Le Burrneshe: Essere (racconto) La natura delle realtà (poesia) di Eliana Leshaj, Foto e video di Paola Favoino

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Essere

 

Se lei me ne avesse dato la possibilità, avrei iniziato a scrivere cosi: “bussai un giorno alla porta di una casetta imbiancata a calce…cercavo uno.”

Seguivo Jose, Lumturin e un uomo assai disponibile, del quale non ricordo più il nome. Si sa che il nome delle persone molto disponibili viene custodito nel vago luogo della nostra gratitudine.

Alla destra del castello di Kruja c’è una strada rurale, qualcuno la chiama anche via della prigione, poiché quella strada ti porta davvero in una prigione, la quale con ogni probabilità diventerà molto nota, visti i personaggi di rilievo che in questi ultimi tempi vi si sono per molti aspetti rinchiusi. E noi, affamati di storie e giudici imparziali di ingiustizie, siamo pronti a raccogliere vita da vite e dal niente, e ad esporre il tutto al mercato della notorietà.

Dopo questa prigione e dopo un pezzo di strada in mezzo agli oliveti e agli alberi da frutta, giungiamo a quella casetta, alla cui porta volevo bussare.

Ma la porta è aperta.

Davanti ad essa, all’interno della casa, una sorta di corridoio o anticamera piena di fotografie attaccate al muro, e in ognuna di esse spiccava un uomo che portava qeleshe , il tipico cappellino maschile albanese, con pose diverse e in diverse età della vita. Si capiva bene che le foto erano state scattate da diversi professionisti. Emergeva dalle fotografie la fabula di quest’uomo. C’era chi aveva tentato di mostrarlo profondo, chi distratto, solitario un altro e triste un altro ancora. Nell’angolo del muro dello stesso corridoio o anticamera, avevano attaccato anche alcuni articoli di giornale, con la foto del nostro uomo: in tedesco, in italiano, in inglese…

Mentre i miei compagni di viaggio mi conducevano nella stanza principale, i miei occhi catturarono il titolo di un articolo in inglese “men who were women” e subito dopo il camino acceso, accanto al quale sedeva una persona anziana.

 

Eccola, una domenica, senza qeleshe e senza alcun appuntamento pianificato. Rimestava il suo pranzo con un mestolino di legno, fegato bianco di vitello, che cuoceva lentamente sulla brace.

Guardandola cosi, quella domenica, non so se fosse più una donna dai capelli tagliati cortissimi o un uomo con lineamenti di donna.

La gente ti guarda se le servi per qualcosa” dice lei “e ti vede un pochino, non che ti veda proprio del tutto … Bah, la gente vede ciò che vuole, vede ciò che le serve. I miei occhi non sono buoni a vedere come una volta… Se siete qui per lavoro, come mi volete io mi preparo ad essere, ma se siete qui per il bene, che il bene vi trovi”.

Jose, con il suo albanese che sta diventando migliore del mio, le dice che eravamo là, in casa sua,”per lei”. Il suo volto si rischiara ulteriormente e con la mano destra sul cuore ci dice nuovamente “siete benvenuti!”

            In questa casa entra ed esce gente che vuole la mia storia. La mia storia piace. Non ho mai tenuto tanto alla mia storia, e non ho mai parlato di me. Io rispondo. Ho risposto alla mia storia cosi come ho risposto alle domande altrui. Le mie risposte hanno creato la storia.

Entrano ed escono qui. Mi domandano, mi registrano, mi filmano, mi fotografano, mi guardano con altri occhi che fuoriescono dagli occhi materiali e poi vanno, svaniscono come se non fossero mai esistiti. Non so nulla di loro. Non ho fatto alcuna domanda ma se vengono fin qua, per me, in questo paesino sperduto, non è che stiano tanto bene. Io non sono mai uscita da qui. Non ho mai desiderato di lasciare un posto per un altro posto. No.

Il mondo viene a casa mia, mi domanda e se ne va, con le mie risposte…Io non ho ancora finito di guardare e conoscere casa mia. … Sapete, sono una persona che ha dovuto fare i conti con questo luogo montagnoso, senza strade per la città. Ogni strada ti porta ad un’altra strada: se la strada è facile ti porta ad un’ altra ancora più facile, ma se è difficile, allora molto più difficili saranno tutte le altre… ma nessuna, nessuna strada ti può portare cosi lontano da perdere la casa.

            Questo luogo è toccato a me, un monte affacciato sull’abisso. Questa è casa mia. Questa vita ho avuto. Ho solo scelto come vivere in questo posto, come legare con questo posto, dovevo, occorreva…

Non sono diventata un uomo, un maschio, per vostra informazione. Ma non potevo, qui, in quel tempo, essere solamente donna. Portavo a pascolare le pecore prima che diventasse giorno, nelle montagne nebbiose, passavo a cavallo, con il grano raccolto, da casa al mulino, due paesi lontani, e poi, dal mulino a casa, con la farina, io e il cavallo, per i monti e le vallate…Non è, e non era, affatto semplice, come occorre oggi che sia, per una donna, portare avanti una famiglia numerosa. Sono nata e cresciuta sulla cima di una montagna, avete visto com’è lontano il mondo da qui? Sono rimasta orfana che ero molto piccola. Eravamo tante sorelle senza un fratello. La gente disegna leggi per la collettività e non per te o per me. Io ero un singolo, e dovevo spingermi verso il mondo senza perdermi. Per questo decisi a quel tempo di rivestire questo ruolo. Come donna potevo fare due passi e come maschio alcuni di più. Dovevo prendermi cura della mia famiglia. Essere un uomo che era stato donna mi avvicinava alla sicurezza e nessuno mi vedeva abbastanza normale da avvicinarsi troppo a me… Ebbene sì. Per tutte le faccende che richiedevano la presenza di un uomo ero diventata uomo, e in tutti i casi che richiedevano la presenza di una donna, ero nata donna. Tutto qui.”

E si volta a guardare me, una giovane donna, vestita con i jeans e una giacca unisex. Se fossi apparsa vestita così, ai tempi della sua gioventù, più facilmente mi avrebbero presa per un uomo che porta i capelli lunghi.

La guardo, fissa, e capisco che lei mi ha letto nel pensiero.

Le sorrido.

Lei allunga verso di me un piatto con una mela tagliata a fettine. I suoi occhi diventano più taglienti e gli zigomi più rossi. I novantadue anni le hanno stancato un po’ il respiro, e lei sente che il suo cuore è diventato più pesante del corpo stesso. Si alza appoggiandosi su un bastone e va verso un baule in fondo alla stanza, lo apre e vi prende altre mele rosse, per noi, che siamo seduti accanto al fuoco che pian piano si spegne.

Guardo con partecipazione quelle mani che si prendono cura delle mele e mi torna in mente una me stessa, una volta, quando mi avevano domandato che cosa desiderassi diventare da grande. Ricordo di aver detto, tanto decisa, scrittrice. Ora che più nessuno mi domanda nulla e con tutta l’indecisione che mi riesce, ovviamente prima di pentirmene, risponderei me stessa.

 

 

Nota

Burrnesha vuole significare simile all’uomo o donna-uomo. Erano donne che facevano voto di castità e indossavano abiti maschili per poter vivere come uomini nella società albanese del nord patriarcale.

Vari erano i motivi e vari anche i casi.

Oggi che tale tradizione è tramontata, il nome burrnesha, sia per l’antropologia culturale, sia per la cronaca o per la fiction, si è molto diffuso.

Anch’io, e non proprio per caso, ho avuto l’occasione di fare la conoscenza di una donna, che per tanti anni e da tanti anni ha vissuto ed è stata trattata come un uomo. Si chiama Qamile. Su di lei hanno scritto in tanti, e tanto. Nessuna versione assomiglia molto all’altra, e tanto meno a lei, qui comprese, in questo mondo scritto, anche queste mie righe.

 

 

La natura delle realtà

 

Da oggi sarò Gin.

 

Se ci sarà da ridere lo farò con garbo.

Riderò come può ridere una rondine smarrita

ma diventando io sempre meno rondine.

Oggi divento uomo e imparerò ad esserlo

eppoi imparerò a rimanere tale.

 

Sono stata guardata e ammirata

ma nessuno mi ha scoperto il cuore.

Non voglio essere scoperta

non voglio sapere più di quanto non sappiano gli altri.

Farò del mio cuore da ragazza un cuore da museo

per i sentimenti tralasciati… sentimenti?

Non ho mai amato nulla che avesse un nome.

Ho rispettato mio padre e ho abbassato il capo.

Le donne mi hanno detto che devo amare

ma non mi hanno detto se amano

 

Non conosco bene la natura della donna.

Non ho mai amato un uomo.

 

Non conosco bene la natura dell’uomo.

Non ho mai applicato la curiosità.

 

Non mi manca l’amore per me stessa.

Amo le cose più piccine della terra…

Cambio vita, non torno indietro.

 

Non sono stanca di essere una donna

ma non mi dispiace diventare uomo.

 

E’ tutto deciso.

 

Io, liberamente, obbedisco.
alla natura della realtà.

 

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Eliana Leshaj ha lavorato e studiato in Albania e in Italia. In Albania ha scritto per le riviste letterarie Aleph Letrare e Don Kishot, oltreché per la terza pagina del quotidiano Shekulli. In Italia ha pubblicato due raccolte di poesie: “Lapis Niger”, in versione bilingue, e “Amiamoci e facciamola finita”, in lingua italiana. Profondamente legata alla storia e alla cultura italiana, è anche un’appassionata studiosa della cultura arberesh delle antiche comunità albanesi in Italia.

 


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Dalla laguna di Patok alle montagne del Kelmend il passo non è breve (come sembra).

E mentre la pianura è luogo di scambi, polvere e asfalto, man mano che si va verso nord il tempo rallenta, l’aria diventa fresca e secca e le distanze con tutto il resto aumentano. Le montagne isolano geograficamente e niente va dato per scontato: né l’asfalto lungo le strade, né la luce nelle case.

Il Kanun – un codice di leggi consuetudinarie che per secoli sono state trasmesse oralmente in Albania –  è ancora il contenitore delle regole morali e sociali di tutti. Ed è qui che le donne si salutano dicendosi “Ajè burrneshe!”  che significa “come stai Maschia!”.

Nelle mie fotografie ho raccolto storie di donne che vivono come uomini.

Ma non sono uomini.dng0020

Sono burrneshe, una parola femminile legata al suo contrario: burr =uomo. Ne ho incontrate sei.Tutte avevano ormai da tempo rinunciato al loro destino, rassicurante e passivo di donne, ed erano diventate Altro.
Un “altro” universalmente riconosciuto e accettato. Con le sue regole, le sue consuetudini.

Le cause di questa trasformazione sono legate alla mancanza di figure maschili in famiglia e alla necessità di riempire “vuoti” di ruolo. I compiti di una burrneshe sono quelli tipici del capofamiglia: difendere la proprietà, rappresentare la famiglia e salvaguardarne l’immagine di fronte alla comunità, “sposare” le sorelle, viaggiare.

dng0008Chi adolescente chi già adulta, hanno messo i pantaloni, hanno tagliato i capelli, hanno giurato verginità. Per sempre.

In alcuni casi mi ha attratto in loro la maschera, tanto pesante che ad uno sguardo attento quasi non reggeva,in altri la cura con cui il tempo aveva fatto coincidere la persona con il personaggio. Attualmente, grazie a G. che è la mia guida e mi ospita, sto imparando a raccontare la vita di una burrneshe per com’è, senza filtri o sconfinamenti nel mito. Da semplice raccolta di biografie, oggi lo stesso lavoro si è allargato al contesto, ai rapporti uomo-donna per risalire in qualche modo alle origini del fenomeno e alle ragioni della sua persistenza nella società albanese di oggi.

Superare la voglia di definire con categorie conosciute e rassicuranti ciò che è indefinibile perché vario e mutevole come l’essere umano, per me è già un risultato.”

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Foto e testo di Paola Favoino

Per completare il reportage vedi Link al video 

 

 

 

 

 

 

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Paola Favoino è una fotografa calabro-lucana che vive a Roma. Predilige la pellicola in bianco e nero e i progetti di lungo periodo come quello sulle Burrneshe albanesi che dura da circa 4 anni e per cui ha girato un Promo dal titolo “Ajè Burrneshe! Storie di donne e di vergini giurate” con l’ambizione di farne un documentario.

Sul suo sito è possibile trovare maggiori informazioni su di lei e sul suo lavoro.

La foto in evidenza e quelle che accompagnano il testo sono di Paola Favoino.

Le foto degli autori sono a cura di Eliana Leshaj e di Paola Favoino, rispettivamente.

 

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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