Due viaggi nella leggerezza della pittura di Mauro Pipani (Raffaele Quattrone e Annamaria Bernucci)

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Derive e approdi

Ci sono concetti come flessibilità, modularità, plasticità che nel tempo a noi più vicino sono stati utilizzati per definire la società contemporanea ed in particolare la cultura e l’identità intese oramai non più come il risultato di un processo cumulativo quanto piuttosto come combinazione di frammenti differenti che all’occorrenza possono essere combinati, sostituiti o abbandonati. La cultura contemporanea è quindi scoperta e riscoperta continua. Questa libertà non è priva di tensioni ma anzi acuisce un generale senso di insicurezza, spaesamento e sradicamento, con equilibri instabili e precari spesso soggetti a mutamenti bruschi ed imprevedibili.

 

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Lo scrittore portoghese Josè Saramago ha scritto: “ quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre”.  Mauro Pipani è un viaggiatore. Un viaggiatore del mondo interiore che con forza e leggerezza crea immagini che trasmettono memorie, ricordi, narrazioni. Un sentire poetico che racconta il mondo attraverso alcune sue tracce stratificate in una contaminazione di segni, immagini, parole o silenzi. Un collasso del tempo e dello spazio. Un insieme di frammenti, residui, impronte. Un segno minimalista che parla di indeterminatezza, dissolvenza, liricità, sacralità, leggerezza e melanconia. Una poetica che cerca di trovare un punto fermo in un mondo in continuo movimento. Una poetica che ci chiede e richiede consapevolezza, riflessione, introspezione. Ci richiede tempo per andare oltre la superficialità quotidiana con la quale osserviamo il mondo e che non ci permette di scoprire che il nero ed il bianco non sono colori assoluti ma hanno infinite sfumature.

A livello internazionale altri artisti pur sviluppando percorsi di ricerca diversi da quelli di Pipani raggiungono risultati che si collocano in un ambito similare. Per esempio i dipinti dell’artista americano Sterling Ruby sebbene influenzati da implicazioni sociologiche legate alle lotte di potere, al vandalismo, alle demarcazioni sociali perdono il loro significato originario acquisendo una forza strutturata, ordinata, minimalista che ci riporta in una dimensione meditativa. Oppure, se pensiamo all’ambito fotografico le opere del britannico Idris Khan sono degli ottimi esempi come il nostro nei quali l’atto creativo viene raccolto in un elegante dimensione di riflessione. Archeologie mentali come nelle opere di Doris Salcedo che pur avendo un retroterra sociale e politico sono aperte a viaggi introspettivi e catartici.

 

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Mauro Pipani rende leggera la materia. Sa come purificarla, mondarla di ogni superficialità. Sa come dare forma al respiro dei nostri passi, al silenzio delle nostre coscienze, alla forza delle nostre memorie. Tracce di contemporaneità. Tracce di un ordine perfetto. Tracce di senso in tempo di crisi.

La porta, la soglia, la strada: attraverso di essi comincia il viaggio spesso reale – talora immaginario- che tocca paesaggi, frontiere, percorsi, mete visibili ed invisibili. Verso l’altro l’altrove, l’oltre. E alla fine del viaggio ritrovare sempre noi stessi, o un  frammento di noi stessi”.

 

Raffaele Quattrone

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Arborea

 

«L’albero è un individuo? Si può pensarlo. Nel vedere un certo albero distendere i suoi rami – scrive Yves Bonnefoy – con le irregolarità della loro forma che lo rendono diverso da tutti gli altri, si avverte assai fortemente il senso della sua unicità, si sente ciò che ha d’assoluto la particolarità di un’esistenza, per quanto precaria ed effimera essa sia».

Gli alberi sono anime. Sono specchio degli esseri umani nella corrispondenza reciproca di nascita, di morte, di rigenerazione e energia vitale. L’albero è immagine e promessa di immortalità e il suo valore simbolico è trasversale al tempo e allo spazio. È l’antico asse di collegamento tra il mondo ctonio e il cielo, l’indimenticato axis mundi, scala mistica e strumento di passaggio dalla realtà fisica a quella spirituale.

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La natura alimenta lo sguardo degli artisti, nutre l’attesa di una percezione. Ed è sempre la natura a suggerire una riflessione sul rapporto con l’uomo e sulla violenza tragica che (per dirla con George Simmel) questo rapporto porta con sé. E che le seduzioni, le devianze, le minacce della modernità hanno acutizzato, rendendo ancor più conflittuale quel legame.

Mauro Pipani si è accostato a questa ‘unità’ originaria tra la varietà dei viventi, al nesso che tiene insieme la vita segreta di uomini e alberi, divenuto filo conduttore di una sua ricerca con vari innesti. Non segni nel solco antropologico, ma formalizzazioni pittoriche di pensieri attorno alla natura e al residuo di sacro che essa contiene. Il suo occhio introspettivo non esita a sondare questa antica identità, umanità-albero. Il vero ottico dell’artista diviene sentimentale e allusivo, noi alberi-anime restiamo come tracce, durevoli nella nostra inconsistenza.

Pipani ha costruito su questi temi una sintassi composta da uno stratificato archivio di segni, fatto di equilibrio tra gestualità e grafia. Il suo operare origina da una convergenza concettuale, un approccio originario, quasi fisiologico in cui c’è un gioco di sovrapposizioni e anticipazioni tra lo scrivere, il disegnare e lo stesso dipingere. Un fertile spostamento tra la pittura e il foglio-pagina. Sottraendosi alla dittatura del presente, a quella condizione diffusa che vede l’arte della contemporaneità aderire in modo totalizzante al flusso accelerato dell’attimo e del momento, alla contingenza, all’impermanente, al tempo quantizzato e frammentario dell’oggi.

Il suo è un mondo intriso di umori naturali e residui psicologici, composto di qualità combinabili, sensuali e algide, deformanti e rigorose, sospese in una caligine opaca che copre ma non nasconde gli interventi pittorici.

Lo statuto poetico di Pipani si muove attraverso segni e tracce visive nella volontà di investire tutta la realtà dell’esistente in un distillato grafico-pittorico che si rinnova in varianti e che diventa agile come una calligrafia. Frasi corrose, parole abbandonate, superfici da dove si accende il tenue brillio di uno smalto d’oro, il tutto avvolto da una luce rarefatta e opalescente che è la silenziosa protagonista cognitiva dei suoi lavori.

 

 

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Si avverte una forte concezione unitaria nelle sue opere, la tensione della scrittura, nutrimento e strumento di contaminazione, si coniuga con lo spazio e il respiro della pittura e del segno. Ogni singola occasione operativa si fa per l’artista coagulo e elaborazione per accendere sensorialità percettive, ma anche spinta ad uno stream intellettuale ed emotivo. E la scrittura è un tentativo di dare senso all’esperienza del visivo poiché in arte tutto è rivelato e nascosto contemporaneamente.

Pipani lo fa dispiegando una narrazione ibrida di parole e immagini, spingendo i mezzi espressivi su soglie intangibili, in una costante dissolvenza della materia, dove la densità della memoria e della percezione diventano apparizioni rarefatte, frammenti, deformazioni visive, luoghi di indeterminatezza ed enigma. Forse certi barbaglìi di colore che fuoriescono a volte da quella mistura di pigmenti e di garze che come un velo tutto riveste costituiscono pretesto per frantumare l’accento monocromo prevalente. Come accade nella nebbia d’inverno sulle spiagge di quella piccola patria romagnola che Pipani non dimentica, e che, anzi, ama evocare nel riannodare quelle radici marinare e quell’umile professare di mestieri che sono appartenuti alle sue radici.

L’opera su carta diviene territorio privilegiato. Ma anche gli altri supporti, le tavole, le tarlatane, le lastre, gli acetati si trasformano in un vasto campo operativo assimilabile alla pagina. Nella quale con una frenesia misurata Pipani riversa energie e sentimenti, forzando confini disciplinari e immergendosi in codici visivi con la precisa volontà di sovvertirli. Le parole scritte emergono come incisioni sulla pelle del tempo che scorre sui supporti, fuoriuscendo sui muri, mentre il segno minerale lasciato dalla matita o dai pigmenti sulla carta conserva un tracciato accidentato e prezioso come la vita nascosta che è evocata.

Le direzioni sono aperte e brucianti, anche nella soluzione installativa esperita nell’aula dell’oratorio di S.Rocco a Gatteo dove Pipani capta il limite estremo del reale. Ogni albero è lo specchio di un’anima, ogni segno corrisponde a un nome, a una memoria, a un’avventura di chi si è inabissato o perduto nell’olocausto contemporaneo del Mediterraneo. Un alfabeto delle attese che tamponano le cadute della vita e gli smarrimenti.

 

Annamaria Bernucci

 

 

 

Mauro Pipani (1953) nasce a Cesenatico, vive e lavora a Cesena. Si diploma nel 1976 all’Accademia di Belle Arti di Bologna con Pompilio Mandelli e Maurizio Bottarelli. Master in Architettura Sostenibile interior design, docente all’Accademia di Belle Arti, da tre decenni svolge la sua attività artistica attraversando pittura, fotografia, progettazione. Esordisce nel 1972 con il collettivo “la Comune” gruppo di giovani artisti diretto da Dario Fo. Nel 1973 partecipa al premio Suzzara. Nel 1975 è fra i fondatori, all’interno dell’Accademia di Belle Arti, del collettivo artistico di Via delle bisce assieme a Leonardo Cemak, gruppo di giovani artisti che, nella varietà dei linguaggi individuali, è unito dalla volontà di fare arte socialmente impegnata. Negli anni ‘70 collabora con la rivista culturale “sul Porto” diretta Walter Valeri, Stefano Simoncelli e Ferruccio Benzoni.Nel 2002 dirige la scenografia al teatro della Città di Cervia per la presentazione del libro I nuovi comportamenti amorosi di Willi Pasini con Vittorio Sgarbi. All’attivo decine di mostre personali e collettive di rilievo nazionale, con testi critici di Gian Ruggero Manzoni, Rosanna Ricci, Enzo Dallara, Erica Calvi, Maria Virginia Cardi, Marco Meneguzzo, Maria Rita Bentini, Alberto Zanchetta, Adriano Baccilieri, Edoardo Di Mauro, Giancarlo Papi, Sabina Ghinassi, Claudio Spadoni, Marisa Zattini, Annamaria Bernucci, Renato Barilli.

 

 

 

Raffaele Quattrone (Foggia, 1974), sociologo e curatore di arte contemporanea, vive e lavora a Bologna dove è Presidente del Dipartimento Emilia Romagna dell’Associazione Nazionale Sociologi.La formalizzazione del suo interesse per l’arte contemporanea avviene durante la specializzazione presso l’Università degli Studi di Firenze dove si dedica con particolare attenzione agli studi del sociologo francese Pierre Bourdieu maturando specifiche competenze sulle relazioni tra il campo culturale (in particolare l’arte contemporanea) ed il potere nella società contemporanea. I suoi studi e le sue ricerche sono stati pubblicati nel suo primo libro Modernità e campo dell’arte. Per una sociologia critica dell’arte contemporanea italiana diventando un punto di partenza per la curatela della rubrica Modernità e campo dell’arte dedicata al rapporto tra società ed arte sulla rivista internazionale EQUIPèCO. Con il progetto Dis-orienteering: il gioco dell’identità nella società del rischio ha vinto la III edizione del Concorso Regionale per giovani curatori e critici d’arte “A cura di… ” organizzato da Giovani d’Arte, Comune di Modena – Settore Cultura e promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’attenzione costante alle ricerche in ambito contemporaneo è testimoniata dal suo nuovo libro IN ITINERE. Arte contemporanea in trasformazione pubblicato da EQUIPèCO ed arricchito da due importanti contributi: una prefazione del noto artista Michelangelo Pistoletto ed una conversazione con il famoso artista cinese Wang Qingsong.

 

Annamaria Bernucci, riminese, svolge attività di storica e critica d’arte. Ha pubblicato con Pier Giorgio Pasini Francesco Rosaspina incisor celebre (Silvana editoriale,1995) e Le fontane di Rimini, acqua da bere acqua da vedere (Amir,1993); per l’editore ‘Clueb (2005)Viaggi in Romagna, doppio sguardo, Bernardino Rosaspina; ha curato numerose mostre e cataloghi di artisti contemporanei e ha indagato aspetti dell’arte in Romagna tra ‘800 e ‘900,  occupandosi di incisione, disegno e storia urbana; responsabile sino al 2012 della Galleria Comunale S.Croce di Cattolica, lavora ai Musei Comunali di Rimini.

 

 

Foto a cura di Mauro Pipani.

Riguardo il macchinista

Walter Valeri

Walter Valeri poeta, scrittore e drammaturgo è stato assistente del premio Nobel Dario Fo e Franca Rame dal 1980 al 1995. Ha fondato il Cantiere Internazionale Teatro Giovani di Forlì nel 1999. Successivamente ha diretto il festival internazionale di poesia Il Porto dei Poeti a Cesenatico nel 2008 e L’Orecchio di Dioniso a Forli' nel 2016. Ha tradotto vari testi di poesia, prosa e teatro. Opere recenti Ora settima (terza edizione, Il Ponte Vecchio, 2014) Biting The Sun ( Boston Haiku Society, 2014), Haiku: Il mio nome/My name (qudu edizioni, 2015) Parodie del buio (Il Ponte Vecchio, 2017) Arlecchino e il profumo dei soldi (Il Ponte Vecchio, 2018) Il Dario Furioso (Il Ponte Vecchio, 2020). Collabora alle riviste internazionali Teatri delle diversità, Sipario, lamacchinasognante.com Dal 2020 dirige i progetti speciali del Museo Internazionale della Maschera “Amleto e Donato Sartori”. È membro della direzione del prestigioso Poets’ Theatre di Cambridge (USA).

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