ESSERE UOMO SULLA TERRA, LA VOCE DI 61 POETI PER I MIGRANTI (a cura di Lucia Cupertino)

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SOTTO IL CIELO DI LAMPEDUSA II. Nessun uomo è un’isola (Rayuela edizioni, 2015)

Introduzione e selezione di Lucia Cupertino

Il Mediterraneo, poi per i Romani Mare nostrum, è etimologicamente “il mare in mezzo alle terre”, crocevia tra tre continenti e una miriade di popoli, archivio di memorie di secolari guerre, riconciliazioni, scontri e tolleranze. In arabo il Mediterraneo è “il marSotto i cieli di Lampedusae bianco in mezzo alle terre”, proprio quel bianco come lo spumeggiare delle pagine di un libro agitate dalla Storia e da continue riscritture. Pagine imporporate dal sangue fraterno dei popoli migranti verso l’Africa, tremenda quanto annunciata tragedia ripetutasi qualche mese fa con 900 vittime. Storie di vite che sfidano la morte per andare incontro alla morte cui i 61 poeti di Sotto il cielo di Lampedusa II. Nessun uomo è un’isola (Rayuela edizioni, 2015) tentano di dare un volto e una profondità. A distanza di un anno si porta a compimento una seconda antologia che pur non vorrebbe dover esistere ma, visti gli accadimenti, deve tornare a ragionare su Lampedusa in un’ottica estesa. Il volume col suo sottotitolo si rifà alla poesia di John Donne e presenta una nota introduttiva di Gino Strada, i diritti d’autore dell’opera verranno infatti devoluti ad Emergency. Ricostruire il senso di queste ripetute tragedie significa ricostruire le storie di vita di quei migranti ricongiungendo i tasselli delle loro ultime ore ma soprattutto cercare di andare oltre quel presente permanente di sbarchi e cadaveri portati dalla corrente e dai media, oltre quella memoria superficiale che sembra smemorata e non costruire coscienza. Significa dunque dover fare un lavoro di scavo e chiedersi in versi cosa accade nei Paesi che i migranti lasciano, perché succede e chi sono i responsabili di ieri e di oggi; significa aprirsi alla critica e all’autocritica, rivedere le categorie di clandestino, straniero, extracomunitario e tutte quelle che dividono l’uomo dall’altro uomo. Significa anche estendere il raggio d’azione e far convergere, come nell’ultima sezione dell’antologia intitolata “Post Charlie Hebdo”, riflessioni circa i nuovi sentimenti d’odio verso tutto il mondo islamico, pericolosi nel loro essere indiscriminati, miopi e strumentalizzati. Folta la presenza di poeti migranti di prima e seconda generazione nell’antologia. Un terzo delle voci poetiche sia di giovani poeti con meno di 35 anni, segno che la poesia di ispirazione civile è viva tra le nuove schiere di poeti. Notevole lo spessore testimoniale di quest’antologia, un tentativo collettivo di riprendere le fila di un discorso di umanizzazione, necessario nel nostro tempo, attorno a ciò che è essere uomo sulla terra, uomo con le stesse dignità, gli stessi diritti e gli stessi possibili orizzonti di sogno e felicità. Sta fuori dalla pagina la nostra possibilità di scrivere quella pasticciata pagina di storia del Mediterraneo, questi versi necessari ce lo ricordano.

Lettera di Samir alla sua prima bellezza

Giuseppe Nibali

Mio adorato amore,

ti prego non morire.

Mentre arrivo e piovo sulla Libia,

non morire. Tu hai avuto seni

uguali ad altri seni e occhi e pelle

di legno scuro.

Domani l’Italia, questo taglio nel mare

per me, buono al deserto, alle corse

di sabbia.

Che Allah faccia breve questo tiro

di conchiglia, ma tieniti viva lì,

che il sole dipende da uno sguardo.

Se vivrò tu sarai mio futuro. Se vivrò

avrai queste carte e faranno ancora

rumore le palpebre che apri.

Domani l’Italia, questo taglio nel ventre,

questo pianto di violino.

L’orizzonte codardo

Okwuchi Uzosike

Lontano dal cielo e dalla terra

Lontano sogni e speranze

Nessun uomo né mani

Persino il destino fuggì

E l’orizzonte codardo

Pian piano scomparì

ode marittima (fantasma)

Barbara Pumhösel

anch’io avrei voluto scrivere

un ode sul mare una volta arrivato

anch’io sentivo angosce tristezza

nostalgia sempre

senza potermelo permettere

tra il molo e la nave

come i poeti come i marinai

anch’io avevo bisogno

di sicurezza ma il mio

era diverso non era contro

non scintillava in pubblicità

non pronunciava promesse

per sbaglio per beneficenza

la vostra sicurezza non vale

per noi né dentro né fuori

dell’EuropA

terra chiusa che esclude

nome maltrattato di una donna

costretta alla fuga

il sale nell’acqua è come il filo

spinato quando si ha sete

e gli impiegati della sicurezza

dopo il lavoro per la sicurezza

vanno a casa scrivono poesie

sulla bellezza del mare

sull’infrangersi delle onde

e pensano alla spiaggia delle ultime

vacanze dove io non potrò arrivare

non toccherò la sponda la riva

opposta quella del primo campo

i miei occhi coscienti

hanno smesso di esserlo

prima di poter arrivare

alle parole

non ho potuto nemmeno dettarle

a mio figlio perché non lo vedrò

lui non si ricorderà di me

non gli insegnerò versi

nella lingua verso cui andavo

quando sono stato fermato

da una morte senza permesso

di soggiorno i miei compagni

portati indietro tutti insieme

fantasmi vivi o morti

con una firma che dice soltanto

uno senza diritti senza il diritto

alla parola alla sua

ode marittima

uno senza documenti

Pubblicato in “El Ghibli, settembre 2009

Alla fermata

Lucia Grassiccia

Sulle spiagge dietro casa case approdano,

intessute pelle e stoffa,

in cavità piramidi marine,

inizio e fede.

O squagliano prima dell’arrivo.

L’arrivo poi dove

l’arrivo poi cosa.

Elenchi di grugni sulla battigia,

arrivo.

Devo aver visto delle scene di punti galleggianti

in televisione,

forse.

Devo aver visto microfoni in balìa dello scirocco,

intervistatori sbandieranti cercavano di parlare sul vento.

Devo aver visto.

Oh scusate ho da correre al metrò,

lì nessuno saprà di quelle scene,

sarò protetto.

Ma di quali battaglie mi parlate?

Finirete col farmi fare tardi

quando sono così pronto a dimenticare.

Vedete, è lo smemorato il puntuale.

La rosa dalle terre vergini d’Etiopia

Pina Piccolo

                                                                 per Julio Monteiro Martins

                                                                             sulla soglia di un altro genere di terra

Vuota è la terra

Sterile è la terra

Terra desolata, sprecata terra

Grembo infecondo e malcerto

Faremo fiorire il deserto!”

Fin quando non l’afferra il dio capitale

e l’insemina

facendola ingenerare oro

a Wall Street e Abu Dhabi

E magnifiche e progressive

le sorti del duemila

pasteggiano il bufalo e l’asino etiope

e le capre e i muli

per far crescere rose

dove vagavano mucche

e fragole, peperoni e riso

per i supermercati di Ottawa e Roma

Sia lode a Cargil, Cargill, Cargill!!!

Prostrarsi davanti al nuovo dio

E i figli della pastorizia

sussidi alimentari nel piatto

imparano l’ABC

sui quaderni dell’Unicef

non sotto limpidi cieli africani

ma dentro strutture metalliche

e i corvi li guardano dalla finestra

mentre si librano i falchi

trasportati dal vento

Attenti alla rosa vergine

Attenti alla terra inquieta

Ché la sua anima

non l’ingoi la ruspa

dei vacui operatori di borsa

Ché la terra inubertosa

la landa desolata

non se l’accaparri

l’ invisibile mano del mercato

L’accalappia terra

landa vuota

che pullula di invisibili

vacche, capre, pastori

per migliaia di anni

transito di animali, donne

e uomini e bambini

sui morbidi solchi di terra

binari che scompaiono sotto terra

quando la pioggia la trasforma in fiume

e non te la puoi più accaparrare

quella terra che germina fiori spinosi

per la delizia degli asini

quella terra che germoglia l’erba tenera

tanto gradita ai vitelli.

La terra colore dell’uomo

della donna e del bambino

Terra colore della vacca e della pecora

della capra e dell’asino

Dedite alla pastorizia

le chiamano queste popolazioni

E vuota è la loro terra dove milioni di zoccoli

e sandali e zampe hanno calpestato i millenni

Improvvisamente landa desolata, terra vergine

che la Borsa s’appresta a deflorare

E i popoli dediti alla pastorizia in perpetuo moto

ad accalappiarsi spazi

E quando s’imbruna l’erba

e s’ingrossa la pancia della terra

fanno scoppiettare qualche fiamma

guidando le rosse, ardenti delicate lingue

ai lembi della foresta

per poi tirarle indietro perché gli alberi possenti

e i cespugli e le liane e i fusti

alimentano i polmoni e loro il sangue e gli arti

e a loro sì , si deve rendere onore

e non agli dei di Wall Street

e non a quelli di Abu Dhabi

o a miliardari coi turbanti

e non all’alta velocità

che in un attimo ti porta a Financial Center

e alle sue torri che grattano i cieli

La grattiamo noi la terra, pezzettini di suolo per metter cibo

Teff, enjeera, pecora e verdure sulla tavola

Ma la Borsa di Abu Dhabi comanda

la rosa, la rosa, la rosa

E mani nere l’han coltivata e poi tagliata

nella stiva accomodata e poi se n’è volata

per i cinque continenti

La terra etiope della pastorizia ha dato alla luce la rosa

e i bambini bengalesi la vendono a ogni angolo di strada

a New York, Parigi, Berlino, Londra, Roma

È fiorito il deserto

nelle mani del bambino bengalese

E la rosa ora sfiorita

è un affare, mezzo euro

per la tua anima

mezzo dollaro per il fantasma

del fiato della capra

come rugiada

intrappolato

tra i petali di rosa.

18 dicembre 2014

Pubblicato in “El Ghibli, marzo 2015

Foto in evidenza di Gius Maggi.

Riguardo il macchinista

Lucia Cupertino

LUCIA CUPERTINO (1986, Polignano a Mare). Scrittrice, antropologa culturale e traduttrice. Laureata in Antropologia culturale ed etnologia (Università di Bologna), ha conseguito un Master in Antropologia delle Americhe (Università Complutense di Madrid) con tesi sulla traduzione di fonti letterarie nahuatl. Vive da tempo tra America latina e Italia, con soggiorni più brevi in Australia, Germania e Spagna, legati a progetti di ricerca, educativi e di agroecologia. Scrive in italiano e spagnolo e ha pubblicato: Mar di Tasman (Isola, Bologna, 2014); Non ha tetto la mia casa - No tiene techo mi casa (Casa de poesía, San José, 2016, in italiano e spagnolo, Premio comunitarismo di Versante Ripido); il libro-origami Cinco poemas de Lucia Cupertino (Los ablucionistas, Città del Messico, 2017). Suoi lavori poetici e di narrativa sono apparsi in riviste e antologie italiane e internazionali. Parte della sua opera è stata tradotta in inglese, cinese, spagnolo, bengali e albanese. È curatrice di 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos (Arcoiris, Salerno, 2016, menzione critica nel Premio di traduzione letteraria Lilec – Università di Bologna); Muovimenti. Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi, Lecce, 2016) e Canodromo di Bárbara Belloc (Fili d’Aquilone, Roma, 2018). Membro della giuria del Premio Trilce 2018, Sydney, in collaborazione con l’Instituto Cervantes. Cofondatrice della web di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com, con la quale promuove iniziative letterarie e culturali in Italia e all’estero.

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