La prima volta fu a Cartoceto, forse 9 anni fa, o giù di lì.
L’occasione era il Convegno Internazionale di Studi della Rivista europea Catarsi – Teatri delle diversità, appuntamento annuale ideato e curato da Vito Minoia (www.teatridellediversita.it), da qualche anno spostato su Urbania.
Ma ero solo spettatrice, e, aldilà dei contenuti, della dimensione estetica, ovvero degli elementi che naturalmente potei giudicare secondo il mio gusto e la mia natura, ricordo che mi colpì il lavoro, ovvero come la performance a cui stavo assistendo trasmettesse il lavoro teatrale dal quale scaturiva. Per intenderci: a volte le performance di gruppi numerosi, specie se sono allievi di laboratorio, trasmettono soprattutto (a volte, ho detto, mica sempre… però in molti casi) le scelte di regia, come una sorta di comando omesso dalla scena ma ben presente, una sorta di suggerimento all’orecchio degli attori da parte di una voce silenziosa ma imperativa. Questo comunica agli spettatori una sorta di meccanicità, come se gli attori non avessero realmente digerito i gesti, i movimenti, le motivazioni, non ne fossero stati attraversati, come se gli attori eseguissero qualcosa di cui non si sono appropriati, per mancanza di tempo o per mancanza di altro. Il gruppo di Cuneo trasmetteva invece, chiaro e soprattutto potente, un lavoro sulle persone, che le persone evidentemente avevano compiuto e che di nuovo stavano compiendo di fronte al pubblico, con la concentrazione e la meticolosità di chi ha coscienza e confidenza, con quello che deve fare, perché lo sa fare, perché se ne è appropriato, anzi, ne è padrone. Come un artigiano, un bravo artigiano. Buoni lavoratori, di un buono e onesto lavoro. Così mi sono parsi, la prima volta, quelli di Cuneo.
Non sembri, questa, un’affermazione che sminuisce l’arte. Anzi. È casomai un’affermazione che vuole sottolineare che quello del teatro è un lavoro, specie in laboratorio. Un lavoro che ha bisogno di tempi e modi che sappiano accogliere le diversità di ognuno, quindi delicato e complesso, che necessita di un conduttore, dotato di strumenti tecnici, sì, ma anche e soprattutto di grande sensibilità… allenati… nel teatro. Perché è il teatro che contiene, da solo, molteplici e portentose valenze, possibilità, senza che arrivi un chiunque – famoso o meno, quindi credibile o meno – ad attribuirsene qualcuna per speciale capacità o intuizione. Questo lavoro del teatro, Elena Cometti lo sa far bene, con la meticolosità di un’esperta artigiana, con la passione e la sensibilità di un’artista.
Questo per dire che la prima impressione non è stata affatto contraddetta, dai successivi contatti. Elena Cometti e Marco Sasia e i loro compagni/allievi sanno sorprendermi. Per la capacità che hanno di far scaturire lavoro teatrale da ogni spunto. Li lasci con una suggestione… e loro ne ricavano materiali per continue sperimentazioni, che si alimentano dei risultati delle stesse. Davvero fanno dei laboratori quei luoghi sperimentali che dovrebbero essere. Credo che abbiano una specie di alfabeto, un elenco di esercizi collaudati, che però sono, appunto, come un alfabeto e quindi non sono un catalogo cui attingere all’occorrenza, ma la base per scrivere ogni possibile storia, per altre persone o per le stesse di sempre, per altri incontri.
Ho proposto ad Elena e Marco di essere loro a raccontare. Ecco le domande e le loro risposte.
- Esseoesse, Oikos, FuoriXCaso… Biodiversity… docenti universitari, antropologi teatrali… quante cose siete, quanti nomi avete?
Marco Sasia: Siamo delle persone curiose, creativi che utilizzano le arti per essere cittadini attivi. Sulla mia scrivania c’è una cartolina con su scritto “Quali sono le responsabilità della cultura?”, ebbene è mia opinione che parta tutto da lì, che la CULTURA sia fondamentale per chi vuole progettare un cambiamento radicale, un nuovo paradigma culturale, visto che, a mio avviso, la società occidentale odierna non fa altro che generare ingiustizie, disuguaglianze ma soprattutto infelicità (per tutti i ceti sociali!!! non sto parlando di economia!!!). Da quando ho incontrato Elena questo è sempre stato il nostro macro obbiettivo, personalmente poi, trovo riduttive le etichette e non mi sento di poter stare costretto in un ruolo; da quando ci siamo incontrati, abbiamo cominciato un progetto di vita comune volto alla ricerca di una società migliore, per farlo abbiamo fatto tesoro delle nostre esperienze, del nostro know-how, così, per ciò che mi concerne, ho messo sul piatto la mia esperienza di regista cinematografico, di videomaker, di fotoreporter, di giornalista e di comunicatore, Elena dal canto suo ha portato la sua esperienza di docente universitario, di critico, di formatore e regista teatrale. Mettendo assieme queste competenze e professionalità abbiamo sempre lavorato per dare gambe a progetti che avevano un’unica matrice comune: l’evoluzione del singolo atta a costruire una società migliore. Non abbiamo mai usato la nostra arte per vanità, ci siamo sempre interrogati su quello che doveva essere l’artista in una società che mercifica ogni cosa. Per fare questo ci siamo confrontati con Serge Latouche, con Maurizio Pallante e poi abbiamo viaggiato tanto, ci siamo confrontati con altre culture, con altri punti di vista, siamo tornati sulle tracce del lavoro che nel 2000 avevo realizzato con gli antropologi del Museo dell’Uomo di Parigi, abbiamo costituito gruppi teatrali, compagnie giovanili… Tutto questo con Esseoesse.net Onlus, associazione a cui abbiamo dato una casa, Spazio Biodiversity, nel 2015, perché dopo anni di lavoro sulla prevenzione ed il benessere, realizzato di concerto con istituzioni, ASL, Comuni, Consorzi, Cooperative, Associazioni, conoscendo le criticità del territorio in cui viviamo e stanchi di chiedere degli spazi preposti alla politica, come famiglia abbiamo deciso di acquistare, ristrutturare ed avviare un luogo che soddisfacesse le esigenze laboratoriali e di produzione culturale dell’associazione, a cui è stato dato in comodato d’uso gratuito.
Elena Cometti: Grazie Marina per la tua presentazione, è bello guardarsi attraverso gli occhi degli altri specie quando sono occhi esperti, curiosi e attenti.
Ci vuole, infatti, competenza e attenzione per osservare che le sfaccettature a cui accennavi, fanno parte di una ricerca organica, rispondono a un unico oggetto d’attenzione che ha alla base la relazione umana, l’interesse per l’altro da sé, l’incontro, tutte caratteristiche fondanti dell’arte teatrale, che rappresentano il cosiddetto “specifico teatrale” o la “differenza” del teatro, per dirla con l’antropologo Piergiorgio Giacché. Per quanto mi riguarda, la prima volta che mi è stato detto di essere poliedrica ed eclettica, è successo di recente, mi sono pure risentita, mi sono detta: “Ho dedicato la vita al teatro e non si capisce quel che faccio!”.
In effetti fare teatro oggi implica un’enorme dose di complessità soprattutto se si fa ricerca e innovazione, e per ricerca e innovazione intendo anche l’approccio del teatro d’interazione sociale, teatri delle diversità, delle differenze, o teatro sociale come più comunemente è conosciuto quel teatro che si fa con gli attori sociali, con le persone della società civile che divengono protagoniste.
Questa grande complessità non permette forse di leggere il fenomeno ai più, per cui nell’atteggiamento semplificatorio, o forse anche nell’esigenza di semplificazione che la società liquida impone, per riuscire almeno minimamente a orientarsi, le istanze d’innovazione e ricerca fanno fatica ad essere riconosciute, ad essere ricondotte alla loro matrice, nel nostro caso all’arte teatrale.
Eppure la rivoluzione del teatro che si riflette nel lavoro di tanti gruppi oggi come FuoriXCaso e Oikos Teatro, nelle proposte di formazione teatrale che offre il nostro centro di ricerca e pedagogia teatrale, ma anche di promozione del benessere psicosociale, a Cuneo, “BioDiversity”, ha una lunga storia e anche, ormai, una sua tradizione.
Con la nascita del cinema e via via di tutte le forma di spettacolo tecnologiche, il teatro ha cambiato necessariamente la sua direzione andando alla ricerca delle proprie origini per trovare nuovamente un senso e significato, dal momento che, la commercializzazione dei suoi prodotti, dei suoi risultati, gli spettacoli, non era più così facile.
Nascono così gli studi di Stanislavskij, in cui si fa ricerca con gli allievi, poi le comunità teatrali, da Reduta in Polonia alla Borgogna di Copeau e dei Copiaus in Francia, e via via l’attenzione dei teatranti si sposta dal prodotto verso il processo di costruzione del risultato. Continuando il nostro percorso lungo la storia, dal secondo dopoguerra, incontriamo il teatro di gruppo, poi la ricerca degli anni ’80/’90 e oggi il teatro che, in assenza di valori comuni condivisi, trova nella piccola comunità partecipante, nel fare teatro più che nel fruirlo solamente, come del resto avviene fin dagli anni ’70, il suo senso e significato; un teatro che, facendo tesoro delle esperienze dei gruppi che guardavano alle origini e all’antropologia, è in grado di ricostruire legami sociali, creare coesione, fare comunità.
Le stesse istanze emergono in tutte le discipline artistiche e, non a caso, si parla oggi di arti socializzanti, una dicitura più in voga nel resto d’Europa che non nel nostro Paese, ma che trovo particolarmente centrata e interessante ad uno sguardo appunto poliedrico, da viaggiatori, studiosi e “praticanti” di teatro ma anche di arti visive, mi riferisco al lavoro di Marco, fotografo e videomaker, ma anche al mio interesse per l’arte contemporanea e all’essere imprestata all’insegnamento di arte, per non dipendere economicamente del tutto dal teatro e poterlo dunque praticare e trasmettere in modo autenticamente libero, anche all’interno dell’Università.
La passione sociale è nelle mie corde da sempre, così come l’interesse per il teatro che è però diventato passione grazie all’incontro con la straordinaria équipe di docenti del Dipartimento di spettacolo al DAMS di Bologna all’inizio degli anni Novanta. Mi ero iscritta al DAMS per studiare Arti visive, ma partecipando alle lezioni di Fabrizio Cruciani, Eugenia Casini Ropa, Franco Ruffini, Claudio Meldolesi e infine Giuliano Scabia mi sono innamorata del teatro e ho seguito quella strada formandomi negli anni con gruppi come Living Theatre, Odin Teatret, attori del teatro delle Buoffes du Nord di Peter Brook, ho vinto una borsa di studio che mi ha permesso di studiare teatro a Parigi, poi le esperienze professionali a Milano con la compagnia Maschere nere, Torino, sempre in campo interculturale… e infine il desiderio di portare nella mia città di origine uno sguardo nuovo e diverso, la mia esperienza, i miei studi e la mia passione.
- Qual è il vostro rapporto con le teorie della Decrescita felice di Latouche/Pallante? In quali “fatti” teatrali si è incarnato, questo rapporto?
Marco Sasia: come dicevo poc’anzi abbiamo viaggiato molto, abbiamo condiviso la nostra vita per periodi più o meno lunghi con i più deboli e più poveri nel mondo.
Nella fattispecie nel 2008 tornavamo da Mae Sot (Thailandia), avevamo realizzato un reportage grazie alla collaborazione con dei cari amici che hanno dedicato la loro vita ai Karen una popolazione che ancora oggi è costretta a scappare dalla Birmania. Questi amici sono dei medici indipendenti che ci hanno aiutato a documentare e a denunciare un genocidio di cui nessuno parlava. Un genocidio generato come al solito da interessi economici e socio-politici.
In ogni caso tornati in Italia condividemmo questo nostro lavoro con il pubblico di una manifestazione intitolata “Parole Fra Continenti” (pensata, voluta è promossa da un grande prete partigiano, Don Aldo Benevelli): a questo evento partecipò anche Serge Latouche. Fu così che ci ritrovammo a cena con lui ed altri commensali davvero interessanti. In quell’occasione ebbi modo di approfondire la sua teoria sulla decrescita (le 7R), ma tutto ciò continuava a sembrarmi molto filosofico e poco pragmatico, così gli dissi: “Caro Serge le tue teorie sono di certo molto interessanti, ma come possiamo fare per portarle su di un piano di fattibilità oggettiva?”. Lui, con un italiano cadenzato da un accento molto, ma molto francese, mi disse: “Devi cercare in internet le transition town!”. Così feci… Inutile dirvi che Elena ne fu subito entusiasta. Passammo l’estate a scrivere la drammaturgia di uno spettacolo che doveva essere senza parole, ma allo stesso tempo doveva riuscire a parlare al cuore di tutti.
Nell’agosto 2010, grazie ad un residenziale ad Arezzo che vedeva la partecipazione dei giovani che avevamo coinvolto e della compagnia Diesis Teatrango, mettemmo in scena per la prima volta “Oikos. Studio di un nuovo immaginario”. Di lì in poi ci abbiamo lavorato alacremente coinvolgendo tantissimi giovani che cominciarono a guardare il mondo con occhi diversi, cominciarono a fare l’orto, insomma cominciarono a decrescere con noi… Sull’onda di questo entusiasmo conoscemmo Maurizio Pallante e coniugammo lo spettacolo con le sue conferenze, collaborammo con Emmaus e per un periodo pensammo davvero di poter cambiare il mondo. In realtà cambiammo noi stessi.
Elena Cometti: L’associazione che promuove i nostri progetti teatrali, fondata da me e da un’insegnante di scienze sociali appassionata di teatro e di psicologia, nel lontano 1998, quest’anno compie 18 anni, non a caso è una Onlus, perché si occupa di prevenzione e promozione della salute, di benessere psichico in particolare, favorendo, con il teatro in primis, l’inclusione sociale e la valorizzazione delle persone con disagio psichico (vedi: Elena Cometti, Ugo Palomba, Mario Silvestro, Maria Grazia Tomaciello, Dire, fare, donare! … Attori di solidarietà, “Promozione Salute”, pp. 22-23, n. 1 gennaio-febbraio 2004).
Questa la genesi, poi le tante esperienze che citi: la ricerca che ci ha portati all’elaborazione di “Oikos. Studio di un nuovo immaginario”, uno spettacolo al confine tra antropologia, sociologia, economia e stili di vita, ispirato dall’incontro con l’economista e filosofo Serge Latouche, che ha anche dato il la alle riflessioni della Rete dei teatri di Resilienza, sodalizio tra diverse realtà teatrali della penisola riunite intorno a Giuliano Scabia e alla rivista europea Teatri delle Diversità, il cui documento fondativo trae spunto dalle riflessioni di Latouche (vedi n. 54/55 di “Teatri delle Diversità” novembre 2010, pp. 64-65 e la video intervista a Serge Latouche sui temi affrontati dalla Rete, a cura di Nicola Dentamaro, poeta, regista e attore recentemente scomparso).
Sulle orme, poi, degli antropologi del Museo dell’Uomo di Parigi il viaggio di ricerca in Senegal presso la popolazione Bassari (Elena Cometti, L‘incontro con i belyan, il popolo della laterite,“Teatri delle diversità”, pp. 21-24, n. 59/60, giugno 2012), che conduce alla seconda versione di Oikos e infine, l’ultima tappa del lavoro durato tre anni, ispirata dall’impegno concreto in favore della descrescita felice di Maurizio Pallante (link video spettacolo-conferenza: https://youtu.be/0IbGcj6oMLo) e l’elaborazione della terza versione di Oikos. Al Festival DDT di Imola ne presentammo ben due versioni!
La prima versione era nata ad Arezzo ospiti di un progetto della compagnia Diesis Teatrango, parte anch’essa della rete citata, e dell’Ass.ne La Serratura nel 2010, grazie a una residenza artistica che aveva visto protagonisti i FuoriXCaso in collaborazione anche con il SERT locale (Elena Cometti, Uno studio teatrale sulla Decrescita. I quattro giorni di laboratorio intensivo dei FuoriXCaso a Laterina in Valdarno,“Teatri delle diversità”, pp. 62-63, n. 54/55, novembre 2010). Il gruppo Oikos Teatro, dedicato ai giovani talenti, nasce, invece, dopo il debutto di Oikos in territorio cuneese (Elena Cometti, Teatri di resilienza: l’esperienza di Oikos, “Africa e Mediterraneo. Cultura e società”, n. 76, 1/2012.). Oggi uno dei suoi giovani attori, formatosi all’interno dei laboratori teatrali che ho condotto per dodici anni al liceo artistico statale “E. Bianchi” di Cuneo e poi appunto in Oikos Teatro, ha da due anni un contratto con il Teatro Stabile di Sardegna.
Vi è stata infine, nel 2012/13, la ricerca su di un nuovo paradigma culturale condotta a Cuba e che è sfociata in un’intervista all’allora Presidente del Dipartimento di arti sceniche del Ministero della Cultura Cubana, responsabile del festival internazionale di teatro di L’Avana, intervista di cui si dà conto nel n. 70/71/72 della rivista Teatri delle Diversità (Elena Cometti, Peter Brook e la regia al festival di L’Avana, “Teatri delle diversità”, pp. 12-14, n. 70/71/72, maggio 2016.).
- “Rosso filo di grazia e disordine” era un’idea spericolata (quella di costruire una performance, sui temi del confine, come una sorta di virus, facilmente riproducibile, per determinare una sorta di epidemia teatrale, e costituire, quindi, una comunità teatrale sempre più allargata, che condivide la stessa esperienza), creata e condivisa con altri due registi e altri due gruppi teatrali. Non è stato possibile – almeno finora – scatenare l’epidemia, ma voi, “Rosso filo…” non l’avete abbandonata. Che ne avete fatto?
Marco Sasia: Per ciò che concerne “Rosso filo di grazia e Disordine” sono stato un osservatore attivo, ho documentato il laboratorio che ha prodotto questo spettacolo, è stato un vero piacere vedere tre registi teatrali, Marina Mazzolani, Alessandro Garzella e mia moglie Elena Cometti (vedi video realizzato a Imola https://youtu.be/eYjxtvJtXoc e successivamente a Cuneo nell’ambito del Forum Teatro salute e benessere https://youtu.be/4aQ3wcO9qRo) mettersi in gioco e lavorare su un progetto che potesse diventare contagioso. Lo spettacolo affronta il tema del confine, era stato pensato e realizzato per essere messo in scena a Matera luogo in cui a quei tempi ci doveva essere un evento in favore dei rifugiati, ma come sempre succede quando c’è di mezzo la politica, le cose non andarono proprio così, a Matera non ci andammo mai!!! Però lo spettacolo andò in scena ad Imola luogo in cui venne prodotto ed a Cuneo nell’occasione di un congresso sul Tema Teatro&Salute…
Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, ma noi “Rosso Filo…” non lo abbiamo più lasciato, anzi devo confessare che ne sono il sostenitore più assiduo: in qualità di presidente dell’associazione Esseoesse.net Onlus ogni qualvolta produciamo residenziali, laboratori e stage lo propongo, ed ogni volta vive di una vita nuova, ogni volta gli viene data una nuova accezione, una nuova interpretazione, forse perché viene vissuto ed interpretato da adolescenti, pensionati, disoccupati, migranti, rifugiati, gruppi di ogni età ed estrazione sociale (vedi https://www.facebook.com/pg/creativivallestura/videos/?ref=page_internal).
Rosso Filo per me è un ottimo strumento per ragionare sulle differenze, sulle disuguaglianze ma soprattutto serve per creare gruppi, per fare coesione, fare squadra…
Elena Cometti: Colgo l’occasione del lavoro comune intorno a “Rosso filo di grazia e disordine” per parlare del lavoro teatrale a cui ci ispiriamo e che conduciamo da pazienti artigiani, come scrivi. L’idea dell’alfabeto è molto stimolante e centrata.
In tanti anni di formazione continua – chi è autenticamente impegnato in campo artistico non ha bisogno che l’aggiornamento sia obbligatorio per legge – a partire dagli esordi della formazione, prima come spettatrice in adolescenza, con la stagione del Teatro Alternativa nella Cuneo degli anni ’80, poi come studentessa di teatro a partire dagli anni ’90 e tuttora, unitamente alle esperienze professionali incominciate dal 1995, ho raccolto un enorme bagaglio di esercizi, di approcci, di metodi e tecniche abbozzati o ben strutturati. Via via, sperimentandoli prima sulla mia pelle e poi all’interno dei gruppi che guido a scuola (https://www.youtube.com/watch?v=b9MWneSYueI), in università, nei laboratori privati e in quelli voluti dalla sanità e/o dal socio-assistenziale, in collaborazione con attori e registi professionisti o con portatori di handicap ed educatori, con medici, infermieri e persone con disagio psichico, con persone con dipendenze patologiche o con handicap post-traumatici, con rifugiati o detenuti – recentissima è l’esperienza al super carcere di Cuneo che mi auguro trovi modo di continuare -, è nato un corpus via via sempre più organico di esercizi collaudati, ma anche un approccio relazionale e di conduzione del gruppo che trae spunto dall’esperienza con i grandi registi, attori e gruppi teatrali con cui mi sono formata, ma anche dalle collaborazioni artistiche e dal mio personale modo di rapportarmi agli altri e alla vita.
Per nutrirsi e crescere umanamente e come “artisti”, per rinnovarsi e avere sempre qualcosa da dire, c’è bisogno di continuare a mettersi in gioco sempre, anche come allievo, come attrice per quanto mi riguarda e non solo come regista, e in questo panorama l’esperienza a contatto con tanti straordinari registi e attori/attrici a partire dal 2008, dal nostro incontro che citi a Cartoceto, è stata molto florida da questo punto di vista. Lo scambio reciproco che si è avviato da allora sia a livello di riflessione teorica che di prassi sceniche e laboratoriali è stato nutrimento indispensabile in questi anni di crisi economica, ma anche culturale e sociale, d’impoverimento su tutti i piani; tutti noi “resilienti” abbiamo saputo resistere e reinventarci grazie anche alle numerose collaborazioni e al sostegno umano e artistico reciproci.
Il lavoro teatrale che portiamo avanti come Esseosse.net Onlus con l’Università – CLI Cuneo – è stato osservato e valutato scientificamente come approccio alla formazione di base e continua dei professionisti della salute. Una nostra giovane attrice ha fatto la sua tesi di Master in Teatro sociale sui laboratori teatrali tenuti per il Corso di Laurea in Infermieristica a Torino e a Cuneo e mi fa piacere ricordare che il teatro è entrato nei corsi di laurea delle professioni sanitarie per la prima volta, almeno in Piemonte, proprio a Cuneo nel 2003 grazie alla collaborazione con il laboratorio FuoriXCaso, per poi consolidarsi negli anni come vero e proprio percorso formativo dedicato agli studenti tout court. In occasione dell’evento europeo “Notte dei ricercatori”, effettuiamo invece ogni anno laboratori e spettacoli in collaborazione tra FXC, Oikos Teatro e studenti universitari della sede di Cuneo, come esperienza pilota per l’avviamento di una compagnia teatrale universitaria (vedi video: https://youtu.be/at3gWYX_lm4).
Oggi, con BioDiversity, le collaborazioni artistiche sono facilitate e favorite. BioDiversity è uno spazio sempre a disposizione, concepito e ristrutturato come luogo laboratoriale e performativo, dove il contatto con se stessi e con “l’invisibile” è favorito dalle caratteristiche dei materiali utilizzati, naturali e biologici, e dalla cura con cui artisti-artigiani e soci volontari li hanno posati, realizzando una vera e propria opera d’arte nella trasformazione di questo vecchio cortile, poi magazzino, officina, sala concerti di un jazz club e infine “sala utero” come l’ha definita la danzatrice che vi lavora stabilmente, Valentina Taricco, della compagnia di danza contemporanea “Loop”. Alcune produzioni stanno già replicando e altre sono in fase di allestimento, per il momento tra artisti e formatori “resident”, ma ci auguriamo che man mano che la partecipazione e l’interesse per le proposte del Bio aumenteranno, anche l’ospitalità divenga ricorrente. Dunque, vi aspettiamo numerosi!
- Resilienza è un termine che per la prima volta ho imparato da voi, anni fa, lo confesso. Direi che il vostro grado di resilienza è altissimo. È il fatto di essere persone particolarmente resilienti che determina il vostro teatro, o viceversa? Cioè… non vi pare che in voi il teatro e la vita si confondano, e che facciate di tutto perché sia così?
Marco Sasia: Ho conosciuto il termine o meglio il concetto di resilienza quando ascoltando il suggerimento di Latouche sono andato ad informarmi su quello che sono le città in transizione, fu così che scoprimmo Rob Hopkins e la nuova accezione che lui da al termine resilienza, ossia saper reagire positivamente come comunità ad una condizione di crisi profonda. All’epoca la crisi era al suo esordio, scoprimmo che questo docente universitario aveva redatto un manuale dove c’erano scritti tutti i passi necessari a creare le comunità della transizione. Tutto questo ci ha toccato profondamente perché ci dava modo di praticare realmente la decrescita. Da allora abbiamo cambiato ulteriormente stile di vita ed abbiamo cercato di fare proselitismo di queste istanze, siamo stati i promotori della rete dei teatri di resilienza. Anche BioDiversity nasce con lo scopo di diventare un luogo di riferimento di questi principi, ma d’altronde come dici tu Marina noi di base non separiamo la nostra vita quotidiana dalle nostre ricerche, da ciò che di artistico produciamo, dal teatro che facciamo, perché per noi la vita è un teatro ed il teatro che facciamo è lo specchio della vita che viviamo.
Elena Cometti: Con il 2015 parte l’avventura di BioDiversity che è ancora in fase di avviamento essendo giunta solamente al suo secondo anno di vita (link video inaugurazione Biodiversity https://www.youtube.com/watch?v=_c_KGCFl_CE) Si tratta di un progetto che coniuga ancora una volta passione sociale e artistica, ma con tanti fatti concreti: laboratori, spettacoli, stage, conferenze, proiezioni, in collaborazione con la salute pubblica, il socio-assistenziale, l’amministrazione locale e l’Università – Corso di Laurea in Infermieristica – Sede di Cuneo – (vedi video: https://www.youtube.com/watch?v=xVIZ42bozgU).
Come dici tu Marina, si tratta senz’altro di un progetto resiliente, poiché dopo tanto impegno e autodisciplina per andare avanti con la ricerca artistica e riuscire a farne un mestiere, siamo oggi tutti più in difficoltà a vivere di una professione in campo artistico e culturale, a portare avanti il lavoro costruito in tanti anni di sacrificio e dedizione, pieno anche di grandi ritorni dai partecipanti, attori o pubblico che fossero, che si sono fatti coinvolgere e hanno dato tanto umanamente e anche artisticamente: BioDiversity vuole essere un’opportunità di andare avanti con le nostre forze, seppur in rete con tante istituzioni, non in grado però di sostenere finanziariamente le attività e il progetto. Quindi le comunità si mobilitano (vedi: Elena Cometti – intervista a -, Salute 2020. Creare comunità resilienti e ambienti favorevoli, a c. di Claudio Tortone, Rivista on line “Dors. Centro Regionale di Documentazione per la Promozione della Salute”, Regione Piemonte, maggio 2015) e propongono la cultura e l’arte che le rappresenta e le vede protagoniste!
Ringrazio tutti coloro che negli anni hanno partecipato alle nostre attività teatrali a qualunque titolo o ci hanno offerto opportunità di collaborazione e di scambio. Uno speciale grazie va a Vito Minoia e a tutta la redazione della rivista europea “Catarsi. Teatri delle diversità”, a Teatro Aenigma, Animali celesti teatro d’arte civile, Extravagantis e naturalmente Marina Mazzolani, Neon Teatro, Stalker Teatro e infine Giuliano Scabia, maestro di teatro sociale ante litteram, che mi ha accompagnata nella mia crescita artistica e umana, così come in quella dei gruppi teatrali che inseguono insieme a noi un sogno condiviso.
Elena Cometti, formatrice teatrale, performer e regista (laurea in Drammaturgia al DAMS di Bologna con Giuliano Scabia), crea da vent’anni laboratori e spettacoli partecipati, in collaborazione con enti territoriali, ass.ni, coop. soc., scuole e università, che fanno della ricerca teatrale una possibilità di relazione e di inclusione che va oltre ogni pregiudizio. https://www.youtube.com/watch?v=h4IvnxXWu6U
Affianca da sempre, all’intensa attività laboratoriale maturata nel contesto del teatro di ricerca (si forma con attori e registi di gruppi internazionali come Living Theatre, Odin Teatret, compagnia di Peter Brook), un lavoro di riflessione sulle valenze sociali ed educative del teatro contemporaneo che la porta a collaborare a percorsi di inclusione sociale in campo multiculturale, intergenerazionale, in favore del benessere, psichico in particolare (fonda e dirige il laboratorio teatrale FuoriXCaso, nato in ambito psichiatrico, ma da sempre aperto a tutti) e della salute di comunità.
Cura la direzione artistica dell’Ass.ne Onlus Esseoesse.net e della compagnia teatrale Oikos Teatro che dal 2015 hanno una sede stabile presso Spazio “BioDiversity”, centro di ricerca e pedagogia teatrale, per le arti socializzanti e il benessere psicosociale.
Attualmente è collaboratrice alla didattica nei corsi di “Psichiatria e salute mentale” presso il Corso di Laurea in Infermieristica – sede di Cuneo, nell’ambito del quale progetta e tiene attività formative di matrice teatrale dall’anno 2003.
Marco Sasia è un fotografo professionista e videomaker con 30 anni di esperienza.
All’attività per committenti internazionali come il New York Times o il Centre National de la Recerche Scientifique affianca da sempre una personale ricerca da fotoreporter ritrattista che lo porta a viaggiare in tutto il mondo realizzando numerose pubblicazioni.
Presiede da alcuni anni l’ass.ne Onlus Esseoesse.net nell’ambito della quale si dedica alla comunicazione e visibilità sui social network attraverso video e foto di produzione originale che documentano le numerose attività artistiche e volte al benessere psicosociale promosse dall’associazione e dai suoi partner.
Nel campo cinematografico, ambito nel quale si esprime fin da giovanissimo, dopo aver vinto borse di studio internazionali e festival come Cinema Giovani (terzo premio “Spazio Italia”) collabora con Guido Chiesa e Antonio Leotti e realizza video clip musicali ad esempio per i Marlene Kuntz.
Collabora con ONG, sanità pubblica, settore socio-assistenziale e scuola pubblica, curando la comunicazione di progetti e singole azioni in Italia e all’estero.
Documenta eventi pubblici e privati con un taglio fotogiornalistico o glamour grazie alla sua formazione nel campo della moda conseguita lavorando principalmente a Milano, Madrid e Barcellona.