… è la contraddizione che nol consente, Mario Lunetta
Il tempo viaggia in posti diversi con persone diverse.
Ti dirò con chi il tempo va all’ambio, con chi al trotto,
con chi al galoppo, e con chi sta fermo.
William Shakespeare
di Antonino Contiliano
Chapeau ai lasciti del poeta Mario Lunetta. Mario Lunetta è andato via dal pianeta il 6 luglio 2017. Il pensiero e l’azione dei suoi scritti rimangono però più vivi che mai e intatti, una ‘macchina da guerra’ scagliata a tutto tondo contro l’addomesticamento del conflitto e delle contraddizioni storico-materiali che sono nel corpo del capitalismo mondializzato. Quelle contraddizioni che il capitalismo quale potenza dominante asimmetrica, nonostante le demonizzazioni avversarie, dilatandosi e svilendo ogni peso simbolico dei linguaggi alternativi continua invece a processare e a cristallizzare come leggi naturali e proprie al proprio modello economico-sociale e politico-culturale.
Un’ideologia metafisicizzata rispetto a cui la cultura e la poesia stessa, secondo il potere ordoliberista (dominante l’immateriale digito-informazionale come forza produttiva capitalistica e senza alternativa, “TINA”) non possono che sedare e amministrare le coscienze per abituarle al “taci e consuma” del mercato mondiale e del capitalismo finanziarizzati e finanziarizzabili economie e poteri. E ciò fin dagli ultimi trent’anni del secolo scorso.
Ma la lingua della letteratura e della poesia non è linguaggio solo ad uso e consumo dell’egemonia socio-politica dominante quanto oppressiva e repressiva. Essa è anche volontà di rappresentazione di un mondo alternativo, specie di quelli che non si sono vissuti e che non smettono di alimentare e di dar voce a quello del “non-essere ancora” di memoria blochiana o del “risveglio” benjaminiano.
Così (decidendo di saltare molti passaggi) entriamo subito nelle strade della letteratura e della poesia di “tendenza” oppositiva ricordando l’antologia poetica a co-firma di Mario Lunetta e Franco Cavallo. È l’antologia “Poesia materiale della contraddizione” (Newton Compton, 1989), l’operazione che Mario Lunetta cura come voce controcorale – uno spunto che impegna il collettivo del noi piuttosto che il diniego del singolo io o del poeta isolato; una voce multipla e plurale controcorrente cioè che si pone di traverso al paradigma alienante e svilente del canone politico-culturale individualistico dominante (l’imbroglio del superamento e della morte del conflitto e delle contraddizioni che animano i rapporti di forza tra le forze sociali in lotta …) .
La “Poesia materiale della contraddizione” è un’opera poetica collettivo-antologica che si presenta come un vero clinamen della ripresa e del rilancio del conflitto e dell’antagonismo mediante anche la via della poesia e della sua estetica desublimante l’ideologia corrente e il senso comune; un’azione demistificante le verità del regime d’ordine imperante e un attacco permanente alla volgarità dell’ideologia dell’impero. Un diniego e un attacco che non lascerà mai il pensiero, l’azione e l’opera del poeta romano (Mario Lunetta).
Una scrittura poetico-letteraria e critica lucida, la sua, che, mentre scava nella propria solitudine di poeta controcorrente, non lascerà mai il discorso poematico orfano né del verso ragionante (logos in poesia e versi raziocinanti) né di un’estetica appropriata tutte le volte che toccherà le derive e il degrado della storia italiana, europea e dello sposalizio delle opposizioni di sinistra con le scelte del capitalismo predatorio e criminale (colpevole anche della stessa decapitazione della democrazia liberal-borghese). È il clinamen che, all’implicita accoglienza (si può dire) della deleuziana “aver fiducia nel mondo”, innesca pure il taglio del poema come prassi (di teoria e pratica) per un’Italia come “Poema da compiere”. In certi momenti storici, scrive J. Lotman, per far riemergere e fare apprezzare il lato estetico della poesia è pur necessario che l’arte e la poesia si occupino di fatti extra-estetici. Un prendere posizione dunque che è anche una risposta più che chiara e fluente perché una delle domande di Harold Bloom (Il Canone Occidentale) – “a cosa sia destinato un poema” – abbia un orizzonte e un orientamento privi di tentennamenti e della malafede del politically correct di certi ex-comunisti e pentiti. I riciclati cioè che hanno dimenticato sia il “sogno di una cosa” del vecchio di Treviri (K. Marx), sia quello dell’Europa dei padri di “Ventotene”. Quel “sogno di una cosa” del divenire-comunista che, spettro che non ha mai smesso di aggirarsi per l’Europa, rimase (leopardianamente) sempre caro al poeta Lunetta e mai dismesso. Semmai, conservando/creolizzando ira, rabbia, passione e demonica gentilezza di poeta, ha alimentato la poesis fabbrile dell’ironia estetica politicizzata (fine fabbro nel lavorare con i topoi e i tropi dell’ars devil della poesia) e, dove opportuno, del sarcasmo e del grottesco:
Compagno D’Alema è andato alla guerra / al Clinton fedele ed all’Inghilterra / La Patria la Patria innanzi tutto /di quella degli altri facciamo prosciutto / Sorride il D’Alema da sotto il baffetto / dei funebri Apaches attendendo l’effetto / Mon Dieu! Comunista lui non è mai stato / ed ora è soltanto figliol della Nato / Compagno D’Alema ha indossato l’elmetto / e giura: «Politicamente corretto!» (Mario Lunetta, La ballata del DAlema, in Lettera morta, 2000);
L’Europa si è suicidata: / L’America l’ha condannata. / Questa guerra è una faccenda sporca: / L’Europa è lettera morta. // Niente sarà più come prima: / L’Europa ha la faccia storta. / Gli eurosogni sono in cantina: / L’Europa è lettera morta (Mario Lunetta, Europa Europa, in Lettera morta/2000);
ci sono cose & persone ci sono & pensieri & progetti / avvolti dalla stessa vitrea solitudine dei chioschi /
di grattachecche sui lungotevere in inverno. muoiono / anche i grandi poeti, la legge del menga non fa sconti / neppure al padreterno afflitto da certi fastidiosi raffreddori / & intanto mentre lui si ingozza di aspirine / […] / le finte risse dei reality hanno lo stesso tasso di menzogna dei dibattiti in parlamento. […] // essere (o voler essere) comunisti oggi – ank’ora! ank’ora (!) / totalmente disancorati come siamo da pressoché tutto / vuol dire (anche & ancora) farsi carico di quella totalità / priva di fessure storia tremenda incancellabile di quella // bestia zoppa che si è chiamata appunto incautamente / Comunismo – rompendone la continuità lacerandone / il senso comune la vulgata la cecità fideistica senza una stilla / di pentimento ma con tutta la possibile impossibile // freddezza analitica dentro quest’onda che non presenta mai / nessuna anomalia nell’immane flusso di morte sorridente / che si chiama ank’ora ank’ora Capitalismo eccetera / magari anche guardando l’avviso attaccato a quel tronco // […] (Mario Lunetta, Cose persone comunismo grattachecche, https://gaudiaduepuntozero.blogspot.it/2012/05/mario-lunetta-4-poesie-par-delicatesse.html; poesie datate 2010).
La poesia del martello – “il sogno di una cosa” – di Lunetta è ancora quella dei testi e delle raccolte del 2009 che si titolano “Formamentis – Poema da compiere, todavìa” e“La forma dell’Italia – Poema da compiere”.
Da Formamentis – Poema da compiere, todavìa:
in quest’Italia maltagliata ridotta un pastone da suini / avanziamo a tentoni ma ad occhi aperti sapendo anche / che tra l’altro – non ultima delle colpe – il vizio della poesia / è di non smettere mai il vestito della domenica – invidiosa // del canto degli uccelli che alle cinque del mattino todavia / ci svegliano coi loro concerti nevrotici secchi violentissimi / lasciando nell’aria una scia luttuosa un manque crudele /anche nella mia stazione eretta il mio corpo la mia testa ferita. // Il mondo possiede da tempo il sogno di una cosa, / di cui deve solo possedere coscienza per possederla /
realmente, ha detto qualcuno. E la parola, ha aggiunto / qualcun altro, nel linguaggio autentico n’est pas // l’expression d’une chose, mais l’absence de cette dose… / Le mot fait disparaitre les choses et nous impose / le sentiment d’un manque universel et même / de son propre manque — mentre qui la pioggia // è riapparsa dopo giorni e giorni di tempo splendido / come si dice / e ci sono amici cari che stanno giocando / l’ultima partita a briscola con la Comare / persa a priori: /dentro un rumore assordito un silenzio che assorda. // […].
Da La forma dell’Italia – Poema da compiere” :
Ma il presente è solenne e sarcastico. È l’arroganza, la protervia,
anzi la presunzione di ciò che è – e ti preme sul costato
ti cuce la bocca, non si sposta di un millimetro, non si sdoppia
nella sua ombra, non fa cenni di diniego, è assente
in uno spazio che non si vede.
[…]
Noi insistiamo,
con tutto il rispetto, a negare la negazione, per quel poco che ci è concesso, di
cui siamo capaci, nella nostra condizione
di apprendisti perenni:
(disperati nella speranza, raggelati
nel fuoco).
Scelleratezza nel Sublime. Sublime nella Scelleratezza:
anche di questo, e magari di questo soprattutto
è fatta la forma dell’Italia.
[…]
Quanto c’è da dimenticare? Quanto da ricordare, nel macero
intestinale del consumo, del riciclaggio, in oppiata
compravendita, in culibbus munni – come
si dice a Roma, oppure nel cuore dissipato di una folla
che non ha più profilo?
Non è più tempo di impressioni,
fratelli & fratellini. E tempo di espressioni. E riproporre
l’incitamento al paradosso pare, in questo asmatico momento
che non ha fine, un’ipotesi non proprio parassita, respirando
biossido di carbonio perfino nella mente, nella mèntula, mentre
i giorni sono sempre più corti e il tempo si frantuma
nelle coscienze triturate.
Un pensiero e un’azione che, chiudendo sui lasciti letterari e critici lunettiani con due parole (troppo poche per Mario Lunetta), rimangono indigesti sia ai decervellati quanto agli asserviti del mercato delle “lettere”, o ai chierici della rimodernizzazione dell’immateriale capitalistico neoliberistico (che non meno di Platone ha messo al bando la poesia e il suo linguaggio fuori riga).
Ora, così, (insieme con il poeta – Mario Lunetta – de “la contraddizione che nol consente”) non ci neghiamo di dire Ya basta con la mens mentula di questa “Confraternita dei puttanieri / Alla taverna della Minchia / … /” (Cfr. Mario Lunetta, “Quasi un immenso covile”, in Depistaggi, pp.149-150).
Ora è tempo del risveglio, del riso critico e di “espressioni” taglienti nel saluto pas oubliant di un assoluto attacco e assalto di frequenze quantistiche poetiche ribelli sovrapposte e neghentropiche. Un acido virulento cioè che aggredisce e sputtana la realtà di quel presente che rimuove e nega la storia “conflittuale” e concreta, mentre canta gli ignobili benefici degli equilibrismi italiotici dell’“Ytaglia”. Il mondo caro ai soggetti individualistici e collettivistici della neo-colonizzazione “prosumer” e, ça va sans dire, come “mens mentula” e/o avversi ai versi dei poeti e dei soggetti del “sogno di una cosa”.
Quell’utopia che accompagnò il Lunetta fino alla morte come un costante allarme shakespeariano: “Preferiresti che Cesare fosse vivo, e morire tutti da schiavi, o che Cesare sia morto per vivere tutti da uomini liberi?”. Il sogno di un mondo, l’anarcorebeldía dell’antagonismo alternativo (la forza e l’impegno che non mancò mai – e non manca – ai testi del romano Lunetta; il Lunetta che dette anche man forte (qui è il caso di non dimenticare) al soggetto collettivo anonimo “Noi Rebeldía”/2010/2014. È il mondo possibile che, mentre manifesta “la propria assolutezza secondo un principio che lavora ad excludendum”, tra-sforma quello del potere di classe e della lingua dei vincitori e pone (corsivo nostro) “il problema dell’autonomia politica delle forme estetiche […] come questione della critica dell’economia politica dell’arte e della cultura: come critica dell’economia politica della lingua” (Mario Lunetta, Le lingue dei vinti, in Depistaggi-fra critica e teoria/2010).
È il risveglio della lingua del “sogno di una cosa”, il vento pazzo – la follia delle ragioni della ragione (le fantastiche e utopiche illusioni temporali del divenire-con essere-comunista) – che gira ovunque e nessuno acchiappa per castrarlo o imprigionarlo; che non smette di presentarsi e che, todavìa, tuttavia bisogna non smettere di pensarne e agirne l’eccesso come “Poema da compiere” e al contempo non tralasciarne il divenire “Ritratto del poeta come cane sapiente” (Invasioni di Campo, 2002). Perché “I poeti degni del nome masticano le parole, e le assaporano… la loro saliva è il collante che cementa le varie componenti della struttura verbale e ritmica, […] gli snodi […] sonori, le differenti tonalità del testo. […] C’è in loro, sempre, un sentimento meticcio di amore-odio nei confronti dei materiali che adoperano […] i materiali […] che celano intenzioni ostili, di sottrazione e provocazione. È questo comunque, in fondo, che aizza il poeta, ed eccita il suo istinto canino. Nobile istinto […] vs (corsivo nostro) la decrepita credenza […] della poesia come armonia sublimata e dell’altrove irrelato, indenne dagli urti della storia e dalle contraddizioni fetide o sanguinose della cronaca”.
La cosa, amici e compagni poeti (si fa per dire), ci impegna con responsabilità infinita (ineluttabilmente), se non si vuol essere e rimanere complici di un mondo d’ordine senza libertà, eguaglianza e democrazia reale.
Marsala, 23 luglio 2017
Antonino Contiliano vive a Marsala. E’ laureato in Pedagogia (Università di Palermo). è stato redattore della rivista “Impegno 80” e “Spiragli”. Ha fatto parte del movimento poetico che, tra gli anni 60 e 80 del secolo scorso, operò in Sicilia e si qualificò come Antigruppo Siciliano. Negli anni 80 ha fatto parte del comitato organizzatore degli “Incontri fra i popoli del Mediterraneo”: il convegno che, curato dal poeta Rolando Certa, ogni due anni si teneva a Mazara del Vallo. Nell’Antigruppo siciliano è stato redattore anche della sua rivista, “Impegno 80” (Mazara del Vallo) e poi del trimestrale “Spiragli” (Marsala). Fra le sue ultime poere di poesia si ricordano: ‘El Motell Blues (2007), Tempo spaginato. Chiasmo (2007), Il tempo del poeta (2009), Ero(S)diade. La binaria de la siento (2010), We are winning wing (2012), L’ora zero (2014) e la sua ultima opera Futuro Eretico (Fermenti 2016). Sue poesie sono state tradotte in inglese, francese, spagnolo, greco, macedone, romeno e croato.
Foto dell’autore da un dipinto di Stefano Lanuzza.
Foto in evidenza del fotografo Giorgio di Maio http://www.giorgiodimaio.it