano loro, così guardo io. I colori gli colano di dosso come sudore, colano per finire chissà dove. E in attesa che si facesse giorno, quando non ci fossero più il frastuono, la propaganda, i campi di concentramento, i forni, le prigioni fisiche e morali, io dipingevo profeti torturati. Nelle prigioni bisognava mettere non i poveri, gli innocenti, ma i fiori nizzardi, offesi e orfani: e gettarli nei forni. Alla follia criminale di questi individui i fiori non servono. […]

Estratti in anteprima dallo spettacolo di Dario Fo “Marc Chagall” per gentile concessione dell’autore. Di seguito alcune foto delle opere di Fo in mostra insieme ad  alcuni quadri di Chagall a Brescia in  gennaio 2016, in concomitanza con l’omonimo spettacolo teatrale.

 

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Per la biografia di Dario Fo, consultare  il link nell’archivio di Franca Rame http://www.archivio.francarame.it/bioDario.aspx

Tutte le foto utilizzate nell’articolo provengono dall’archivio di Franca Rame.

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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